Lo Spirito Paraclito come maestro di vita cristiana in Gv 14-16, di Giancarlo Biguzzi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /06 /2011 - 17:03 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo pubblicato dalla Rivista di vita spirituale 63 (2009), pp. 143-154. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri testi del prof. Giancarlo Biguzzi vedi su questo stesso sito la sezione Sacra Scrittura.

Il Centro culturale Gli scritti (29/6/2011)

Indice

Nel terzo e quarto Vangelo, la sera prima di morire Gesù rivolge un discorso di addio ai discepoli: per Luca si tratta di un quindicina di versetti, per Giovanni invece di ben cinque capitoli[1]. Ma molti sono i discorsi di addio attribuiti ai grandi protagonisti anche dell'AT, nell'imminenza della loro morte: a Giacobbe, a Mosè, a Giosuè, a Davide, a Tobia, a Mattatia[2]. Gli elementi che ricorrono nei discorsi di chi sta per morire sono: il presentimento della morte imminente, uno sguardo retrospettivo sul passato, uno sguardo prospettico sia sul proprio futuro sia soprattutto di coloro che restano, esortazioni e istruzioni per loro, una preghiera e una benedizione per chi dovrà proseguire l'opera[3].

Sono gli ingredienti che figurano anche nel lungo discorso di addio di Gesù ai discepoli in Gv 13-17, benché in successione non sempre logica e progressiva. Nella lavanda dei piedi Gesù prima parla del tradimento e della propria dipartita (13,21-33; 14,2-6.18-20.27-29; 16,5-11.26-23), poi rievoca la cura che in passato ha avuto per i discepoli (15,20-25; 17,6-8.12-14) e, preannunciando i tempi difficili che li aspettano (16,1-4), li equipaggia del suo insegnamento. Soprattutto li esorta a restare nel suo amore (15,1-8), consegnando loro il comandamento dell'agape vicendevole (14,15.23-24; 15,9-17). Gran parte del capitolo 17, infine, è una preghiera per coloro che senza di lui dovranno affrontare il difficile futuro (17,9-26).

Un tema che interviene a unificare i frammenti del discorso di addio è quello dello Spirito che Gesù manderà quando sarà tornato al Padre. I detti sullo Spirito che figurano in Gv 13-17 sono cinque: il primo parla dell'invio dello Spirito (Gv 14,15-17), mentre gli altri quattro parlano della sua azione presso i discepoli (14,25-26; 15,26-27; 16,7-11; 16,12-15)[4].

1. Lo Spirito inviato ai discepoli e i suoi epiteti

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti, e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre: lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi (Gv 14,15-17).

Nel primo detto, anzitutto Gesù precisa quali sono le condizioni richieste perché l'invio dello Spirito sia possibile, e cioè l'amore nei suoi confronti e l'osservanza dei suoi comandamenti, come a dire che non è possibile avere lo Spirito di Gesù se non si è in unione e comunione con lui: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti ... il Padre vi darà un altro Paraclito...» (vv. 15-16).

Gesù dice poi chi sono i mittenti e i destinatari dello Spirito. Lo Spirito verrà dal Padre ma su sua richiesta, e i destinatari saranno i discepoli (vv. 16 e 17), non il mondo. Infatti il mondo, e cioè l'umanità insensibile e chiusa all'insegnamento di Gesù, non può ricevere lo Spirito, non avendo con esso la connaturalità necessaria e non sapendone riconoscere la presenza: «…lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce» (v. l 7).

Il quarto Vangelo applica qui la regola di cui parla Paolo nella Prima lettera ai Corinzi per la quale il simile è conosciuto solo dal simile[5]. Scrive Paolo: «Chi conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato» (l Cor 2,11-12).

Fin dall'inizio dunque lo Spirito è in relazione con la vita cristiana, perché sarà donato solo a chi ha fatto suo l'amore con cui Gesù ha amato gli uomini fino al dono della vita, e a chi è capace di una visione e di una conoscenza spirituale. Ma evidentemente quelle relazioni si collocano all'interno di un dinamismo circolare, per cui lo Spirito poi nutrirà e farà aumentare l'amore verso il Cristo e affinerà la visione evangelica della vita.

