Santa Sofia per Procopio: un traboccare di luce. Tradotto il testo, composto tra il 553 e il 557, che rende ragione dello splendore dell’antico tempio cristiano, poi divenuto moschea, di Michele Dolz
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Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2011)
È da quindici secoli che la basilica di Santa Sofia a Costantinopoli-Istanbul lascia impressioni vivissime nei visitatori. Sentire la voce di un contemporaneo alla costruzione è emozionante: è Procopio di Cesarea, storico sotto il regno di Giustiniano, del quale ora ci giunge la traduzione critica della prima parte (dedicata a Santa Sofia) del De aedificis, come si denomina la sua opera sull’attività edificatoria dell’imperatore (Procopio di Cesarea, Santa Sofia di Costantinopoli. Un tempio di luce, Jaca Book, 218 pagine, 36 euro). Corredato dagli studi dei bizantinisti Paolo Cesaretti e Maria Luigia Fobelli, entrambi studiosi del VI secolo giustinianeo, il testo sembra sospeso tra la meraviglia e la venerazione. Gli storici lo ritengono l’ultima opera di Procopio, composto tra il 553 e il 557.
Com’è noto, la basilica della Sapienza (perché è dedicata alla Sapienza divina, sophia, che è poi il Verbo), fu voluta e costruita da Costantino. Giustiniano dovette provvedere a una corposa ricostruzione dopo che nella rivolta di Nika (532) la chiesa venne data alle fiamme. Ma egli intraprese un rifacimento in grande stile, affidato agli architetti Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto. L’enorme cantiere durò solo cinque anni.
«Spettacolo di suprema bellezza è risultata essere la chiesa, che trascende la vista di chi la osserva […]. Si innalza infatti all’altezza del cielo, e quasi scuotendosi di dosso gli altri edifici, li sovrasta, come se incombesse su tutta la città». Procopio, in uno stile encomiastico, ci offre la visione del visitatore che rimane avvinto da tanta bellezza e richiama l’attenzione su diversi particolari.
Soprattutto la luce. «Tanto trabocca di luce e i raggi del sole vi scintillano, che il sito non si direbbe illuminato esternamente dal sole, semmai che la luminosità vi germini intrinseca, tale sovrabbondanza di luce vi è riversata! ». Alla luce che filtra dalle molte e grandi finestre si aggiunge il riverbero dei mosaici dorati e dei marmi policromi: «Si potrebbe pensare di essere capitati in uno splendido prato fiorito, e a ragione ci si meraviglierebbe qui della porpora, lì del verde; ora si accende il rosso, ecco che rifulge il bianco, ecco tutti quei colori contrastanti con i quali la Natura sa conseguire la varietà».
Procopio è convinto che ci sia un elemento soprannaturale: «Ogni volta che qualcuno si reca in quel tempio a pregare, subito comprende che non per umana valentia o competenza, ma per intervento divino, quest’opera è riuscita così perfetta». Acutamente segnala la Fobelli che in questo modo Santa Sofia viene paragonata alle immagini acheropite (non fatte da mano umana), che diffondono la loro fama proprio in quel VI secolo, e diventa molto di più di una semplice chiesa.
Lo stesso Procopio afferma che in questa chiesa al fedele «la mente gli si eleva a Dio e vagando per l’etere considera che Egli non può essere lontano, ma che ama dimorare proprio là dove Egli ha scelto». La basilica di Santa Sofia è da qualche tempo sottoposta a una serie di restauri programmati e continua ad attirare l’attenzione di studiosi e turisti. Ora, essendo stata trasformata da secoli in moschea, è difficile leggerla come edificio di culto cristiano e imperiale. E a questo scopo è utile il recupero delle voci antiche.