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Cittadella di Amman, viale all'interno di Al-Qasr |
Incontro con una nostra amica, piccola sorella di Gesù, allora (novembre 1998) ad Amman. Il testo non è stato rivisto dall'autrice. Vi ringrazio di avermi accolto tra di voi questa sera, ma veramente preferisco che siate voi a farmi qualche domanda su quello che vi interessa sapere di qua o di quello che viviamo. Quelli che mi hanno già incontrato a Roma, mi scuseranno se saranno le stesse cose che vengono fuori. Spero che sia per voi una bella esperienza questa di visitare la Giordania. Per molti - immagino - è la prima visita in un paese arabo. DOMANDA: Una piccola domanda forse banale: ho notato che quasi tutte le finestre hanno le inferriate. E' così sicura la città? RISPOSTA: Rispetto ad altri paesi la Giordania è molto sicura, non ci sono molti furti. Solo qualche anno fa - raccontavano i frati di Main che avete visto oggi - c'è stato una rapina in una banca e li hanno condannati alla pena capitale. Un ragazzo si è nascosto nei pressi di Main ed hanno chiesto la grazia per lui e il re l'ha rifiutata, ed è strano perché è un re buono, ma proprio per dare l'esempio. Per cui il paese non soffre molto per i furti. DOMANDA: Ci puoi dire brevemente chi sono le Piccole Sorelle e che cosa ci fanno qui ad Amman? RISPOSTA: Piccole Sorelle di Gesù è una congregazione religiosa, è evidente. E penso che l'essenziale può stare nel nome: "piccole" davanti a Dio e davanti agli uomini, "sorelle" anche di Gesù e delle persone con le quali viviamo. E in questa molto piccola cosa è racchiuso veramente l'essenziale di quello che viviamo, perché in effetti la nostra vita non si distingue molto dalla vostra, soprattutto chi ha una famiglia, un lavoro. E' una vita molto semplice. Normalmente scegliamo come luoghi di vita dei quartieri popolari, poveri e dei lavori manuali, a dipendenza di altri. Non abbiamo opere nostre e quello che cerchiamo di vivere è di entrare in amicizia con le persone vicino a noi andando oltre e passando attraverso le differenze culturali e religiose che soprattutto qui in questo paese sono evidenti. Qui è un paese musulmano, in Israele con gli ebrei anche, o in Cina con i buddisti. Viviamo questo tipo di relazioni senza pretese, che però si pone nell'ascolto e nel rispetto dell'altro diverso da me. E attraverso questo tipo di relazione, di amicizia proprio umana, di interesse per la vita dell'altro vorremmo far passare questo messaggio: che Dio è vicino all'uomo come Gesù ha fatto, diventando veramente uno di noi, nei gesti poveri e concreti della vita. Proprio qualche giorno fa ho letto da qualche parte che qualcuno ha detto: anche le persone grandi hanno la loro vita intessuta di gesti poveri, di gesti di tutti i giorni. Per cui scegliere, rispondere ad un appello in questo senso significa dire: questi gesti hanno valore, perché Gesù li ha vissuti e noi molto poveramente dietro di lui. La gente si chiede molto - anche qui - perché non abbiamo opere, perché non abbiamo ospedali, scuole, come molte congregazioni religiose. E' per privilegiare veramente un certo tipo di relazione, di contatto con le persone che non ci metta in una situazione di superiorità materiale o anche spirituale. La fondatrice della nostra congregazione è una donna francese si chiama Piccola Sorella Madeleine, che si è ispirata alla vita di Charles de Foucauld e a partire da lui ha fondato le Piccole Sorelle. La nostra casa madre è a Roma, alle Tre Fontane, vicino ai Trappisti. Qui in Giordania siamo sei, quattro novizie e poi una sorella irachena più anziana ed io. I nostri rapporti con la comunità locale sono proprio a livello di vicinato. Il dialogo islamo-cristiano che noi viviamo è a livello del mercato, della gente, dei vicini di casa. Per esempio, nella casa dove noi abitiamo, i vicini di sopra sono una famiglia musulmana palestinese, i vicini di fianco - tutta la casa comprende diversi appartamenti - sono tutti musulmani di Hebron. Ecco quelli che sono intorno a noi, ecco costruiamo la relazione a partire da lì. Per cui non si pone mai, immediatamente, a livello religioso, teologico - non entriamo in discussioni - ma proprio a livello di vita. Celebriamo le nascite, i matrimoni, le morti con loro. L'acqua che manca a volte in questo paese è un problema comune che condividiamo con loro e a partire da lì cerchiamo di testimoniare la presenza di un Altro, proprio da questo. Una signora musulmana è venuta una volta in casa nostra, si trovava lì per una piccola visita ed è venuta dell'altra gente che non ci conosceva, così per caso. Allora la gente ha detto: "Ma, chi siete voi?" e questa signora ha detto: "Rispondo io". Ha detto: "Loro sono delle sorelle che cercano di volerci bene e volendoci bene ci obbligano anche a noi a voler bene a loro". E' stato molto. Eravamo molto agli inizi, però è stata una risposta molto semplice. Siamo lì solo per quello, non abbiamo scopi di convertire qualcun altro. DOMANDA: Abbiamo visto in televisione che consegnavano dei premi. Gli uomini davano la mano, le donne no. C'è una ragione? RISPOSTA: Sì, è una ragione religiosa. Non solo. Qui è particolarmente sentito, ma già quando io lavoravo all'ospedale di Nazareth, tra i medici - c'erano medici ebrei, musulmani e cristiani insieme - mi ricordo bene che due medici musulmani - non tutti, ma due medici musulmani - anche il giorno che io ho lasciato l'ospedale e baci abbracci con tutti, ma con loro non c'è stato nessun contatto. E per rispetto verso di me, per paura di contaminarsi. DOMANDA: Che tipo di lavoro fate? RISPOSTA: Manuale. Quello che troviamo nel paese dove siamo. Per esempio qui una delle novizie lavora in una fabbrica di cucito, in una sartoria, confezioni e poi un'altra ha trovato lavoro in un istituto per bambini handicappati, ma normalmente noi non ci