Inviato dal Padre su richiesta di Gesù, lo Spirito avrà con i discepoli un rapporto che viene descritto con tre preposizioni: sarà con loro, sarà accanto a loro e sarà in mezzo a loro (o in loro): prenderà dunque il posto e il ruolo di Gesù, che sta per lasciarli, restando con loro «per sempre».

Allo Spirito, infine, vengono dati due titoli: «il Paraclito» e «lo Spirito della verità». Il termine Paraclito è stato da sempre interpretato e tradotto in due modi: con valore attivo nel significato di «consolatore» o «intercessore», perché il verbo greco parakaleÅ, da cui l'aggettivo verbale «Paraclito» deriva, significa «esortare, consolare» e «invocare, pregare, parlare a favore di», - e poi con il valore passivo di «avvocato», che è la trasposizione in latino di «Paraclito»: la preposizione e il verbo di para-kaleÅ hanno come esatto ricalco latino ad-vocare, da cui ad-vocatus («chiamato vicino a sé», participio passivo), e il nostro «av-vocato»[6].

Il secondo titolo, Spirito della verità, dice che lo Spirito ha a che fare con la «verità, alÄ“theia», che, per il quarto Vangelo, designa la rivelazione portata da Gesù, e addirittura la sua stessa persona: «Se sarete fedeli alla mia parola, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31); «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6)[7].

I due epiteti dati allo Spirito e la sua presenza «con» i discepoli, «accanto a» loro e «in mezzo a» loro introducono e preparano il contenuto degli altri quattro detti. A questo modo:

INVIO DELLO SPIRITO AI DISCEPOLI E SUOI EPITETI

            Gv 14,15-17    : «Paraclito»     «Spirito della verità».

AZIONE DELLO SPIRITO PRESSO I DISCEPOLI

            Gv 14,25-26    : «Paraclito»                 …

            Gv 15,26-27    : «Paraclito»     «Spirito della verità».

            Gv 16,7-11      : «Paraclito»                  …

            Gv 16,12-15    :       …          «Spirito della verità».

2. Lo Spirito come Maestro e memoria vivente delle parole di Gesù

Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto (Gv 14,25-26).

Per il secondo testo, lo Spirito agisce sotto il titolo di Paraclito e la sua prima azione è volta al ricupero del passato che i discepoli hanno trascorso insieme con Gesù. La promessa secondo la quale lo Spirito insegnerà (didaxei) ai discepoli ogni cosa è una promessa che allarga il cuore, perché senza il magistero di Gesù, in situazioni nuove e di fronte a nuovi problemi, i discepoli potrebbero sentirsi smarriti e perduti.

Ma, come Maestro, Gesù dice che ci sarà lo Spirito: lui sarà il didascalo, e oggetto della sua attività didascalica a beneficio dei discepoli sarà «ogni cosa». Quell'«ogni cosa» viene poi illustrato e reso concreto perché Gesù aggiunge: «... vi farà ricordare tutto ciò che io vi ho detto».

Il rimando all'indietro è rinvio ai lunghi discorsi o dialoghi di Gesù nel corso del ministero pubblico. E allora si possono ricordare il dialogo di Gesù con i giudei dopo l'espulsione di cambiavalute e venditori dall'area sacra di Gerusalemme circa la distruzione e riedificazione del tempio (Gv 2), e poi il dialogo notturno di Gesù con Nicodemo circa il rinascere per essere in grado di entrare nel Regno (Gv 3), e poi ancora il dialogo di Gesù con la donna samaritana circa l'acqua viva presso il pozzo di Giacobbe, e, nella stessa circostanza, il dialogo di Gesù con i discepoli circa il suo cibo che essi non conoscono (Gv 4), il discorso di Gesù sul pane di vita prima e dopo la moltiplicazione dei pani (Gv 6), e infine il dialogo di Gesù con le sorelle di Lazzaro (Gv 11).

In quelle circostanze, e non sono tutte, gli interlocutori di Gesù non capiscono o fraintendono: i giudei pensano alle architetture erodiane (Gv 2,20), Nicodemo tra il serio e lo scherzoso si chiede come si possa mai rientrare nel seno della madre in età adulta (Gv 3,4), la samaritana si chiede come Gesù, senza corda e senza secchio, possa attingere acqua da un pozzo profondo oltre trenta metri (Gv 4,11), in Samaria i discepoli pensano che Gesù sia stato provvisto di cibo da qualcuno del posto (Gv 4,33) mentre a Cafarnao giudicano «duro» il discorso sul pane di vita (Gv 6,60), e Marta pensa che Gesù abbia il potere di dare la vita solo nell'ultimo giorno (Gv 11,24).

