Che figura! Coi simboli siamo capaci di fare memoria? di Gian Carlo Olcuire
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Riprendiamo dal sito Vino nuovo un articolo di Gian Carlo Olcuire, apparso il 15/7/2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (16/7/2011)
Manca poco alla celebrazione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù. Eppure la GMG ha già un volto, riconoscibile grazie a un logo che richiama una "M": una corona sormontata da una croce, composta di uomini stilizzati che si tengono per mano. Il sito della GMG spiega che è la corona della Vergine di Almudena, patrona di Madrid, e che la "M" è iniziale sia di Maria che della capitale spagnola. Per cui, oltre a essere un distintivo, il logo è «una catechesi: la via per arrivare a Cristo è la Vergine Maria, Madre di Dio e degli uomini».
Intanto fa piacere la ricomparsa di un messaggio semplice, dopo anni di eccessi (per dirne uno: il logo della GMG 2005, a Colonia, aveva bisogno di una pagina di decifrazione). Talvolta succede che, per non rischiare di perdere il sapore, si esageri col sale, rendendo immangiabile ogni cibo. Ma i simboli stracarichi, per voler comunicare troppo, diventano incapaci di comunicare e di farsi ricordare.
Mentre la memoria è tutto, per un simbolo. E quando si perde consapevolezza di un significato, si smette anche di prendersi cura della forma che lo esprime. Aprendo la porta ai ladri.
Vengono in mente due celebri loghi che la Chiesa si è lasciata espropriare. Il primo è San Nicola (Santa Claus), trasformato dalla Coca Cola in un Babbo Natale vestito di rosso: qualcuno sa che era un vescovo portatore di doni?
Per il secondo dobbiamo tornare al 1989 e a un'altra GMG in terra spagnola: a Santiago di Compostela. Giovanni Paolo II indossò la mantellina con la conchiglia, al modo degli antichi pellegrini. E molti si domandarono se la GMG fosse sponsorizzata dalla Shell, ignoranti del fatto che le conchiglie di San Giacomo (o "capesante") simboleggiano il pellegrino. Questi infatti, raccogliendole lungo la costa cantabrica, le utilizza per attingere acqua, oltre che come prova del cammino di fede compiuto. Se ne ha traccia in molte opere d'arte, la più celebre delle quali è forse il primo dei due quadri dedicati da Caravaggio ai pellegrini di Emmaus, dove uno di loro ha una conchiglia sul petto. Un controsenso, perché quel pellegrino non era diretto a Santiago, che però dimostra come la conchiglia fosse un simbolo riconosciuto.
Almeno fino al Novecento, quando venne acquisita a parametro zero dalla Shell. Nel nome e nel marchio, perché il colosso industriale pensò bene di nobilitare i propri carburanti associandoli all'idea del viaggio. Così la conchiglia rubata finì per significare soltanto "benzina". Poi, per merito di Giovanni Paolo II e della ripresa dei pellegrinaggi, la Chiesa se n'è riappropriata e il simbolo è rinato.
Avevano iniziato presto, i cristiani, a usare questa figura a cui bastano pochi tratti. Che quindi è l'antitesi del racconto, o il suo sostituto, quando narrare è impossibile. Nei sarcofagi dei secoli III e IV, per rappresentare la risurrezione, c'era il problema di aver a che fare con un avvenimento irriferibile, poiché nessuno l'aveva vista. Si ricorse dunque a una ghirlanda vegetale, segno di trionfo, contenente il monogramma di Cristo, ottenuto dalla fusione di due lettere dell'alfabeto greco, la "chi" e la "ro", iniziali della parola "Christòs", talvolta poste tra un'alfa e un'omega, prima e ultima lettera, simboli del principio e della fine. Detto monogramma, impresso da Costantino sui labari imperiali, dà ancor oggi la forma al pastorale dei vescovi.
E come non citare i simboli della Passione, che si vedono nelle croci penitenziali oppure, sorretti dagli angeli, nei Giudizi universali e in molte versioni della Pietà? In questi casi hanno un ruolo di sintesi: funzionano come riassunto e come quadro d'insieme, per non dimenticare nulla di ciò che Gesù dovette soffrire.
È assai probabile che a Madrid, oltre al logo della GMG, ci sarà una gran quantità di simboli cristiani. Tra cui il più diffuso, la croce. Speriamo che i giovani, oltre al bisogno - degno e giusto - di farsi riconoscere, avvertano quello di raccontare ai coetanei chi è l'uomo crocifisso sulla croce e perché si è offerto come agnello.
I simboli, così attraenti per la loro essenzialità, sono anche vuoti come cibi liofilizzati. Se sono scarni, vanno riempiti di carne... E più che parole di spiegazione, vogliono parole che risveglino la memoria e che scaldino il cuore, come quelle ascoltate da due pellegrini sulla strada per Emmaus.