Pier Paolo Pasolini contro l’insegnamento della vita sessuale nelle scuole: “se un tempo il problema era il clerico-fascismo, oggi è la tolleranza ad essere falsa”. Breve nota di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (30/11/2025)

Il 21 ottobre 1975 Pier Paolo Pasolini venne invitato ad un incontro presso il liceo classico Palmieri di Lecce. L’organizzazione dell’evento avvenne a cura del Ministero della pubblica – che ebbe per titolo “Volgar’eloquio”[1] - due settimane dopo, il 2 novembre 1975, sarebbe stato ucciso.
In quell’incontro, per motivare il valore del dialetto, affermò che esisteva a suo avviso un paragone interessantissimo fra la questione della lingua unica, imposta dalla televisione, e la proposta di cui si discuteva allora in merito all’introduzione “dell'insegnamento della vita sessuale nelle scuole”.
Pasolini critica duramente tale proposta, perché la ritiene in ritardo rispetto alla omologazione ormai proposta dalla televisione e dall’intellighenzia di allora.
Quell’“educazione sessuale” avrebbe avuto senso, per Pasolini, dieci anni prima, negli anni precedenti al ’68, quando in Italia vigeva una “forma di clerico-fascismo, in cui il paese era repressivo, poliziesco e impediva di parlare di certe cose”.
Pasolini accusa con grande acutezza i pedagogisti e i politici che proponevano tale insegnamento di essere fuori tempo e di non avere consapevolezza di essere loro stessi il problema e non la soluzione.
Afferma, infatti, che “in questi dieci anni [cioè dal 1968 al 1975] la situazione antropologica e culturale italiana si è completamente ribaltata”. Infatti, “i giovani hanno esperienze sessuali e una coscienza del sesso che è incommensurabile con quella soltanto di dieci anni fa”.
Pasolini ripeterà la sua critica al ’68 in numerosissimi interventi, accusandone sia gli esponenti stessi, sia gli intellettuali che li difendevano, di essere in ritardo, di essere fuori tempo, perché si dichiaravano innovativi e rivoluzionari, mentre in realtà non erano più tali, essendo inconsapevoli della vita reale di contadini e operai: leggevano, invece, la realtà come “figli di papà”, borghesi e attenti solo ai propri interessi e ai propri piccoli piaceri.
Ma questa affermazione veniva ricondotta da Pasolini ad una motivazione ancora più profonda. Chi proponeva un’educazione alla sessualità nelle scuole non aveva alcuna consapevolezza che “la tolleranza di oggi [in campo sessuale] è una falsa tolleranza, perché è una tolleranza concessa dall'alto”.
Tutto il sistema della televisione e della vita consumistica che dominava l’Italia di quegli anni, insomma, era per lui tollerante, libertario e concedeva ormai tutto a tutti, anche in campo sessuale – era questo, per Pasolini, il messaggio trasmesso dalla televisione e anche dalla scuola.
I promotori di una presunta educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole, invece, continuavano a contrapporsi ad una visione passata della sessualità ormai in via di scomparsa: quella clerico-fascista.
La motivazione con cui anche oggi si pretende di introdurre un’analoga educazione sessuale nelle scuole è ancora più in ritardo: anch’essa vorrebbe liberare i giovani dalla violenza patriarcale (quella che Pasolini chiamava clerico-fascista), senza rendersi conto che sono la falsa liberalità e tolleranza borghesi, moderne, edonistiche e sessantottine ad aver prodotto sfasci ovunque.
È la società televisiva ad aver imposto ormai standard – afferma Pasolini – di una sessualità disponibile sempre e comunque, senza che ci sia alcuna opposizione ai modelli consumistici e massmediatici proposti ovunque.
È il politicamente corretto – diremmo oggi – e non il clerico-fascismo, che andrebbe combattuto. Bisognerebbe scagliarsi contro il modo di vivere la sessualità proposto dal mondo della canzone dei rapper e dei trapper, dalla televisione, dalle discoteche, dal sesso libero e facile, dall’abbassamento dell’età e dall’irresponsabilità dei rapporti, da una visione che propone facili appagamenti.
