La serissima ipotesi morale della “resa” laddove una guerra non si può vincere. La tradizione cristiana dinanzi al caso della guerra russo-ucraina e israelo-palestinese. Breve nota di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 26 /10 /2025 - 21:10 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un testo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Per la pace, contro la guerraPolitica internazionale, Ebraismo e Islam.

Il Centro culturale Gli scritti (26/10/2025)

1/ Dinanzi alle guerre russo-ucraina e israelo-palestinese

Dinanzi alle guerre russo-ucraina e israelo-palestinese giustamente si è discusso e si discute ancora dell’estrema violenza con cui sono combattute e dell’ingiustizia delle aggressioni.

C’è un elemento, però, che non viene mai posto in rilievo e che, invece, deve essere evocato per la sua importanza e decisività nella valutazione morale degli eventi.

Esso proviene dalla tradizione cattolica la quale, riflettendo sul dramma della guerra e sulla sua immoralità, arriva a considerare la violenza sempre e solo come extrema ratio e solo a determinate condizioni

2/ L’esigenza morale della “resa” laddove “non ci siano fondate condizioni di successo” militare

Questo è il punto sovente trascurato: dinanzi all’ipotesi di una guerra che deve essere scongiurata sempre e dovunque, almeno essa non deve essere mai combattuta dove non “ci siano fondate condizioni di successo”.

Non basta riconoscere che una determinata parte abbia ragione morale – ad esempio, sia stata invasa o abbia subito eccidi. Se l’azione militare è comunque, alla resa dei conti, inutile, è bene moralmente astenersene, perché porta solo a perdite umane e a danni, addirittura senza alcun beneficio. 

Non è questa, forse, la situazione della guerra russo-ucraina? Sebbene l’azione russa si configuri come una vera e propria invasione, ha l’Ucraina la forza di ritornare in possesso di regioni come il Donbass o la Crimea? O, per quanto impeghi risorse e uomini, non ne rientrerà comunque in possesso?

Le perdite umane e materiali sono allora utili a qualcosa o sono assolutamente inutili, poiché il fronte non si sposterà di un millimetro?

La stessa domanda può essere posta dinanzi alla situazione di Gaza.

Hamas ha la forza di resistere all’azione israeliana? Oppure una sua resa avrebbe almeno l’effetto di risparmiare tante perdite civili, con innocenti che verrebbero salvati, con la consegna degli ostaggi e delle armi?

All’opposto, se si proseguisse nell’azione armata e se anche fosse giusta, non si configurerebbe comunque essa come immorale, in quanto inutile?

Una resa onorevole non sarebbe forse meglio?

3/ Gesù stesso racconta della necessità opportuna di una “resa”

Gesù stesso dichiara con forza: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace» (Lc 14, 31-32). 

Tali espressioni sono inserite all’interno di una sua argomentazione: egli intende dire che qualsiasi governante saggio si comporta così.

Si scende in guerra se si ha una possibilità concreta di vittoria, altrimenti si cercano immediatamente altre soluzioni. Non si combatte tanto per combattere, sapendo che le morti in combattimento saranno inutili ai fini della difesa di un territorio. Non basta aver ragione per combattere, se non si hanno concrete possibilità di successo.

4/ La visione della Chiesa condensata nel Catechismo della Chiesa Cattolica

Tale condizione – quella della seria possibilità di un successo – non è ovviamente l’unica che potrebbe in qualche modo giustificare una legittima difesa collettiva.

 Scrive, in merito, così il Catechismo della Chiesa cattolica, raccogliendo due millenni di riflessioni:

«Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:
— che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;
— che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
— che ci siano fondate condizioni di successo;
— che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.
Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della «guerra giusta».
La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune» (CCC 2309).

Vanno considerate, insomma, “con rigore” le condizioni di legittima difesa, perché talmente dolorosa è la guerra che deve essere scongiurata a tutti i costi.

Ma certo, fra gli elementi che non giustificano una legittima difesa, sta la mancanza di fondate condizioni di successo.

In tal caso sarebbe auspicabile un altro tipo di opposizione non violenta all’ingiustizia e alla violenza.

5/ Le dichiarazioni del magistero contemporaneo spinte ancora più in avanti

È noto che il magistero si è spinto anche oltre, intendendo mostrare che la “guerra” dovrebbe essere rifiutata a priori e che è lo stesso concetto di “guerra giustificabile anche in quanto legittima difesa” che dovrebbe essere messo in discussione.

Già il Concilio Vaticano II aveva dichiarato: «considerando l’orrore e l’atrocità della guerra enormemente accresciuti dal progresso delle armi scientifiche», esorta a «considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova, mens omnino nova» (Gaudium et spes 80)

Papa Francesco ha poi affermato, nella stessa prospettiva: «Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti» (Messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace del 2017). 

E, nell’enciclica Fratelli tutti, ha affermato: «Oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”» (Fratelli tutti, 258).

Se però ancora mai il magistero ha dichiarato che, stante il peccato degli uomini e delle nazioni, la guerra non debba mai essere combattuta anche in presenza di stragi ed eccidi contro la popolazione civile, valgano almeno le condizioni che esso pone ad invitare ad una “resa” come al gesto moralmente più adeguato in una situazione in cui il cessare dai combattimenti, pur avendo dalla propria la ragione e la giustizia, comporta almeno la salvezza di tante vite umane.