Se dunque Gesù era stato costantemente non compreso, se si era rimasti sempre al di sotto del piano su cui egli si poneva[8], dopo la sua Pasqua era necessario un ricordo e una comprensione adeguata. E sarà lo Spirito che appunto rievocherà ciò che Gesù disse e non fu compreso («Il Paraclito, lui vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto», e su tutto l'insegnamento di Gesù avranno la sua guida di Maestro («...lui vi insegnerà ogni cosa»).

Il titolo di «Paraclito» dato allo Spirito non è molto adeguato in questo contesto né se lo si traduce con «consolatore», né se lo si traduce con «avvocato». Sembra allora essere già più pertinente il secondo titolo che qui ricorre, «lo Spirito, quello Santo», e cioè lo Spirito pasquale che Gesù comunicherà ai discepoli dopo la resurrezione («... ricevete lo Spirito Santo», Gv 20,22), Spirito di santità che santifica le Chiese giovannee del dopo-Pasqua guidandole nell'ascolto interiore e nella prassi della «verità» di Gesù.

3. Lo Spirito come testimone e avvocato difensore

Quando verrà il Paraclito che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me, e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio (Gv 15,26-27).

Il terzo testo introduce lo Spirito con tutti e due i titoli («il Paraclito», «lo Spirito di verità»), e lo fa soggetto di una nuova operazione: la testimonianza. Lui stesso sarà testimone a favore di Gesù, ma poi renderà capaci di testimonianza anche i discepoli: «Quando verrà il Paraclito... egli darà testimonianza di me, e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio» (15,27). Nel corso del quarto Vangelo l'episodio del cieco nato (Gv 9) porta sulla scena un discepolo che, combattivo e incalzante, testimonia mettendo in difficoltà i denigratori di Gesù e, per noi che leggiamo, mettendo in difficoltà gli stessi suoi genitori la cui testimonianza è bloccata e impedita dal decreto di esclusione dei credenti in Gesù dalle sinagoghe.

In questo detto coloro che devono rendere testimonianza sono quanti sono stati con Gesù «fin da principio»: oggetto della testimonianza è dunque la lunga scuola che i discepoli storici hanno avuto da Gesù, e in particolare, come diceva il secondo testo, tutto ciò che Gesù è venuto dicendo loro. La testimonianza dei discepoli, dunque, non ha un contenuto autonomo e non può fare a meno della «verità» che hanno udito dal Maestro.

Se questo è vero, tutti e due i titoli sono qui appropriati. «Lo Spirito di verità» è appropriato perché lo Spirito farà ricordare tutto ciò che Gesù ha detto loro, introducendoli così in tutta la sua rivelazione o verità (cf il secondo detto). Ma nel contesto è pertinente anche il titolo di «Paraclito», inteso nel senso giuridico di «avvocato»: il posto dell'avvocato infatti è il tribunale, e in tribunale si rende testimonianza a favore o contro chi è accusato e imputato. Le due testimonianze, quella del Paraclito e quella dei discepoli, possono essere distinte e successive, ma è più probabile che la testimonianza dello Spirito, magari più ampia e più profonda, prenda forma anche, e forse soprattutto, in quella che i discepoli renderanno a Gesù.

4. Lo Spirito come avvocato accusatore

Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito. Se invece me ne vado, lo manderò a voi. E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato perché non credono in me; riguardo alla giustizia perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio perché il principe di questo mondo è già condannato (Gv 16,7-11).

Il tema del processo da celebrare in tribunale, con imputato, avvocati e testimonianze, domina interamente il quarto testo, dopo essere stato appena accennato nel terzo. Titolo unico dello Spirito è ora «il Paraclito» che di conseguenza è ancora da intendere come «avvocato», e non come «consolatore».