È la rivoluzione sessuale sessantottina, basata sui testi di Reich e Marcuse e divenuta luogo comune nei decenni successivi ad opera del consumismo borghese, dove l’unico orizzonte è il soddisfacimento del proprio libero piacere, contro una società ritenuta castrante.
Pasolini propone tale paragone, nell’incontro sul “Volgar’eloquio” per affermare che è analogamente cambiata la condizione della scuola e dell’insegnamento. Se un tempo era il dialetto – che rappresentava per lui, invece, un vero e fecondo pluralismo – a fare problema, perché questo comportava la mancanza di un accesso per tutti alla padronanza della lingua, ora la situazione della scuola era radicalmente cambiata, a causa dell’omologazione generata dalla televisione.
Oggi – affermava Pasolini – tutti parlano l’italiano della televisione, così come praticano la sessualità alla maniera proposta dalla televisione – oggi, aggiungeremmo, alla maniera proposta dalle serie televisive, dai social, da TikTok, dai rapper e trapper, dalla pornografia.
Nessuno, invece, sa più contaminare la lingua con la genuinità del dialetto dei contadini e delle regioni d’Italia con la loro sapienza culturale.
Nessuno, insomma, ha intenzione di combattere la visione omologante della lingua, come quella analogamente omologante della sessualità. Per questo le proposte sull’insegnamento dell’italiano e della vita sessuale sono arretrate e inadeguate alla situazione reale.
Pasolini aveva, contemporaneamente, scritto la sua “abiura alla trilogia della vita”, rendendosi conto che la sessualità non era ormai più una via di liberazione, ma una modalità con cui la società borghese permetteva a tutti una completa libera sessualità, in cambio di un asservimento al sistema omologante, perché le giovani generazioni accettassero quella falsa libertà sessuale come sostitutivo di vera liberazione – aveva già diretto, al momento della morte, il primo film della Trilogia della morte, sul rapporto fra potere moderno e falsa “liberazione” sessuale.
D’altro canto, era egli stesso convinto che il suo modo compulsivo di vivere la sessualità non lo avvicinava alla vita.
Pasolini appare modernissimo – e più moderno del ’68 e dei moderni pedagogisti – perché invita anche oggi a rendersi che è inutile combattere falsi nemici di un libero sviluppo della sessualità, quasi che questi fossero i maestri del passato clerico-fascista: egli chiede con forza e autorevolezza, invece, di mettere a nudo i falsi maestri che dal ’68 al presente hanno illuso generazioni sulla prospettiva di una liberazione sessuale che si è rivelata, in realtà, conformismo e progressiva “oggettivizzazione” e “strumentalizzazione” del corpo e delle anime, rendendo addirittura più difficile rispetto al passato la maturazione di una vera capacità amorosa.
Questa la nostra trascrizione del brano pasoliniano fin qui commentato:
«Risponderò a questa domanda [la domanda non è stata registrata], ponendo invece un problema, un problema che sarà delusorio, molto delusorio, sia per Buratti, sia per la maggioranza di voi. Cioè quello che ha detto Buratti qui adesso era estremamente valido e preciso, se detto dieci anni fa. Oggi secondo me non lo è più, o lo è in un altro modo […] in un modo completamente nuovo.
E perché?
Vi faccio un esempio un po’ paradossale, in modo che la cosa si chiarisca subito: c'è stata una riunione a Mestre - tra l'altro anche con risvolti pedagogici, eccetera – sull’introduzione dell'insegnamento della vita sessuale nelle scuole.
Ora anche questo era un discorso che valeva dieci anni fa e non adesso: cioè, insegnare nelle scuole materie sessuali ha una colorazione, un senso, una finalità, una funzione che erano completamente veri, reali, giusti, nel periodo in cui continuava ancora una forma di clerico-fascismo, cioè in cui il paese era un paese repressivo, poliziesco, che impediva di dire certe cose, eccetera, eccetera.