situiamo come insegnanti, facciamo i lavori più semplici. Un'altra lavora nell'ospedale italiano. Il salario in questo paese è particolarmente basso. Quella che lavora come sarta guadagna 30 dinari al mese cioè 60.000 lire. Cioè è sfruttata. Normalmente i salari sono tutti molto bassi. DOMANDA: Con questo salario c'è anche una assistenza sanitaria? E per tutti i giordani è la stessa cosa? RISPOSTA: Non siamo assicurati, niente. Non per tutti, quelli che sono assunti regolarmente hanno una assicurazione dietro, ma rimane che il salario comunque è piuttosto basso. Rispetto per esempio all'affitto di una casa è molto basso. Quello che costa pochissimo per esempio sono i trasporti, i taxi di sicuro di più, però gli autobus costano una miseria. Però la vita è piuttosto cara, anche il cibo è piuttosto caro. Due anni fa qui c'è stata la rivoluzione del pane. E' cominciata in un villaggio del sud perché hanno aumentato il prezzo del pane. La gente ha fatto degli scioperi, delle dimostrazioni, perché il pane è essenziale. L'acqua è un grosso problema. Se il pane e l'acqua non ci sono, la gente di cosa vive? Le famiglie che sono molto numerose e molto povere vivono di pane e the. Con questo non si può dire che c'è una povertà, una miseria in Giordania. Però ci sono dei livelli veramente bassi. Secondo me se si continua con la sproporzione, con i quartieri per esempio di Amman che sono molto ricchi, si può creare una destabilizzazione a lungo andare. Non si sente ancora fortissimo, ma ci sono dei segni. Più del 70 % sono palestinesi e il 30% è giordano. Può essere 65% palestinese e 25% giordano e il resto dell'Irak. Li chiamano palestinesi del '48, palestinesi del '67 rispetto alle guerre che hanno provocato l'esodo dei palestinesi qua. Quando si chiede da dove vieni appare chiaro. DOMANDA: Abbiamo visto molta polizia in giro, armati. Abbiamo visto una jeep della polizia con un fucile mitragliatore. RISPOSTA: Penso che i luoghi che sono visitati dai pellegrini e dai turisti, dove c'è il rischio, anzi che c'è la possibilità che ci siano molti israeliani, sono molto molto sorvegliati per il timore di attentati o di altri cose contro gli stranieri. I turisti sono solo i benvenuti, portano soldi, ma con Israele la situazione ancora non è calma. Ufficialmente no, la Giordania ha fatto la pace da un po'. Anche a livello di economia ci sono rapporti molto molto forti, però questo non è il sentire popolare. Queste sono le decisioni del governo che sono sicuramente lungimiranti, per carità, però non è che la gente sente allo stesso livello e non vede come un interesse per noi che questi accordi siano stati fatti. E poi per i giordani ci sono delle reazioni diverse che per quelli di origine palestinese. Questo si può capire bene, sulla testa di chi sono fatti questi accordi. E giustamente è qui che si è rivelata la saggezza del re Hussein, che ha potuto da 46 anni governare questo paese con una maggioranza palestinese e con una certa stabilità reale. Da tre anni sono in Giordania e da 15 anni in Medio Oriente. DOMANDA: Qual'è il tuo giudizio, visto che vivi proprio con la gente che sembra molto legata all'aspetto religioso dell'Islam? Qual'è la tua visione dell'Islam dopo esserci vissuta dentro con la gente, nei quartieri? RISPOSTA: Penso che ci sono parecchi livelli. Quello dal quale io vengo, cioè quello dei quartieri popolari, degli incontri, può essere un'impressione buona. C'è possibilità di contatto e c'è anche, ma forse legato proprio alla cultura araba, questo privilegiare la persona al di sopra di tutto. Sedersi insieme, perdere tempo insieme non è una cosa eccezionale qui, è veramente rispettato e valorizzato. Forse non è direttamente legato all'Islam, ma è proprio la cultura araba che comunque è legatissima a questo. Per altri aspetti quello che si nota soprattutto negli ultimi anni è di sicuro un indurimento generale. Per esempio le donne giordane mi hanno detto che dieci anni fa ce n'erano pochissime velate, e oggi quando uno va in giro ce ne sono tantissime velate, il 90%. Sono veramente pochissime quelle che non lo sono e dunque da lì si coglie una certa involuzione. Poi, per esempio, nei quartieri dove non siamo conosciute, se io esco con la croce i ragazzini possono sputarmi addosso, tirare sassi, o quelle robe lì e questo è indice di un'educazione di una durezza che si risveglia e che è purtroppo generale nel mondo arabo e che forse non rispecchia l'Islam nel suo. Penso che le situazioni politiche che si vivono nel Medio Oriente non aiutano l'Islam ad apprezzare l'Occidente e quello che esso porta. Ci sono delle grandi ingiustizie che sono fatte oggi, l'Iraq e poi tutto il resto. C'è una politica americana in questi paesi - purtroppo è quella che è - e dunque questo provoca molte reazioni. Io sono l'unica occidentale della mia comunità - sono tutte arabe - e anche nel quartiere dove abito non ci sono occidentali. Quando io esco di casa gli sguardi sono molto forti, provocanti, anche perché sono una donna sola. Se cammino per la strada da sola e qui - non so se avete fatto esperienza voi donne... - anche perché il mio viso non è arabo e si vede subito da dove vengo, per cui solo la mia presenza può eccitare, diciamo provocare l'altro, perché c'è dietro tutto questo e allora il lavoro più grande è proprio quello di entrare in un rapporto di non potenza. E' vero che sono occidentale e rappresento questo mondo, ma bisogna poter pure arrivare ad un incontro da persona a persona e io qui non ho nessuno, sono straniera e devo farmi accogliere per quello che sono. Non so se rispondo alla tua domanda - cosa penso dell'Islam? Penso che è difficile dire, che si possono fare tante teorie, ma penso che da parte nostra c'è bisogno di una conversione per capire il rifiuto dell'Islam verso di noi - quello che c'è dietro - per capire bene questa