Gesù premette che è a tutto vantaggio dei discepoli se egli se ne va, perché solo con la sua partenza sarà possibile la venuta del Paraclito (v. 7). Gesù tesse qui l'elogio della distanza, la quale paradossalmente rende possibile una forma di presenza più forte e più efficace di quella fisica. La persona fisicamente assente infatti, se è una persona cara, è circonfusa di un alone di memoria devota, di desiderio di fedeltà e di comunione. Ed è lo Spirito che è capace di far sentire la presenza più piena dell'assente: nel caso di Gesù è lo Spirito «Paraclito».

Quando sarà venuto, il Paraclito svolgerà davvero la funzione dell'avvocato che mette in luce le colpe da una parte e, dall'altra, l'innocenza e la giustizia. Il verbo di cui qui il Paraclito è soggetto è il verbo greco elenchein, che a noi non può non fare venire in mente «elencare», «elenco». Andando a ritroso, dalla nostra lingua a quella greca, si può dire che mentre per noi «elencare» significa fare una lista di cose o di persone che possono essere sia positive che negative, per la lingua greca la lista è invece solo negativa, perché elenchein in greco significa «rimproverare», «accusare» qualcuno, e di lui «dimostrare la colpevolezza».

Questo detto arricchisce il ruolo del Paraclito: mentre nel testo precedente testimoniava a favore di Gesù nel ruolo di avvocato difensore («darà testimonianza di me»), qui il Paraclito è nel ruolo di avvocato accusatore che mette sotto accusa gli accusatori di Gesù. Infatti incrimina il mondo e il principe di questo mondo e li dimostra colpevoli di tre delitti. Di quei tre contro-capi di accusa viene dato prima l'elenco («dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio») e poi una lapidaria illustrazione.

Il primo è sollevato contro il mondo e riguarda il peccato. Se Gesù era stato accusato, ad esempio, di violare la legge del riposo sabbatico (Gv 5 e Gv 9), qui, nella contro-accusa del Paraclito, il vero peccato è quello del non credere a Gesù come inviato di Dio: «[Il Paraclito dimostrerà la colpevolezza del mondo] riguardo al peccato, perché non credono in me» (v. 9). Il credere nel suo Inviato è l'unica «opera» che Dio chiede (6,29), e il non accogliere la luce da lui fatta brillare (Gv 9,5) è il peccato che lascia nelle tenebre chi vede o, meglio, chi crede di vedere (Gv 9,41).

Il secondo capo di contro-accusa è elevato ancora contro il mondo, e riguarda la giustizia: riguarda cioè l'essere giusto e santo, oppure non-giusto e colpevole, davanti a Dio. Oltre che contro Gesù, qui il mondo è nel torto anche nei confronti di Dio e del suo giudizio giusto: lo dimostra il fatto che Gesù, accusato e condannato dai tribunali umani, sta tornando presso il Padre: «[Il Paraclito dimostrerà la colpevolezza del mondo] riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più» (v. 10). Dio dunque, nel grande tribunale della storia, lo ha riconosciuto e dichiarato innocente e lo sta portando presso di sé, mentre i colpevoli sono coloro che non lo hanno riconosciuto e accolto, ma accusato e condannato.

Il terzo capo di contro-accusa è quello del giudizio, è sollevato contro il principe di questo mondo, e dunque contro l'orchestratore di tutta l'azione ostile contro Gesù, inviato di Dio. Nel grande tribunale di Dio il giudizio è come già avvenuto: il tempo verbale infatti è quello del perfetto (kekritai) il cui valore è quello di riferire un'azione passata la quale però vive nel presente attraverso i suoi effetti e nei suoi risultati: «[Il Paraclito dimostrerà la colpevolezza del mondo] riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato» (v. 11). La sentenza di condanna ha colpito il padre di ogni colpa, colui che è stato omicida fin da principio (Gv 8,44) perché portò alla morte i progenitori, ed ora è più che mai omicida, perché tenta di soffocare la fede in Gesù proprio mentre si può avere la vita solo credendo in lui (Gv 3,15.16.36; 6,47; 20,31).

In questo testo la testimonianza, la difesa e l'accusa si inseriscono nel quadro del grande processo della storia universale da cui escono condannate le strutture umane di peccato e le Potenze che le sostengono.

5. Lo Spirito come guida attraverso i problemi del futuro

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio. Per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà (Gv 16, 12-15).