Ma in questi dieci anni […] la situazione antropologica e culturale italiana o meglio l’antropologia culturale o la cultura antropologica italiana, si è completamente ribaltata.
I giovani hanno esperienze sessuali e una coscienza del sesso che è incommensurabile con quella soltanto di dieci anni fa.
Quindi questa programmazione di insegnamento del sesso nelle scuole deve avere tutta un'altra tonalità.
Deve tenere presente, per esempio, che la tolleranza di oggi è una falsa tolleranza, perché è una tolleranza concessa dall'alto e non conquistato dal basso, per esempio.
Deve tener conto di un'infinità di cose di cui dieci anni fa non avevamo nemmeno il sospetto.
Ecco.
Allora la stessa cosa ripeterei per i dialetti.
Perché, fino a dieci anni fa, tutto quello che ha detto Buratti era perfettamente giusto.
Perché l'Italia, la cultura italiana, era una cultura pluralistica, che in realtà non esisteva in quanto cultura italiana, era una vera e propria astrazione. Era una cultura imposta dall'alto, dai piemontesi con l'unità, e poi attraverso una specie di mozione (che non si sa chi l'abbia fatta) che ha imposto agli italiani il fiorentino, semplicemente perché il fiorentino aveva una tradizione letteraria scritta, la quale tradizione letteraria scritta non ha niente a che fare con la lingua parlata – c’è un salto di qualità tra lo scritto e il parlato.
Allora in quell’Italia là, la cui cultura era veramente una cultura pluralistica, in cui ciò che valeva era la cultura romana, la cultura napoletana, la cultura siciliana o quella piemontese o quella friulana - erano queste le culture reali e nel cui ambito insomma vivere la cultura – in realtà adesso questo non c’è più.
O - per lo meno - c’è ancora… guardate, delle volte io parlo per paradosso e un po’ estremisticamente, ma voi cercate di comprendermi con moderazione.
Quando io dico “Non c’è più”, dico “Non c’è più sostanzialmente”, cioè “È destinata a non esserci più”. C’è ancora, sopravvive, è una sopravvivenza, però tale sopravvivenza significa quasi inesistenza.
Il vero problema di oggi non è tanto il fatto che ci sia un pluralismo linguistico e culturale. Il vero problema di oggi è che questo pluralismo linguistico-culturale tende ad essere distrutto e omologato attraverso quel genocidio di cui parlava Marx, che viene compiuto dalla civiltà consumistica, che ha un grande strumento di diffusione che è la televisione, per esempio. E anche la scuola, negli ultimi tempi. Perché professori, insegnanti, che abbiano la coscienza come avete voi, sono una piccola élite. La maggioranza questi problemi non se li pone nemmeno.
Il grande corpo degli insegnanti è affiancato alla televisione per imporre quel famoso italiano che, tra l’altro, non è nemmeno più il bel fiorentino letterario, che poteva essere un ideale, in qualche modo. No!
È l’italiano orrendo della televisione.
Quindi i segni rossi, i voti bassi in italiano, i quattro in italiano, in realtà nelle scuole - non dico alle elementari - non si danno più, perché i temi sono infarciti di dialettismi, che sarebbe ingiusto, perché bisognerebbe anzi dare un nove a un tema in cui ci sia una contaminatio fra italiano e dialetto. Bisogna dare tre a chi parla come Mike Bongiorno, questa è la realtà.
Ecco. La situazione è completamente rovesciata».
[1] L’incontro è disponibile su Youtube in versione audio al link https://www.youtube.com/watch?v=z4V8j61Qphw – il brano che è stato qui trascritto è dal minuto 8.56 e seguenti - e ne rende conto anche il sito Città Pasolini al link https://www.cittapasolini.com/post/il-volgar-eloquio-di-pasolini. All’incontro parteciparono altre personalità, fra cui Gustavo Buratti (noto anche come Tavo Burat, studioso e difensore delle minoranze linguistiche; 1932-2009).



