Mazzolari: i film? Son luci e ombre...

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 23 /04 /2011 - 14:18 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 22/4/2011 un testo di don Primo Mazzolari, finora inedito. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (23/4/2011)

Al cinema il mio parroco ci è arrivato così, contro voglia, come ad altre imprese sussidiarie. La colpa principale è nell’aria del nostro mondo. Siamo troppo lenti a prendere contatto col bene che la Provvidenza ha nascosto in molte scoperte moderne, che, subito, ci sbatacchiano in faccia la perversione comunicata loro dai primi occupanti. Poiché «i figli delle tenebre sono più accorti dei figli della luce» e più pronti. Noi dormiamo quieti. Ci sappiamo dalla parte del più forte e crediamo d’avere il diritto di dormire. Svegliandoci, ci s’accorge che, nel frattempo, è venuto «l’uomo nemico a seminar zizzanie in mezzo al grano». Allora si pone mano alle deplorazioni, ai lamenti, alle condanne, ai propositi feroci. «Vuoi che l’andiamo a estirpare?». E siccome nessuno si muove e il mondo non si ferma per il nostro brontolare, ecco che qualcuno osa chiedersi: «E se ci fosse modo di cavar qualche cosa di buono anche da codeste diavolerie moderne?». Tanto più che nell’altro campo c’è qualcuno che riconosce d’aver esagerato ed ha bisogno d’essere aiutato a far macchina indietro, poiché il male per il male son pochi che lo vogliono.

Dopo non so quanti sopralluoghi, arriva il bene­stare su una carta dove il mio parroco figura come un tenitore di pubblico locale, obbligato quindi a rispondere come rispondono tutti gli esercenti, come risponde soltanto un prete, che ha l’obbligo di rispondere sempre a tutti. È nel destino di un parroco cinematografaio. La cassetta non c’entra; c’entra la sua paternità, continuamente esposta alle sorprese e alle ferite dello schermo. Non c’è nulla d’assolutamente buono all’infuori di Dio. Le cose degli uomini, anche quando sono buone, hanno lati pericolosi. «Dite a Giovanni ciò che avete veduto... E beato colui che non si scandalizzerà in me». Immaginarsi una cosa venuta su dalla strada, e da una strada non molto pulita, come il cinematografo! Sarei un ingenuo o un insincero se vi dicessi che il mio cinema è proprio una cosa tranquillamente buona. È un minor male, di fronte a un male che cresce e inonda.

Se aspettassimo ad accogliere in casa nostra le persone quando sono persone per bene, potremmo tenere sprangata la canonica fino alla fine dei secoli. Le garanzie ci sono, ma sono così poco sicure e variano secondo gli umori e i criteri di chi guarda. Quello che è educativo per gli uni non lo è per gli altri; quello che è morale per me, un altro m’arriva a catalogarlo tra le cose inguardabili. C’è un film che va bene per gli adulti, un altro che va bene soltanto in sala pubblica, un altro in sala parrocchiale. Qualcuno pensa e dice: an­che il parroco si diverte — perché guardo anch’io verso quell’incantato telone che si anima di poesia, di passione e di umanità poco pulita e garbata. Alla sera di una giornata, che incomincia alle quattro, dopo aver parlato cinque o sei volte e corso di qua e di là, e veduto gente e pene, uno avrebbe il diritto di dire: basta, e di mettersi a sedere presso la finestra a guardar le stelle col cuore in pace. Invece si ricomincia, e si ricomincia sul serio.

Tutti si divertono. È bello veder la propria gente che si diverte: povera gente, gente stanca, gente massacrata. Bisogna aver pietà di questa povera umanità affaticata! Il mio parroco, ora che lo spettacolo incomincia, è l’unico che non si diverte. Nel suo angolo, sta col cuore sospeso. Per quanta precauzione uno ci abbia messo nello scegliere e nel revisionare, c’è sempre l’imprevisto: una scena, un particolare, una battuta stonata o volgare feriscono dolorosamente la sua paternità spirituale.

Certi film insipidi non si possono proiettare: gli altri hanno sempre qualche cosa d’audace anche quando son sani, qualche cosa che scavalca certi schemi, che in alcuni vanno sempre più irrigidendosi, come se la realtà di ogni giorno fosse molto diversa da quella che arriva allo schermo.

Mentre i suoi figliuoli si divertono, egli è in ascolto con l’anima, in tutt’altro piano. Cinecittà, Hollywood sono, in questo momento, adiacenze parrocchiali, annesse spiritualmente alla sua cura. Isa Miranda, Musco, Greta Garbo, Caterina Hepburn, Powell, Chaplin, Fredric March, Marta Egghert, eccetera, suoi parrocchiani, di cui deve rispondere. E quando la parola fine si staglia sullo schermo, e la sua gente sfolla rumorosa e soddisfatta, lui comincia a tirare il fiato. «Anche questa se n’è andata». Domani riceverà il resto. I lamenti di qualche anima timorata; le critiche di qualche collega vicino: un richiamo dalla Curia: l’accusa di concorrenza... E chiudo qui la partita, poiché nel cuore di un parroco, fattosi cinematografaio per dovere, vi sono amarezze che non si possono contare a tutti.