Nell'ultimo testo lo Spirito è di nuovo qualificato con il titolo di «Spirito della verità» e giustamente, perché il vocabolario che predomina è quello della verità, della parola e dell'annuncio: tre volte ricorrono i verbi del «dire» e del «parlare», e tre volte il verbo dell' «annunciare», mentre i loro complementi sono: «molte cose», «tutta la verità», «il suo [insegnamento]», «tutto quello che ha udito», «le cose future» e, due volte, «il mio [insegnamento]».

A questo riguardo l'azione dello Spirito interessa tutto lo sviluppo del tempo: interessa il passato perché riguarda l'insegnamento di Gesù e la verità, cioè la sua rivelazione («...prenderà da quel che è mio», ripetuto più volte); interessa il presente di Gesù perché, secondo le sue parole, i discepoli non possono per ora caricarsi di un ulteriore suo insegnamento («Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso»); e interessa il futuro dei discepoli in due modi.

Alla sua venuta, in primo luogo lo Spirito farà da guida per i discepoli a tutta la verità, e cioè li introdurrà alla comprensione dell'insegnamento che Gesù ha loro trasmesso. Merita una particolare sottolineatura l'uso del verbo hodÄ“geÅ che è nuovo rispetto al secondo detto, analogo a questo. Il verbo è composto del nome «strada, hodos» e del verbo «conduco, agÅ», e significa «condurre per la strada tenendo per mano».

Di solito si traduce con «guidare» ma l'immagine di fondo è più ricca in quanto, oltre all'idea della guida, evoca anche il tema della strada con la sua lunghezza, le sue difficoltà, i suoi pericoli, i suoi imprevisti, la fatica della marcia... ingredienti che non è facile rendere nelle nostre lingue con una sola parola.

Quel verbo ricorre anche nell'episodio dell'Etiope narrato negli Atti degli Apostoli (At 8,26-40) dove Filippo, uno dei Sette di Gerusalemme, riceve dallo Spirito l'ordine di avvicinarsi al carro del pellegrino che, dopo essere salito a Gerusalemme per il culto, sta tornando verso la sua terra e sul suo carro sta leggendo ad alta voce il rotolo del profeta Isaia. Alla domanda di Filippo se egli comprende o no quello che sta leggendo, l'Etiope risponde appunto: «E come potrei capire se nessuno mi guida (hodegeo)?» (At 8,31).

Anche nelle comunità giovannee, dunque, lo Spirito - e cioè qualcuno come il Filippo degli Atti - avrebbe guidato, e di fatto già guidava i credenti alla comprensione delle parole di Gesù. Loro guida era stato soprattutto il Discepolo che all'ultima cena aveva posato il capo sul petto di Gesù e di lì aveva attinto i misteri che poi avrebbe scritto nel suo Vangelo[9]. Ma lui e i suoi successori ed eredi dovevano tenersi esposti al soffio dello Spirito[10] perché «è lo Spirito che dà vita, la carne non giova a nulla», perché «le parole che io [Gesù] vi ho detto sono spirito e vita» (Gv 6,63), e perché, - direbbe ancora più lucidamente Paolo - «mentre la lettera uccide, lo Spirito dà vita» (2Cor 3,6).

Lo Spirito - dice ripetutamente il quinto detto - non ha un suo proprio insegnamento e, invece, riproporrà quello di Gesù, del quale è come se lui stesso sia stato in ascolto: «Lo Spirito... dirà tutto ciò che avrà udito» (v. 13b). È sintomatico poi che in questi cinque testi non si dica mai ai discepoli che credano nello Spirito, perché è solo in Gesù che bisogna credere[11].

Le stesse due cose sono a maggior ragione da affermare per i tradenti delle comunità giovannee: il Discepolo Amato e i suoi continuatori non hanno un nuovo insegnamento da proporre che non sia quello di Gesù, e possono esigere, non di essere fatti oggetto di fede, ma soltanto che si riconosca come veritiera la loro testimonianza. Si può dunque concludere che lo Spirito svolgerà la sua azione soprattutto attraverso coloro che «hanno udito» e che devono dare testimonianza a Gesù senza mai ostacolare o impedire l'accesso al suo insegnamento.

