La mia Cina sperduta nel deserto dello spirito, di Liu Xiaobo
Riprendiamo da Avvenire del 15/5/2011 un articolo scritto da Liu Xiaobo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Di Liu Xiaobo, vedi anche su questo stesso sito Autodifesa. «La libertà di espressione è la base dei diritti umani, la radice dell’umanità, la madre della verità».
Il Centro culturale Gli scritti (17/5/2011)
A livello spirituale la Cina è entrata in un periodo di "cinismo": non esiste la fiducia, gli atti non corrispondono alle parole, la lingua differisce dal cuore. La gente, compresi gli alti funzionari e i membri del Partito, non credono più al discorso ufficiale; la lealtà verso gli interessi ha rimpiazzato la fedeltà a ciò in cui si crede. […] La schizofrenia delle élite in seno al sistema, particolarmente diffusa tra i giovani e tra le persone di mezza età, rivela un «comportamento da militante clandestino»: in pubblico tutti ripetono il discorso ufficiale come pappagalli e non perdono occasione per fare carriera, ma in privato, nelle cene in villa, è tutto un altro discorso e dicono: «Benché io sia al potere e che tu sia all’opposizione, nei fatti abbiamo le stesse idee. Non c’è che una differenza di metodo: tu lanci i tuoi appelli all’esterno, io mino il sistema all’interno». […] Le persone sono unanimi su questo: in seno al sistema, sono numerosi coloro che non sono d’accordo con la direzione e i loro atti hanno ben più peso di quelli dell’opposizione fuori dal sistema.
Ogni volta che si parla con questi soggetti si ha l’impressione che essi abbiano l’ambizione a lungo termine di un Gorbaciov, cioè che abbiano la forza di sopportare le umiliazione per realizzare il loro compito e diano prova di una saggezza politica impressionante. Forse perché ho visto troppi film rivoluzionari da piccolo e sono troppo traviato da quei programmi, ma riesco spesso a immaginarmi questi personaggi come militanti clandestini pieni di risorse infiltrati in campo nemico. Questo fenomeno non si limita ai quadri dirigenti; lo si ritrova dappertutto: negli ambienti della stampa, dell’educazione, della cultura, dell’economia. Quelli che si sono lanciati negli affari dopo il 4 giugno [gli eventi di piazza Tienanmen, ndr] e hanno fatto fortuna, vi invitano a sontuosi banchetti nel corso dei quali discutono dell’attualità e vi fanno le seguenti grandi dichiarazioni: «Non è per arricchirmi che mi sono dedicato al business, ma per realizzare grandi cose».
Essi elencano in dettaglio il senso della loro azione per la società: 1) partecipano direttamente al processo di privatizzazione del mercato, costruiscono la base economica necessaria alla futura democratizzazione politica; 2) offrono aiuto agli amici poveri e accumulano risorse economiche per permettere all’opposizione di ritornare in futuro sulla scena. La frase che adorano ripetere è: «Non si può fare la rivoluzione senza soldi. Più vogliamo riuscire in futuro, più bisogna guadagnare denaro in modo da creare una solida base economica»; 3) più importante ancora, essi ritengono che le rivoluzioni fatte dai ricchi sono quelle per le quali il prezzo da pagare è il più basso, perché il mercato ha insegnato loro a valutare in maniera precisa costi e benefici. Pensano di non saper fare una rivoluzione il cui costo sarebbe elevato e i benefici infimi. Se i ricchi partecipano alla politica, questo minimizza i rischi della rivoluzione violenta e massimizza le possibilità di evoluzione pacifica. […]
La cosa più triste è il fatto che un’esistenza immersa nel cinismo corrompe la gioventù. Le purghe seguite al 4 giugno hanno portato all’esclusione di numerosi membri del Partito, alla partenza volontaria di un numero ancora maggiore di persone e, anno dopo anno, la quota dei candidati all’entrata nel Partito ha subito un forte calo. Eppure, dopo più di dieci anni di amnesia forzata e di seduzione in nome del profitto, il numero dei giovani candidati ad entrare nel Partito è a poco a poco cresciuto. […] La generazione del dopo-4 giugno, immersa nel pragmatismo e nell’agio, non si sente per nulla preoccupata dalle idee profonde, dalla nobiltà d’animo, dalla lucidità politica, dall’interesse per l’umanità o dai valori che superano l’esperienza, ma adotta, nei riguardi della vita, un atteggiamento pragmatico e opportunista: l’obiettivo principale è diventare una persona altolocata, arricchirsi o partire per l’estero.
Non si interessano ad altro se non alla moda, al consumo di prodotti di lusso e alle andature cool delle star, sono dipendenti dai video giochi e dagli amori di una notte. […] Da qualche anno il fanatismo nazionalista della società cinese sorpassa quello del potere e la più grande passione sociale dei giovani è il nazionalismo. Questo, diretto contro gli Stati Uniti, il Giappone e l’indipendenza di Taiwan, è diventato il principale campo di espressione dell’interesse per la politica da parte dei giovani e il diversivo dell’odio nazionale. I discorsi nazionalisti su internet sono sempre più violenti e volgari, si esprimono con imprecazioni fanatiche, con degli «A morte!» e grandi dichiarazioni di essere pronti a sacrificarsi per la patria.
Questi giovani però evitano di affrontare la questione delle atrocità che avvengono nella società e tanto meno quella della violenza al potere. L’anestesia della compassione e la mancanza di senso della giustizia hanno raggiunto dimensioni di una vera epidemia nella società: quando, per la strada, un vecchio ha un attacco di cuore, nessuno se ne occupa; se un giovane della campagna cade in acqua, nessuno va a salvarlo; quando dei banditi commettono un omicidio su una corriera o un furto davanti a tutti, nessuno dei robusti giovani passeggeri interviene; e quando dei ragazzini volgari fanno "sfilare" delle ragazzine per qualche centinaia di metri, tutti guardano lo spettacolo e nessuno interviene in loro aiuto … Queste novità che vi agghiacciano il cuore le si ritrovano spesso nei media cinesi e anche sugli schermi della tv nazionale. […] Il paesaggio spirituale della Cina post-totalitaria è variegato e unitario; le azioni all’interno del sistema come quelle all’esterno, il linguaggio ufficiale e quello della società, il comportamento pubblico e le discussioni private, la separazione tra la realtà tragica e le performance comiche hanno raggiunto un livello stupefacente. Ma tale separazione si unifica come per magia nella modalità di un’esistenza cinica, la realtà della miseria si trasforma in divertimento popolare diventato sketch, il rilassamento diventa anestesia, e gli scherzi verso le persone oneste, un teatro. Avviene come se fuori dalla vita di piacere e di consumo le sole grandi realizzazioni che restano non fossero altro che lo sviluppo mostruoso della «razionalità dell’homo oeconomicus»: perseguire la massimizzazione dell’interesse personale senza guardare ai mezzi.
(© éditions Gallimard / Bleu de Chine 2011; traduzione di Lorenzo Fazzini)