durezza, questo irrigidimento che davvero non fa onore e davvero, secondo me, non rispetta i valori dell'Islam stesso. DOMANDA: Non è che questo sia legato proprio alla religione e non dipenda da come si è comportato l'occidente? RISPOSTA: Io non ho una conoscenza grandissima del Corano e della tradizione islamica. Sicuramente ci sono delle interpretazioni che possono portare a questo, ma non penso che possa venire solo da questo, perché ci sono delle contraddizioni come in tutte le religioni, per cui dove le cose vanno bene si può appoggiare di più i versetti che approvano l'incontro con l'altro, mentre dove le cose vanno male avviene il contrario. DOMANDA: Mi sembra che sia una religione che non ammette dialogo, non ammette confronto, tu non puoi far critiche. Dove vuoi che porti tutto questo? RISPOSTA: E giustamente se il nostro punto di partenza rimane un po' accademico, un po' intellettuale, è sicuro che ci troviamo a questi punti. Io ho una percezione del dialogo, una conoscenza dei criteri, che loro non hanno. Se attendo le stesse cose non ci sarà incontro. E' per quello che il dialogo in questa zona del mondo può avvenire solo a livello di vita. La condivisione. Rischia di fermarsi lì, però se non parte da lì rischia di spezzarsi. Guarda il livello in questi paesi - ci sono per esempio i gesuiti in Egitto un po' di più che in Siria e Libano - ci sono delle persone molto competenti ad alto livello, che lavorano tantissimo per questo, però ogni volta ritornano a questo, perché sei come davanti a un muro. E' sempre partendo dalla relazione che puoi arrivare anche ad altri livelli più profondi, però fa spavento. DOMANDA: Fa specie proprio che ci sia un impedimento teorico, per cui tu puoi metterci tutto il cuore, anche da parte dell'arabo può metterci tutto il cuore - queste donne io penso davvero che siano generose, soprattutto, proprio di condivisione - ma ci sia un impianto teorico tale che impedisce a fare un passo ulteriore, comunque. Se tocchi qualcosa nell'Islam una cosina da niente, cade tutto, gli distruggi tutto. RISPOSTA: E' sicuro che è una forma di difesa questo impianto teorico, però è lo stesso anche per noi: gli impianti teorici cadono di fronte alla persona. Non hai altra scelta. Cioè se ti poni a livello di idea, non ci arriverai, devi sentire dal di dentro qualcos'altro, stabilire un rapporto per arrivare. DOMANDA: Però se tu lo chiedi ad un cristiano, che già fa fatica a cambiare visione, non gli crolla tutto, anche se da ora in poi gli dici che non si fa più la devozione al Sacro Cuore, però non crolla la fede nella resurrezione. Lì se solo gli dici "Guarda che il Corano può darsi che Maometto non lo abbia scritto tutto lui, oppure guarda che può darsi, traduciamolo, magari, impariamolo non in arabo, impariamolo tradotto" allora… RISPOSTA: Non sono pronti a questa faccenda qua, però all'interno dell'Islam c'è una grande lotta per l'apertura. Non credo che non sentano il problema, ma non hanno la libertà di viverlo. Io non sarei così categorica nel dire per esempio, che se si aprono a una lettura storico-critica del testo coranico, non sarei così assoluta nel dire: "Crolla tutto". Ma è la posizione della persona di fronte all'evoluzione del mondo, della società, al confronto. Noi siamo per loro un punto di stimolo, e che fa paura nello stesso tempo. E' da lì che viene anche l'aggressione, il rifiuto. DOMANDA: Le novizie che sono qua erano tutte di origine cristiana? RISPOSTA: Guarda sono pochissime e non possono vivere qui da quando diventano cristiane. Cioè se un musulmano diventa cristiano deve partire, è meglio per lui. Ma le novizie sono tutte già cristiane: Letizia è copta, le due irachene una è siriaca, e l'altra è caldea, e la libanese è maronita, io sono latina e noi siamo greco cattoliche qui in Giordania. DOMANDA: C'è una ragione per cui la congregazione ha scelto la Giordania? RISPOSTA: Attualmente è perché per le novizie irachene è il paese più vicino e il meno difficile dove andare. Perché l'Iraq - lì non possono andare in nessuna parte - è bloccato. In Iran non abbiamo novizie, ci sono sorelle però che lavorano in un lebbrosario, perché in Iran ci vuole un motivo di entrata nel paese. L'Iran è più chiuso certamente di qua. Per la strada sono obbligate di mettersi, non solo il velo come qua, ma il chador, quel coso nero, le calze nere, i guanti neri. DOMANDA: E il rapporto con il mondo buddista? RISPOSTA: C'è una sorella italiana che vive ad Hong Kong e che ha girato un po' in quei paesi lì e quando ci incontriamo mi dice sempre: "Tu vieni dalle radici - io ho abitato in Palestina la maggior parte del mio tempo, e insomma qui è la Terra Santa, in tutti questi paesi - e io vengo dai rami! E' vero il confronto con culture, religioni così grandi come l'Asia! DOMANDA: Visto che abbiamo toccato anche Hong Kong, mi aveva fatto impressione anni fa Enzo Biagi, che in un momento particolarmente focoso, diceva: "E' inutile che noi a Roma, la capitale del mondo, ci scaldiamo tanto a dire che il cristianesimo è in aumento. E' in aumento in Africa, può esserlo in America Latina". "Ma - diceva - provate a vedere se c'è un aumento a livello di conversioni, di battesimi, nell'Oriente, in questo mondo così frastagliato e composito che va da Israele fino al Giappone, con tutte le religioni diverse. Lì non entra". E mi ha fatto impressione. Questa tua esperienza, quindicennale qui in oriente, ci può dire qualcosa al riguardo? Di motivazioni teoriche per cui il cristianesimo non fa breccia qui? RISPOSTA: Per il Medio Oriente forse, è un po' difficile da capire. Il cristianesimo è nato qui, ma io ritorno a dire che le condizioni politiche e sociali di questi paesi non hanno sicuramente aiutato, perché si spandesse e rimanesse. Non so se ci sono ragioni più profonde di questo. Perché per esempio, l'Africa del nord è