In secondo luogo, quando le mutate situazioni porranno i discepoli su terreni non battuti e di fronte a problemi inediti, lo Spirito annuncerà loro «le cose future» (Gv 16,14). Anche in quel caso non si tratterà di una rivelazione nuova, né di un insegnamento aggiuntivo o concorrente con quello di Gesù. In altre parole, lo Spirito resta «lo Spirito della verità» che attinge alla parola di Gesù e che, soltanto a partire da quel fondamento insostituibile e non perfettibile, «annuncerà le cose future», illuminando i problemi nuovi con la luce del Vangelo eterno di Gesù.

Saranno quelle le ulteriori parole di Gesù il cui peso i discepoli al momento della passione non erano in grado di portare, così che la funzione dello Spirito spazia dal tempo in cui Gesù ha impartito il suo insegnamento fino al tempo in cui le Chiese giovannee, ormai senza Gesù e senza il Discepolo Amato suo testimone, devono andare incontro alle incognite della fine del primo secolo.

6. Lo Spirito, Maestro di vita ad intra e sua funzione ad extra

Come si vede, i cinque testi dello Spirito sono composti con notevole ordine e chiarezza. Il primo dice anzitutto l'origine e la destinazione dello Spirito: su richiesta di Gesù è mandato dal Padre perché sia e rimanga presso i discepoli, e poi dà a lui i titoli di «Paraclito» e di «Spirito di verità», che preparano i testi seguenti.

Tutti e quattro i testi restanti hanno infatti come protagonista lo Spirito come «Paraclito» (il secondo testo dei cinque, il terzo e il quarto, non il quinto) o come «Spirito della verità» (il terzo e il quinto, non il secondo e il quarto): in essi i due epiteti illustrano le due funzioni fondamentali dello Spirito nel tempo della Chiesa. La prima funzione riguarda la vita interna delle Chiese giovannee, ricche del patrimonio che proveniva da Gesù e che risultava come «insegnamento duro».

Altre volte lo fraintendevano fermandosi al livello dei giudei che non vedevano in Gesù il nuovo tempio della Presenza di Dio, o fermandosi al livello di Nicodemo e della sua ironia circa la rinascita di cui Gesù parlava, o fermandosi al livello della samaritana che non sentiva la sete dell'acqua di vita ma solo dell'acqua del pozzo di Giacobbe, o fermandosi al livello dei discepoli che non sapevano apprezzare il cibo di cui Gesù si nutriva. Per queste difficoltà ed esigenze interne, alle comunità giovannee il quarto evangelista chiedeva di mettersi in ascolto dello «Spirito della verità».

La seconda funzione è quella della testimonianza ad extra, quella che con grande convinzione ed efficacia il cieco nato rende di fronte ai giudei, ma non i suoi genitori. Le comunità giovannee che sanno riconoscere lo Spirito attivo in mezzo a loro (14,17), sotto la sua ispirazione devono dare testimonianza al mondo che non lo sa vedere perché non lo conosce.

Esse devono mettere in luce, da un lato l'innocenza di Gesù e la sua gloria presso il Padre e, dall'altro, devono denunciare il peccato del mondo e rendere noto il giudizio divino che lo condanna. Per questo secondo risvolto della vita cristiana, alle comunità giovannee il quarto evangelista chiedeva di mettersi alla scuola dello Spirito come «Paraclito», avvocato dell'innocenza di Gesù e della colpevolezza di chi non crede in lui.

Al dire di Eusebio di Cesarea, Clemente di Alessandria definiva il quarto Vangelo come «Vangelo spirituale» perché narrava episodi e toccava temi più profondi che non gli altri tre Vangeli[12]. Ma il quarto Vangelo è spirituale anche perché educa all'ascolto dello Spirito e alla docilità al suo magistero, sia per la vita intra-ecclesiale, sia per la testimonianza verso il mondo esterno, insensibile e ostile. Spirituale è il Vangelo, spirituale certamente era colui che lo scrisse dopo avere ascoltato i misteri divini reclinandosi sul petto di Gesù, e spirituali devono essere anche i lettori[13].

