Alice ed Ellen Kessler: vanità di vanità, tutto è vanità, contro il politicamente corretto, ma noi dobbiamo pregare per i morti, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /12 /2025 - 22:42 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Educazione e media, Dell'invecchiare e Del morire.

Il Centro culturale Gli scritti (21/12/2025)

1/ Dinanzi ad Alice ed Ellen, un sistema che stringe le persone nella morsa del politicamente corretto

Nel chiacchiericcio del gossip contemporaneo quasi nessuno si interroga sulle cose che contano, nemmeno dinanzi ad Alice ed Ellen Kessler.

Non si sa nemmeno, a stare ai media, se fossero battezzate. Nelle diverse interviste mai qualcuno chiede loro se siano credenti o meno: il politicamente corretto vieta che si parli delle vere questioni e delle differenze che costituiscono il gusto della vita. Erano luterane, oppure atee? La domanda nemmeno esiste nei social.

In alcune interviste reperibili in video on-line capitava alle due di iniziare a raccontare della decisione di fuggire dalla Germania dell’Est atea degli anni ’50, dopo l’iniziale gioia dell’arrivo degli americani che avevano portato benessere e libertà.

Ma non appena Alice ed Ellen iniziavano ad entrare nell’argomento, descrivendo la tristezza dell’arrivo dei sovietici in Sassonia, ecco che gli intervistatori nostrani cambiavano argomento, per non farle entrare nella descrizione di una situazione che esulava dal politicamente corretto (lo si percepisce chiaramente in un’intervista di Mara Venier in data 10/3/2019 a Domenica in). 

Nessuno, insomma, le chiedeva della fuga dall’est Europa, possibile allora perché avvenuta prima della costruzione del Muro di Berlino e della chiusura delle frontiere della Germania Orientale.

Nei brevi report sulla loro vita composti dai media dopo la loro morte si ripete, invece, la triste e vera notizia della violenza del padre che le aveva accolte in Germania occidentale nel 1952 a Düsseldorf, dove si era rifugiato prima di loro, ma la notizia è fornita perché rientra perfettamente nel clima del politicamente corretto.  

Nelle interviste si glissa anche su come subito la televisione le “consumò”, poiché erano carine ed eleganti, senza mai collegare la loro vicenda a quella di Pier Paolo Pasolini, che usava invece parole di fuoco con ciò che la TV fece allora del paese e delle sue persone[1].

Terribile è la notizia che appare quando chi le interroga le chiede dell’appuntamento notturno con Burt Lancaster e con un produttore appena conosciuti, dove l’attore raccontò poi di averla trovata negli amori di quella notte “gelida come una statua”, mentre la gemella era fuggita perché non le piaceva l’altro.

L’episodio è un piccolo, ma anche grande particolare, che dovrebbe far saltare sulla sedia chi grida oggi allo scandalo del sistema del #Metoo, perché rivela a suo modo ciò che tutti sanno del mondo dello spettacolo e delle avances che ogni donna giovane e carina dovette e deve subire, per di più, in questo caso, con il raccontino pubblico assolutamente contrario alla privacy di come andarono le performances in quella notte.

Sono reperibili on-line, sulla stessa linea della mercificazione delle vite operata dal mondo dello spettacolo[2], anche notizie della decisione di posare nude per Playboy, che fu una sola delle due a volere anche in assenza dell’altra, che, trovandosi dinanzi al fatto compiuto con l’accordo del commercialista che le seguiva, dovette accettare pur non volendo.

D’altro canto, commovente è la dichiarazione che spesso le due riproponevano di non aver mai conosciuto il divertimento, ma solo il lavoro e la fatica: anche tale notizia viene glissata, poiché il fatto che le due abbiano lavorato indefessamente, prova dopo prova, anno dopo anno, per muoversi in perfetta simultaneità, come il jet set richiedeva loro, interessa meno.

Nelle interviste, si ritrovavano poi certamente allineate nell’aver appreso quella visione del mondo che era del sistema che le usava: Alice ed Ellen dichiaravano che, per loro, la libertà era la cosa più importante, che fare il mestiere del cabaret e ballare era vera libertà e che si potevano permettere ormai, con i guadagni dovuti ad un lavoro indefesso, di fare ciò che avevano voglia di fare.

2/ Il libro del Qoèlet, vero interprete della vita degli uomini e delle donne

Le Kessler sono diventate famose cantando che “tutto è splendido”, “tutto è tenero”, “tutto è “giovane”.