completamente musulmana? Alcuni dicono per l'incapacità di un'inculturazione radicale, cioè della lingua, dei riti, ma non credo che si possa dire lo stesso del mondo arabo, perché i riti qui sono rispettati, ci sono le chiese locali, la lingua araba è assunta da tanti. Per cui non penso che sia questa la ragione. Vi faccio un esempio per l'Estremo Oriente: c'è una sorella coreana che è di famiglia buddista, i suoi sono tuttora buddisti. Lei è diventata cristiana poi è diventata piccola sorella. C'è una - come dire - una consapevolezza così profonda della ricchezza della loro cultura, della loro religione che è veramente inattaccabile e il cristianesimo si pone come un'alternativa che rimane piccola. E lì forse può giocare il fatto che veramente siamo visti come stranieri, il cristianesimo viene dall'Europa, nella maggior parte dei casi. Anche le celebrazioni, i riti, per esempio, non è che possano parlare molto alla gente. C'è tutto un lavoro che nell'ultimo sinodo dei vescovi asiatici è stato detto e ridetto. Perché trasportare da Roma a Pechino, o non so dove, la stessa maniera di fare? Forse è questo. Ma non posso neanche dire che sia questo, però almeno quello che sento dalle sorelle che sono convertite, cioè l'ansia di liberazione che può trovare risposta nel vangelo è grande. E' grande! Ma nello stesso tempo la sicurezza di queste religioni millenarie è forte. Per il Medio Oriente bisogna dire che è così spezzato e così destabilizzato politicamente che io attualmente penso che sia la ragione fondamentale, quella politica. Non si può immaginare a che punto non c'è sicurezza. Per esempio quest'anno solo, per due volte, questa minaccia di guerra reale. Quando leggiamo il giornale in Italia, puoi dire è un bluff, è un gioco tra Clinton e Saddam, ma quando si vive qui, sappiamo che da un giorno all'altro può scoppiare, perché le situazioni sono queste. Quale futuro? La gente non può pensare per domani, forse domani non solo il dinaro iracheno ma il resto non varrà più niente. Allora si fanno mille progetti, non si sa perché veramente la guerra può esserci, ma si vive in questa continua insicurezza. E' veramente difficile per una famiglia media. Quelli che hanno risorse altrove possono scappare, però la gente che non può uscire da qua dove va a sbattere la testa? Allora questa insicurezza totale fa sì che i cristiani da qui partono, quelli che possono partono. E tutto il Medio Oriente è così, non solo qui. Gerusalemme si svuota, allora sicuramente, dietro questi patriarchi che si riuniscono regolarmente. Adesso i patriarchi cattolici orientali cercano di infondere nella gente il senso di appartenenza alla terra ed al paese, però non con molti risultati. Uno deve avere una vocazione eroica per vivere qua come cristiano. DOMANDA: C'è stato un studio della Fondazione Agnelli, un libro molto importante che, come al solito è passato inosservato, uno studio statistico del Medio Oriente. Nei primi del Novecento i cristiani nel Medio Oriente erano il 26% della popolazione, compresa anche la Turchia che non è un paese arabo, e sono passati a circa il 6%. Sono un ventesimo della popolazione mentre prima erano un quarto. Nel giro di 70 anni è un cambio veramente radicale del modo con cui ci si presentano i problemi. DOMANDA: E' dovuto anche a questo confronto duro con l'Islam? RISPOSTA: Perché c'è da questa parte, giustamente che lo richiami. Per esempio in Egitto è impressionante il passaggio di gente all'Islam. Non mi ricordo le statistiche, ma molto molto forte. Non solo ma c'è una vera persecuzione. E' che ti uccidono. DOMANDA: Non è che l'Islam è anche una religione comoda? RISPOSTA: Da quale punto di vista? Per gli uomini sì, per le donne non sono sicura. DOMANDA: Qual'è la condizione della donna, come vivono questa condizione le sue vicine di casa? RISPOSTA: Io personalmente non mi sono abituata a varie faccende, in primo luogo alla separazione totale tra mondo maschile e mondo femminile. Le ragazze che frequentano l'università, che hanno un'apertura, sentono qualche cosa in questo senso, ma la povera gente non se ne rende conto. E' normale che la donna non può uscire di casa per comprare il pane, è normale. E' normale che se io vado a trovare una donna, se c'è un uomo in casa se ne va, perché non può, cioè ne andrebbe della mia reputazione quando io esco da quella casa, anche se ci sono 20 donne. Non c'è un dialogo tra uomo e donna. Una donna che lavorasse per esempio in un albergo non si sposerebbe più di sicuro, perde l'onore nel contatto con voi. Ce ne sono che lavorano nelle fabbriche. Le hostess della Royal Jordan sono inglesi. DOMANDA: La scuola. Mi aveva fatto impressione vedere che c'erano scuole maschili e scuole femminile, ma ora ho visto qui vicino che c'è una scuola mista. RISPOSTA: Non voglio esasperare la situazione in questo senso. Di sicuro a certi livelli ci sono degli incontri. Però è da ritenere che nella vita sociale normale l'incontro tra un uomo e una donna che non siano marito e moglie è inesistente. DOMANDA: Come se la sessualità fosse la nota dominante… RISPOSTA: La donna è fatta per quello. In Egitto non è così, in Iraq nemmeno, ma qui... In Palestina è anche meno forte di qui. E' una caratteristica un po' giordana, dell'uomo giordano, coi baffi, forse è anche un po' la mentalità beduina che influisce. Voglio dire, povere donne, si recuperano da qualche parte, però. Per esempio c'è una nostra vicina di casa, molto giovane - abitano insieme tre o quattro famiglie, ragazze giovani, sposate. Una di loro - il marito è andato alla Mecca ha fatto il pellegrinaggio e doveva tornare - io sono andata a trovarla, mi pare un giorno o due giorni prima del ritorno del marito. Mi ha molto colpito la sua vita tra quattro mura, completamente dipendente da questo marito. Però devo dire che lei lo aspettava, come si aspetta il messia