Magistratura: una funzione pubblica
Non capisco i giudici che fanno parlare di sé, che amano essere intervistati, che desiderano – o non si oppongono - che il loro nome sia conosciuto. Un magistrato dovrebbe scomparire nel suo ruolo. Dovrebbe mostrare che quel giudizio non viene dato in quel modo perché è lui che lo da, ma che egli lo da perché qualunque altro magistrato ne darebbe uno analogo. Perché è la giustizia della legge che lo esige. Ed allora, nessun commento particolare ad una sentenza, nessuna esternazione particolare nel campo della politica, nessuna concessione ai media. Quel giudizio non è di un uomo di destra o di sinistra - questo non deve neanche apparire – ma è un giudizio che è stato emesso secondo l’equità della legge.
Un piccolo ricordo di un padre, magistrato
Eravamo piccoli ed arrivarono alla porta con un regalo: un piatto d’argento per papà, mgistrato. Non capimmo, ma egli subito lo rimandò indietro. Disse: “Volevano ringraziarmi per una sentenza favorevole. ma io non posso accettare”. Noi, piccoli, stupiti, gli dicemmo che sapevamo bene che la sentenza l’aveva emessa con giustizia, non per il regalo. E che, quindi, non c’era niente di male a tenere quella cosa: era un “puro” regalo. Ci rispose che chi esercita la magistratura deve essere ed apparire libero. Qualunque altro magistrato avrebbe dato lo stesso giudizio che lui aveva dato e chi aveva chiesto la causa doveva essere confermato nella convinzione che era solo a motivo della legge – e senza nessun interesse personale – che il giudizio era stato quello. Ci disse che accettare regali vuol dire legarsi, tanto quanto chiedere favori. Che bisogna essere liberi e che chiunque fa regali potrebbe poi un giorno dire: “Ricordati cosa ho fatto per te”. Questo rischio un magistrato non lo deve correre. Deve mantenere tutta la sua indipendenza per svolgere in pienezza il suo servizio.
Da una conferenza di Rosario Livatino (ucciso poi dalla mafia):
Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene decidere è scegliere e a volte tra numerose cose, o strade o soluzioni e scegliere è una delle cose più difficili che l'uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio, un rapporto diretto perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio, un rapporto indiretto per il tramite dell'amore verso la persona giudicata.
Un piccolo ricordo di un padre, magistrato
Eravamo piccoli ed arrivarono alla porta con un regalo: un piatto d’argento per papà, mgistrato. Non capimmo, ma egli subito lo rimandò indietro. Disse: “Volevano ringraziarmi per una sentenza favorevole. ma io non posso accettare”. Noi, piccoli, stupiti, gli dicemmo che sapevamo bene che la sentenza l’aveva emessa con giustizia, non per il regalo. E che, quindi, non c’era niente di male a tenere quella cosa: era un “puro” regalo. Ci rispose che chi esercita la magistratura deve essere ed apparire libero. Qualunque altro magistrato avrebbe dato lo stesso giudizio che lui aveva dato e chi aveva chiesto la causa doveva essere confermato nella convinzione che era solo a motivo della legge – e senza nessun interesse personale – che il giudizio era stato quello. Ci disse che accettare regali vuol dire legarsi, tanto quanto chiedere favori. Che bisogna essere liberi e che chiunque fa regali potrebbe poi un giorno dire: “Ricordati cosa ho fatto per te”. Questo rischio un magistrato non lo deve correre. Deve mantenere tutta la sua indipendenza per svolgere in pienezza il suo servizio.
Da una conferenza di Rosario Livatino (ucciso poi dalla mafia):
Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene decidere è scegliere e a volte tra numerose cose, o strade o soluzioni e scegliere è una delle cose più difficili che l'uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio, un rapporto diretto perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio, un rapporto indiretto per il tramite dell'amore verso la persona giudicata.