Così cantavano, ballando:

«La notte è piccola per noi, troppo piccolina
c’è poco tempo per ballar e per cantar
se il giorno è lungo da passar, la notte vola
La notte è piccola per noi, troppo piccolina
ma per chi canta come noi, insieme a noi
per mille ore durerà un’ora sola
 

La notte è tenera, tenera
giovane, giovane
splendida, splendida
bella da morir

La notte è piccola per noi, troppo piccolina
ma cosa stiamo ad aspettar, vieni a ballar
arriva l’ora prima o poi che ci innamora

La notte è tenera, tenera
giovane, giovane
splendida, splendida
bella da morir

La notte è piccola per noi, troppo piccolina
se stiamo insieme durerà, non fuggirà
il tempo qui si fermerà, qui si fermerà,
tutto resterà, tutto resterà
splendido così, splendido così
solo per noi, per noi, per noi, per noi».

La canzone annunciava esplicitamente che “se stiamo insieme durerà, non fuggirà, il tempo qui si fermerà, qui si fermerà, tutto resterà, tutto resterà splendido così, splendido così”.

Alice ed Ellen cantavano anche un altro motivo che le rese famose: cantavano che “ogni stella grande come il sole ci sembrerà. Ogni luce accesa nel buio. Sembrerà la luna che splende sul mar”.

Infatti, così cantavano:

«Hello boys
Traversando tutto l'Illinois
Valicando il Tennessee
Senza scalo fino a qui
È arrivato il da-da-um-pa
Da-da-um-pa, da-da-um-pa
Da-da-um-pa, da-da-um-pa

Con un cocktail di rugiada e gin
Dentro il calice di un fior
La fortuna fa cin cin se le canti il da-da-um-pa
Da-da-um-pa, da-da-um-pa
Da-da-um-pa, da-da-um-pa

Ogni stella grande come il sole ci sembrerà
Ogni luce accesa nel buio
Sembrerà la luna che splende sul mar

Da-da-um-pa, da-da-um-pa

Lungo il fiume disegnato in ciel
Se ne va questo show-boat, vola questo super jet
Che si chiama da-da-um-pa
Da-da-um-pa, da-da-um-pa
Da-da-um-pa, um-pa

Um-pa, ogni stella grande come il sole ci sembrerà
Ogni luce accesa nel buio
Sembrerà la luna che splende sul mar
Da-da-um-pa, da-da-um-pa

Lungo il fiume disegnato in ciel
Se ne va questo show-boat, vola questo super jet
Che si chiama da-da-um-pa
Da-da-um-pa, da-da-um-pa
Da-da-um-pa, um-pa»[3].

Ebbene così non era: è questo che manifesta la loro fine.

Questa eterna giovinezza, questa bellezza di corpi e spettacoli, questo “canticchiare il dadaumpa”, evidentemente non sono sufficienti.

È qui che, ancor più che su temi particolari, il politicamente corretto tace, perché la vecchiaia e la morte delle Kessler pone la domanda tabù, la questione oggi ritenuta tabù: se esista la felicità, se valga la pena vivere, se tutto abbia un senso o non lo abbia.

La vicenda delle due gemelle ripropone a suo modo la domanda se tutto sia “vano”, se la giovinezza e le stelle e le luci del varietà siano luce che dà pienezza.

È la domanda che ha posto un antico autore, il Qoèlet, domandandosi se tutto sia “vanità”. Si noti bene – è importante rammentarlo per chi non conosce bene l’ebraico – che “vanità” per Qoèlet non ha una connotazione moralistica, quasi che “vano” significasse immorale, o cattivo. No, il suo argomentare è molto più radicale: “vanità” in ebraico si dice hevel, che significa “soffio”. Tutto è soffio, tutto dura un attimo, tutto passa troppo prestoHevel è lo stesso nome di Abele che si chiama così perché compare sulla scena e subito viene ucciso.

La giovinezza, il ballo, un corpo elegante, la televisione, tutto è “soffio”, tutto è “vanità”, tutto è un “inseguire il vento”, tutto dura troppo poco tempo per costruirci sopra la propria felicità e la propria vita.

Per il saggio ebreo che scrisse quel libro è bene “ricordarsi del creatore nei giorni della giovinezza prima che giungano gli anni in cui ognuno dirà che non ci prova alcun gusto, quando si affievoliranno tutti i toni del canto, quando il cappero non avrà più effetto” (probabilmente il riferimento è ad esso come afrodisiaco)[4].

Qoèlet è commovente nel descrivere l’età anziana, quando avverrà che “si curveranno i gagliardi e cesseranno di lavorare le donne che macinano, perché rimaste poche, quando si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre e si chiuderanno le porte delle case - perché si preferirà restare chiusi in casa - e quando si attenuerà il cinguettio degli uccelli”.