veramente. Ha detto: devo prepararmi, devo preparare i bambini, la casa, perché ritorna. Gli uomini fanno la bella vita qua. Conviene all'uomo essere musulmano, questo è sicuro. DOMANDA: Però dicono che nelle case, come nel meridione italiano, comandano le donne? RISPOSTA: Quando le donne cominciano ad essere anziane, allora lì prendono un ruolo spesso importante. Questo per esempio in Palestina l'ho visto molto. La donna ha veramente un ruolo là. Ma la donna appena sposata è veramente la serva di tutta la tribù. Sono pochissimi quelli che si sposano e vivono da soli - vivono più famiglie insieme - o molto molto ricchi o molto emancipati, ma sono rari. DOMANDA: E la poligamia? RISPOSTA: Esiste per quelli che hanno soldi, perché possono mantenere. Quello che succede è questo: diciamo che l'uomo arriva a 50 e sua moglie a 45 e lui ne prende una di 20. DOMANDA: Ci sono donne che hanno cariche ufficiali importanti qui in Giordania? RISPOSTA: C'è una donna ministro che è una rarità, mi pare pure che sia cristiana. C'è sicuramente una evoluzione. Una volta con un tassista, abbiamo parlato della poligamia e gli ho detto: "Il re vive comunque con una sola moglie" (è la quarta questa, ma una alla volta). Mi ha risposto: "Senti uno che ha una come la regina Noor non va a cercarne altre!" DOMANDA: Abbiamo visto in giro un continuo cantiere, e inoltre ci hanno parlato del re e del suo sforzo in un certo senso di emancipare anche economicamente. Ecco questo aiuta? Non aiuta a tenere un po' a freno queste esasperazioni oppure no? RISPOSTA: Sicuramente c'è uno sforzo molto grande da parte del governo. Però quello che si nota è, per esempio, che il sud del paese è molto emarginato rispetto al centro-nord, cioè è il centro nord che è molto aiutato a svilupparsi ma al sud vivono delle loro pecore. Allora, per esempio, sui giornali - il giornale ufficiale, la voce del paese - c'era una volta la testimonianza di un ragazzo del Kerak che dice: "Sono venuto ad Amman, sono andato in un quartiere residenziali, ho visto delle cose che non ho mai visto nella mia vita. Ho visto la vita completamente diversa dalle pecore che ho lasciato, con le quali sono cresciuto". E ha fatto una lista di tutto quello che ha visto e alla fine ha detto: "Nessuno mi accusi se domani sarò un terrorista". Vuol dire che questa differenza troppo radicale rimane fino ad oggi, per cui lo sforzo non vale per tutto il paese, almeno da quello che si vede e da quello che la gente anche esprime al sud. Purtroppo avviene in vari paesi del mondo, noi ne sappiamo qualcosa dalla nostra Italia. E penso comunque che il dislivello è stato creato anche, per esempio, dopo la guerra nel Kuwait. La gente che aveva molti soldi di là, per paura di quello che succedeva, li ha messi di qua. Allora è sicuro che crea molte difficoltà. C'è gente molto ricca in Giordania e gente molto molto povera. Però, per esempio, c'è un grande sforzo per l'educazione. C'è una legge che è uscita che dice che ogni 10 case ci deve essere una scuola. Dunque per togliere l'analfabetismo. DOMANDA: Ci diceva appunto la nostra guida che per ogni bambino che va a scuola il governo dà alla famiglia il corrispondente di 50.000 lire. Noi veniamo da Aqaba, abbiamo visto dei beduini ai quali hanno fatto le case, ma vogliono continuare a vivere come beduini che a noi sembrano poveri. RISPOSTA: Ci sono quelli che scelgono questa vita, però non è sicuramente la maggioranza della popolazione, come ci sono in Israele. Ci sono i beduini che non vogliono essere sedentari, che vivono sotto le tende, ma hanno la loro rappresentanza al governo, perché sono divisi in tribù, e sono tribù forti. DOMANDA: Per essere pratici, insomma qui la vita è difficile, i musulmani non si convertono, le donne... non c'è nessuna speranza di fare niente, di cambiare nessuno, di portare un annuncio a nessuno, ma perché non ve ne andate? Vorrei sapere chi è che vi tiene qui, non che cosa, ma chi? RISPOSTA: Bella Domanda! C'è stato qualcuno che è venuto in queste condizioni, che non ha fatto niente e che è rimasto fino a che non lo hanno ucciso. Non possiamo mettere la speranza, come dice S. Paolo, nelle cose che si vedono. E' veramente altrove, anche per noi. DOMANDA: Sono più difficili i contatti con l'Islam o con Israele? RISPOSTA: Io personalmente ho vissuto sempre nella parte palestinese, anche in Israele, però noi abbiamo una quindicina di sorelle che vivono in Israele, delle quali sette sono di origine ebrea. Il contatto immediato con Israele è più difficile che con il mondo arabo, ma a lungo andare non lo so se lo è veramente, perché quando si entra in relazione con gli israeliani all'inizio sono molto duri, completamente diversi dagli arabi che hanno questa forma di accoglienza, di ospitalità. Però le relazioni che si formano sono eterne, con gli ebrei. Forse è anche un po' più facile perché molti sono di cultura occidentale. La cultura è veramente talmente altra che secondo me ci vuole una vita anche solo per comprendere quello che c'è dietro l'espressione verbale dell'altro. Più capisco la lingua e meno capisco quello che vogliono dire. E' impenetrabile. Non mi ricordo più chi è quello scrittore arabo che ha detto: "La lingua araba non è fatta per spiegare, è fatta per nascondere" ed è verissimo, quando uno ci vive dentro. La lingua araba è molto ricca, è molto bella proprio come espressioni, ma per comprendere da dove sta parlando l'altro devi veramente conoscere - e forse non lo capirai. Devi accettare questa distanza. Neanche nei rapporti semplici di tutti i giorni. L'arabo è una lingua molto interessante da questo punto di vista, fa capire la maniera di esprimersi, però per penetrare… C'è qualcosa di impenetrabile che passa attraverso la lingua. DOMANDA: E la fiducia? RISPOSTA: Dipende da cosa metti dentro questa parola, si fidano di che? DOMANDA: Per esempio, tra di loro? RISPOSTA: Non è semplice. Dal nostro punto di vista si può comprendere come una diffidenza - che nella mentalità beduina è molto forte tra tribù e tribù. Una cosa interessante. C'è un prete giordano che ci spiegava la chiamata dei discepoli, allora dice: "Gesù ha chiamato i dodici. Perché ha chiamato i dodici? Per costruire una relazione particolare con questi dodici. Perché questa relazione? Perché fossero solidali con lui e perché aveva bisogno di questa solidarietà. Per essere contro il nemico". Questo è veramente la mentalità beduina, tribale. DOMANDA: La nostra guida dice che aspettano Gesù che viene per combattere con loro contro il nemico. Aspettano Gesù per quello. RISPOSTA: Non so come lo aspettano, comunque questa idea della vendetta è presente, è presente. DOMANDA: Senti, rifacendomi a quello che dicevi prima, non vedi l'ora che ci sia uno Stato di Palestina? RISPOSTA: Sì, perché permetterebbe a tutti gli stati arabi di andare e venire da Gerusalemme. Io penso solo alle mie sorelle, che dall'Iraq, da Bagdad, potrebbero arrivare a Gerusalemme! Sarebbe veramente… Quando arrivano qui - qui siamo a due passi, con un'ora di macchina si arriva - non possono entrare, non posso portarle. Posso entrare solo io, ma loro non possono, rischiano nei loro paesi. Anche l'Egitto, con il quale ci sono relazioni diplomatiche. Se vanno sono chiamate dai servizi segreti quando ritornano, tutti quelli che vengono da Israele. Non è che sia così facile. Ma lo Stato Palestinese è un sogno. Quello che bisogna forse sperare è che attraverso questo travaglio che qui è acuto e che forse in altre parti del mondo, come forse anche in Italia o in Europa si vive ad altri livelli sociali o anche personali, sia il passaggio, sia un vero esodo verso la luce. Questo non può abbandonarci, come tu dici giustamente. Una forma di speranza forte: passare attraverso le difficoltà. Le difficoltà non sono l'ultima parola. DOMANDA: Ieri mattina abbiamo fatto una strada importante per il commercio, costruita dall'Iraq, per portare le merci, da Aqaba fino all'Iraq. Questo vuol dire che la Giordania, vive un po' in soggezione dei paesi limitrofi? RISPOSTA: Giustamente, penso che la saggezza del re è nata anche dal bisogno di essere in buone relazioni con tutti, perché la Giordania è povera di risorse, di tutto. L'Iraq rispetto alla Giordania è un paradiso. L'Iraq è un bellissimo, grandissimo e ricchissimo paese ridotto alla miseria da volontà - mi spiace - fuori e dentro. Per cui l'Iraq ha aiutato molto la Giordania. Il petrolio non costava niente, accoglieva anche gli studenti palestinesi e giordani gratuitamente. Ci sono molto agevolazione, perché l'Iraq è veramente ricco. DOMANDA: Nella guerra degli otto anni l'Iraq ha avuto bisogno della Giordania, e quindi ha fatto la strada... La Giordania ha avuto molti soldi dall'Iraq. DOMANDA: Ho notato un certo rapporto con la Cina e con l'Estremo Oriente. La guida ne parlava come un legame commerciale forte e poi abbiamo visto che le auto sono quasi tutte giapponesi o coreane. ALTRA DOMANDA ANCORA: E' un fatto commerciale. E' che sono molto bravi i giapponesi a penetrare con i pezzi di ricambio, in questi paesi, cosa che non ha fatto la FIAT, non hanno fatto i francesi, gli inglesi, i tedeschi. Forse gli costerà meno farli venire dal Giappone che non dalla Germania. RISPOSTA: A livello di mentalità penso che siano molto più vicini, almeno da quello che si può capire, all'Estremo Oriente. Ci sono queste forme anche indirette di comunicazione. Sono più vicini al Medio Oriente che noi. E gli ebrei sono come noi, più vicini a noi. Ma gli ebrei orientali sono più vicini agli arabi. DOMANDA: La tua nuova esperienza di cristiana qua, dopo che hai vissuto il cristianesimo in Italia, pensi che ti ha cambiato? Che cosa ti suggerisce di dirci a noi cristiani che ancora viviamo là? RISPOSTA: Penso che molte certezze legate a dei fattori culturali, sono cadute per il confronto così forte con Israele e con l'Islam nel quale veramente vivo da tutti questi anni. Per esempio le forme devozionali. E anche il contatto con le chiese orientali che sono diverse dal rito latino. Molte cose sono relative e questo ha creato in me come una sete di ciò che veramente conta: che cosa vuol dire essere cristiani! Questo messaggio di Gesù sfrondato di tante altre cose, non perché non abbiano il loro valore, perché come dire è normale che in Italia io viva in certi riti come qua vivo in altri, però gli uni e gli altri rimangono relativi. Per aver lasciato i miei, posso considerare relativi anche quelli che incontro e la stessa fede che non condivido con Israele e l'Islam ti porta veramente a guardare dentro dove sei e dov'è Lui. E penso con una parola molto semplice: quello che mi aiuta a vivere qui, della mia fede, è questo senso di compassione profonda per gli esseri umani, chiunque siano, oppressi ed oppressori, perché qui non puoi fare troppe distinzioni. Anche se la mia esperienza con il popolo palestinese è che è oppresso. E' la cosa più forte che ho vissuto. Ma alla fine non puoi essere solo con loro se non - anche solo spiritualmente - se non instauri un rapporto di comprensione e di compassione con colui che opprime, che rimane un essere umano. Certamente dopo e intorno ci sono tante altre cose ad esempio il senso della giustizia - però profondamente per me è questo, questo tipo di salvezza che Gesù ha portato e che rimane e che si può esprimere non solo in lingue, ma veramente in forme le più diverse. Allora come dicevi tu, la devozione al Sacro Cuore o tantissime cose io non le ho più vissute, non mi ricordo neanche più bene com'erano. Questo - ripeto - non vuol dire che non abbiano la loro importanza, ma che un giorno o l'altro uno che crede deve andare veramente a vedere cosa significa per lui e basta. Dopo, tutto va