Note al testo

[1] Cf Lc 22,21-37; Gv 13-17

[2] Per Giacobbe cf Gen 47,29-31, per Mosè cf Dt 31,28-33,29, per Giosuè cf Gs 23,1-24,31, per Davide cf 1Re 2,1-11 e 1 Cr 29,1-29,30, per Tobia cf Tb 14,3-11, per Mattatia 1Mc 2,49-70. Non si possono poi non ricordare i discorsi di addio di Giacobbe ai suoi dodici figli ed eponimi delle dodici tribù nei Testamenti dei Dodici Patriarchi (databili dalla metà del secolo II a.C. agli anni 40-30 del secolo I a.C.).

[3] J. Munck, «Discours d’adieu dans le Nouveau Testament et dans la littérature biblique», in Aux sources de la tradition chrétienne. Mélanges M. Goguel, Neuchâtel 1950, 155-170.

[4] Y. Windisch, «Die fünf johanneische Parakletsprüche», in Festschrift für Jülicher, Tübingen 1927, 110-137; R. Brown, «Il Paraclito. Appendice quinta», in Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Assisi 1979 (Garden City, NY 1966, 1983); E.Cothenet, «Les logia sur le Paraclet», in Dictionnaire de la Bible, Supplément, XI, Paris 1987, 360-378.

[5] B. Gärtner, «The Pauline and Johannine Idea of “To Know God” Against the Hellenistic Background. The Greek Philosophical Principle “Like by Like” in Paul and John», New Testament Studies 14 (1967-1968) 208-231, che documenta la presenza del principio in Empedocle, Platone, Cicerone, Seneca, Dione Crisostomo, Filostrato, e poi nella letteratura ermetica e gnostica (Poimandro, testi di Nag Hammadi), e in Filone alessandrino.

[6] Nei testi di Gv 14-16 la Volgata di s. Girolamo non traduce il termine greco, ma lo traslittera con paraclitus, mentre lo traduce con advocatus in 1Gv 2,1 dove il titolo è dato a Gesù: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate ma, se qualcuno ha peccato, abbiamo un paraclito (advocatus) presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati».

[7] S. Grasso, Il Vangelo di Giovanni. Commento esegetico e teologico, Roma 2008, 595: «Lo “Spirito di verità” è tale in quanto prolunga e porta a compimento l’azione rivelatrice di Gesù».

[8] G. Iacopino, «Iesus Incomprehensus. Gesù frainteso nell’Evangelo di Giovanni», Rivista Biblica 36 (1998) 165-219.

[9] L’immagine è frequente nei Padri e nei Medievali latini (Agostino di Ippona, Paolino di Nola, Primario di Hadrumetum, Isidoro di Siviglia, Beda il venerabile, Ambrosio Autperto, Walafrido Strabone, Ruperto di Deutz, Gioacchino da Fiore, Martino di León), ma in aggiunta i commentatori greci (Gregorio Nazianzeno, Eusebio di Alessandria, Giovanni Damasceno, Giovanni Crisostomo, lo pseudo-Clemente, Giorgio monaco e cronografo, Fozio di Costantinopoli – a cui va aggiunto il codice in minuscola numero 1775) hanno dato all’autore del quarto Vangelo il titolo di Epistethios, «colui che ha posto [il suo capo] sul petto [del Signore]».

[10] R.Brown, Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, 1498-1499: «La loro testimonianza [dei discepoli] era testimonianza del Paraclito che parlava per loro tramite; la profonda re-interpretazione del ministero e delle parole di Gesù, compiuta sotto la direzione del Discepolo Prediletto e ora reperibile nel quarto Vangelo, era opera del Paraclito (…). E il Paraclito non interrompe la sua opera quando questi testimoni oculari muoiono, perché egli dimora presso tutti i cristiani che amano Gesù e obbediscono ai suoi comandamenti».

[11] G. Ghiberti, Spirito e vita cristiana in Giovanni (SB 84), Brescia 1989, 25.

[12] Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 6, 14, 7 (PG 9, 749.C.).

[13] R. Brown, Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, 1498-1499: «Il cristiano recente non è più lontano dal mistero di Gesù di quanto non lo fosse il cristiano antico, perché il Paraclito dimora presso di lui come dimorava presso i testimoni oculari. E ricordando e dando nuovo significato a quello che Gesù aveva detto, il Paraclito guida ogni generazione a fronteggiare situazioni nuove».