Qoèlet, così giustamente amato da ogni epoca, descrive ciò che è accaduto anche nel novembre 2025. Quando passa la giovinezza, quando si affaccia l’età tarda con i suoi malanni, ecco che l’uomo traballa e non sa più se valga la pena vivere. A meno che non confidi in Dio e scopra di avere la sua mano poggiata sulla testa, che lo assicura di avere ancora una missione per altri.

Qoèlet, vista la pochezza dell’uomo, considerato il numero limitato dei suoi giorni, è convinto di quanto sia necessario essere scettici sull’uomo.

È scettico Qoèlet, ma non alla maniera moderna che è scettica su Dio. Le Kessler, come Qoèlet, sono diventate col tempo scettiche sull’uomo, capendo per esperienza che di uomini e donne non ci si può fidare fino in fondo, perché troppo deboli.

Qoèlet, oltre a tale considerazione sulla transitorietà dell’uomo che lo ha accumunato a distanza di secoli ad Alice e Ellen, aveva però una forza: credeva in Dio. E difatti afferma, al termine del suo libro: «Conclusione del discorso, dopo aver ascoltato tutto: temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché qui sta tutto l’uomo. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, anche tutto ciò che è occulto, bene o male» (Qo 12, 13-14).

Ma certo, Qoèlet e le Kessler, ancora oggi questionano, contro il politicamente corretto, se la giovinezza e la presenza siano sufficienti per amare la vita fino in fondo o se, man mano che avanza l’età, avanzi anche l’assenza di amore per la vita e la domanda si modifichi e si faccia più radicale. 

3/ Cosa resta da fare ora?

Una cosa deve ancora essere detta. Che fare ora che l’irreparabile è compiuto? Non è forse “vanità” anche limitarsi a ricordare, per accorgerci poi anche noi che tutto ciò che abbiamo fatto forse non era sufficiente a dare significato all’esistere?

Che fare quando l’irreparabile si compie? Che fare, quando il jet set si impadronisce di ogni notizia e beatifica, senza discutere, anche la chiara ammissione che forse la vita ad un certo punto, dopo tanto apparire sui media, si rivela insensata?

Resta qualcosa di significativo: si debbono offrire messe per loro e per chi, come loro, ritiene che a un certo punto la vita non abbia più senso.

Per me è sempre importante celebrare la messa per i morti: la memoria dell’indulgenza giubilare lo ha ricordato con forza.

Chiedendo anche l’intercessione di Qoèlet, che la sapeva lunga sulla serietà della vita.

Che il Creatore di Qoèlet abbia pietà di loro e conceda loro quella felicità piena che, forse, non avevano ancora conosciuto e che, comunque, avevano perso in età avanzata.



[3] La versione originale usata come sigla di Studio Uno recitava anche:
«Oui, oui, mais oui,
siamo ritornate in Italie,
e felici di esser qui vi diciamo beaucoup merci
canticchiando il Dadaumpa,
U-UN-PA

C'est une chose che la fa la vie en rose,
che portiamo dall'Amerique
e si chiama Dadaumpa
Dadaumpa, Dadaumpa, Dada
U-UN-PA

Ogni stella
grande come il sole,
ci sembrerà,
ogni luce, accesa nel buio,
sembrerà una luna,
che splende sul mar.

Dadaumpa, Dadaumpa,
UN-UN-PA.

Le anime gemelle cercheran
e se le trovammo un di,
e se adesso siamo qui
ringraziamo il Dadaumpa».

[4] Questo è il capitolo di Qoèlet a cui qui si fa riferimento:
«1Ricòrdati del tuo creatore
nei giorni della tua giovinezza,
prima che vengano i giorni tristi
e giungano gli anni di cui dovrai dire:
«Non ci provo alcun gusto»
;
2prima che si oscurino il sole,
la luce, la luna e le stelle
e tornino ancora le nubi dopo la pioggia;
3quando tremeranno i custodi della casa
e si curveranno i gagliardi
e cesseranno di lavorare le donne che macinano,
perché rimaste poche,
e si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre
4e si chiuderanno i battenti sulla strada;
quando si abbasserà il rumore della mola
e si attenuerà il cinguettio degli uccelli
e si affievoliranno tutti i toni del canto;
5quando si avrà paura delle alture
e terrore si proverà nel cammino;
quando fiorirà il mandorlo
e la locusta si trascinerà a stento
e il cappero non avrà più effetto,
poiché l’uomo se ne va nella dimora eterna
e i piagnoni si aggirano per la strada;
6prima che si spezzi il filo d’argento
e la lucerna d’oro s’infranga
e si rompa l’anfora alla fonte
e la carrucola cada nel pozzo,
7e ritorni la polvere alla terra, com’era prima,
e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato.
8Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
tutto è vanità» (Qo 12,1-8).