bene. Compassione: non so se questa parola dice bene cosa voglio dire. Però non è un amore di prepotenza o che si impone, ma veramente umile, che riconosce che io posso ferire e posso essere ferito da questa persona con la quale condivido la vita. E questi sono dei passaggi che si vivono poco a poco, vivendo anche in questi anni che paiono tanti, ma che mi sembrano ancora pochi per capire dove sono. E poi c'è anche questo fatto: anche se siamo nati e cresciuti in un paese diciamo cristiano, con una cultura dalle radici cristiane, anche il non credersi meglio degli altri. E' vero quello che tu dici dell'Islam. E' vero. Anche del Giudaismo potremmo dire certe cose! Ma non lo so se si può veramente ritenere che noi siamo meglio. In questo incontro, uno perde. Forse il senso anche di essere minoranza in un paese ti fa capire di essere straniero, anche. E' legato alla fede, la fede ci estranea da qualche cosa. E il viverlo completamente per me! Io sono straniera da tutti i punti di vista. Questo mi fa andare a qualcos'altro. E' una dimensione diversa anche della comprensione di sé, al di là della cultura, ma che non è male. Il Vangelo è anche questo. I padri che sono stati pellegrini e stranieri sulla terra, non so dove lo dice S. Paolo, questo significa ovunque. La compassione è patire insieme. C'è una frase così bella di Martin Buber: "Colui che può tenere allargate le sue mani come sulla croce, attraverso tutti gli orrori di questo mondo, prima o poi incontrerà le mani di Colui che abbraccia il mondo". E' molto bella come espressione: è in questo senso la compassione. DOMANDA: La vostra vita spirituale, come si svolge, potete andare ad una messa? RISPOSTA: Nel rito greco cattolico non è che ci siano messe tutti i giorni. Comunque andiamo a messa ogni tanto. Questo mio padre non l'ha ancora digerito. I preti sono sposati e dunque è un'altra forma. Però qui c'è libertà di culto, totale. Quello che si può dire, forse, senza giudicare, è che c'è una certa povertà. Ci sono molte opere nella chiesa giordana, ma forse c'è una certa povertà, dal punto di vista della vita interiore, del valorizzare il cammino di dentro. Si fanno tante cose per apparire di fronte alla comunità musulmana, gruppi di giovani, gruppi di anziani, gruppi di ogni genere, però trovare qualcuno che perde il tempo per un accompagnamento personale, è molto difficile. L'attenzione veramente alla conversione, a quello che uno dovrebbe vivere è più rara. Forse è comune anche questo. Non siete stanchi? Avete una resistenza incredibile! La messa è come la messa ortodossa, il rito è bizantino, però siamo cattolici, legati alla chiesa di Roma. DOMANDA: Anche gli ebrei italiani discutono oggi molto più che qualche tempo fa delle leggi rabbiniche, del senso dell'essere ebrei, dell'osservanza delle leggi alimentari. All'interno delle varie religioni c'è oggi - mi sembra - una riflessione sulla propria identità, perché ognuna prende coscienza della tentazione del relativismo che diviene mentalità di molti dei propri appartenenti. Questo porta per certi aspetti a chiudere delle porte. Si sta parlando, faccio un altro esempio, molto nelle riviste ebraiche italiane dei matrimoni fra cristiani ed ebrei in Italia, della loro possibilità o meno. In che maniera questo avviene anche nell'Islam? RISPOSTA: E' per quello che io dico che c'è un problema, perché ciascuno sta cercando la propria identità a partire da se stesso. In Israele ci sono molte leggi per dichiarare chi è e chi non è ebreo e delle ricerche continue, e noi forse da altri punti di vista, come l'Islam. Mi pare, invece, che tutti abbiamo saputo che uno sa chi è, incontrando l'altro, in una certa maniera. Allora è come una cecità che ci prende, in questo senso. Devo capire chi sono guardando me? E' impossibile! Capisco chi sono guardando te. E' sempre partendo da un tu. Ma questo Dio solo sa perché siamo così paurosi, perché questo timore di perdersi, di concedere all'altro. Ma in una relazione d'amore l'identità appare chiara. La rivendicazione di chi sono io! Ma chi sono io non lo so. Ho bisogno di te per saperlo, veramente, da tutti i punti di vista, anche religiosamente. Ho bisogno dell'altro per sapere chi sono. E' in uno spazio più largo che la mia identità prende consistenza. Questa è una legge che è difficile forse da vivere. Io per prima, ogni tanto chiudo la porta. Il problema - quando ero in Palestina, dicevamo così - è che la gente del posto, quando chiudiamo la sera, rimane fuori, ma adesso quando si chiude la porta la sera, la gente del posto è dentro. Dunque il contatto, il confronto. DOMANDA: Come vede la situazione dei preti sposati, nelle chiese ortodosse e in quelle cattoliche orientali, così diversa dalla nostra? RISPOSTA: Non tutti sono sposati. Guardi in generale è positiva: il prete sposato, dipende dalla moglie!!! Nel senso che, se la donna partecipa alla vocazione del prete,il prete riesce ad essere vicino alle famiglie con una comprensione immediata della situazione famigliare, dell'educazione dei figli. E poi, almeno i preti che io ho conosciuto, veramente erano degli uomini semplici. Forse il problema è che, alle volte, sono meno preparati a livello teologico. Però sono delle persone vicino al popolo, e che in un certo senso danno un'idea del prete complementare, perché è bene che non siano tutti sposati, che ci siano altri che dicano altre cose, vivendo il celibato. Ma per me è positivo. Io mi augurerei che la chiesa latina desse la stessa possibilità. Sicuramente un altro messaggio, che non elimini il prete non sposato - e le comunità religiose che hanno altro da dire - ma il prete sposato ha veramente il suo posto. DOMANDA: E quando vedono te che non sei sposata, cosa pensano? RISPOSTA: Eh, mi propongono di sposarmi!! Dopo gli dico quanti anni ho e allora si calmano! E' normale perché non è concepibile una donna non sposata e se sono con le mie sorelle è difficile che me lo dicano, però quando sono da sola, veramente piuttosto spesso. Ma qui te le chiedono in quattro e quattro otto, molto facilmente. Sei italiana, magari pensano che avranno la cittadinanza facilmente, non so perché me lo chiedono. DOMANDA: Come si mantiene qua la chiesa cristiana. Dicevi che ci sono tante opere, penso che non ci sia un aiuto statale? RISPOSTA: C'è un aiuto statale per le scuole cristiane, e anche in Israele. Israele aiuta le scuole cristiane in Israele. Per il resto si aiutano molto con i doni da fuori, delle chiese occidentali. La chiesa latina naturalmente è molto più ricca delle altre chiese. E' la chiesa latina che ha più opere e questo crea attrito con le altre chiese. Perché la gente vede dove ci sono possibilità, ortodossi che vanno dai latini - la gente va dove gli pare, non hanno nessun problema da quel punto di vista lì. Sono i vertici che hanno dei problemi, la gente no. Però dopo creano delle suscettibilità. Gli ortodossi dicono ai latini: voi ci prendete i nostri, per via delle scuole o per delle facilitazioni economiche o per robe del genere, purtroppo. I rapporti sono così così, non c'è molto ecumenismo vissuto, proprio a livello di responsabili, ma non della gente. La gente dice: "Sono cristiano". DOMANDA: Come torni a casa stasera, col taxi? RISPOSTA: Con uno vicino, perché senno... La cosa più interessante, se io sono con un uomo, finiscono gli sguardi e finisce tutto. E' molto più tranquillo per me. Ogni tanto veramente vorrei chiedere a qualcuno di accompagnarmi. Una volta uno ha proprio insistito, io gli ho detto sono una suora - non tutti sanno cos'è una suora qui - io vivo per il Signore, non so neanch'io cosa potevo dire. Una volta in Palestina uno mi ha detto: "Guarda tutta la giornata io ti lascerò pregare!" Uno invece pensava che non capissi bene la lingua, e mi ha detto - io ero seduta dietro - e nello specchietto mi diceva: "Ma non ti piacciono i bambini, i bambini?" No, mi piacciono i bambini ma.....Signore Gesù. DOMANDA: Tu dicevi che la donna è molto chiusa in casa, ma amicizie familiari ci sono? Ovviamente la moglie di uno vede il marito dell'altra. RISPOSTA: Ma no, nel nostro ambiente è rarissimo, non si incontrano. Gli uomini con gli uomini e le donne con le donne e quando una donna vuol visitare la famiglia di un'altra è con il marito che può far questo, non può andare lei. Neanche lei con i bambini, deve aspettare. Se il marito viaggia un mese, lei non può uscire, lo aspetta. Ho visto proprio vicino a casa nostra, una vecchia signora, molto anziana si è fatta portare il pane o non so cosa - noi abitiamo sulla strada - l'uomo non è potuto entrare, lei era chiusa nella casa, non ha permesso all'uomo di avvicinarsi alla porta. Ha detto: "Lascialo nel mezzo della strada". E' così. Non dico che tutti siano così, però è così. Questo spiega molte reazioni. Per esempio io da sola, che vado in giro, faccio le commissioni, è sicuro che gli uomini che mi vedono da sola pensano che sono facile. La prostituzione esiste di sicuro, però è nascosta, come la droga. Comincia ad esserci, però non è a livelli visibili. DOMANDA: Però se una con il marito va a trovare la sorella che è sposata, si possono vedere? RISPOSTA: Le sorelle sì, mentre i mariti, lui andrà con il marito della sorella. Nemmeno tra parenti, molto molto poco. Sono separati. Per esempio, per i pranzi ufficiali non si contempla. Quando si sposano c'è la festa dalla parte della sposa, dove anche noi qualche volta andiamo, allora la sposa danza per tutte le donne e l'uomo è da un'altra parte. Non lo vediamo. Praticamente si vedono solo quando vanno a stare insieme. Le famiglie decidono i matrimoni. Se la donna non ha figli rischia il divorzio. E' una grande umiliazione per le donne che non possono avere bambini, perché non adottano facilmente. Veramente io ho incontrato parecchie donne che hanno difficoltà ad avere bambini. Ed è la più grande sofferenza di una donna araba quella di non aver bambini. E quando hanno otto bambine devono fare il nono per avere il maschio, sono veramente forti queste cose. Ma soprattutto non avere figli è la sofferenza più grande. DOMANDA: E la vedova che condizioni ha? RISPOSTA: Vivono normalmente nelle famiglie. Una nostra vicina è vedova, vive con i figli. DOMANDA: E un figlio maschio fino a quando sta con la mamma, in famiglia? RISPOSTA: Finché non si sposa. Penso che la donna purtroppo è responsabile di questa situazione, perché l'educazione prima, per questi figli maschi che crescono - Dio sa come, hanno tutti i privilegi la da lei. Perché ci sia una trasformazione ci vuole un'apertura, ci vuole qualcosa che cambi. C'è un'educazione per la figlia ed un'educazione per il figlio, è molto diverso. Il bambino può picchiare la bambina quando vuole e nessuno può dire niente, è terribile. DOMANDA: Qual'è la percentuale di donne che lavorano e che hanno famiglia? RISPOSTA: Non so la percentuale, ma rimangono comunque di un certo livello quelle che possono lavorare fuori. La gente piuttosto bene; molte donne sono impiegate nelle banche, negli uffici, guidano la macchina, hanno un livello culturale più elevato. Hanno una capacità di festeggiare che è incredibile, questa è una caratteristica dei poveri che sono molto gioiosi, quando fanno le feste di matrimonio, non si dorme fino alle due, ballano, danzano. Da qualche anno il Natale è considerato festa, semi festa. Non so se all'università chiudono o non danno esami - che è un privilegio per gli studenti, per i pochi studenti cristiani che ci sono. Altrimenti non c'è paragone con un paese cristiano, ma nello stesso tempo non c'è questa apparenza, questa esteriorità, per cui si vive molto più all'interno. Grazie a voi per l'accoglienza.
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