Ma perché i palestinesi cristiani fra il pugno di ferro di Hamas e quello di Israele preferiscono il secondo e mai vorrebbero abitare in una Palestina “libera”? Un’interrogazione di Giovanni Amico
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Politica internazionale, Ebraismo e Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (12/10/2025)

Mi permetto di aggiungere un elemento alle riflessioni tutte occidentali su Gaza, Israele e la Palestina così polarizzate e divise come non mai, quasi ci fossero i giusti tutti da una parte e gli ingiusti tutti dall’altra.
Chi conosce bene i palestinesi cristiani di Terra santa sa bene quanto essi sperimentino il pugno di ferro di Israele, che ha cercato in diverse occasioni di ridurre la libertà d’azione delle comunità cristiane ortodosse o cattoliche o ha requisito terreni o ha reso difficile l’apertura di aziende o attività o ha commesso prevaricazioni contro di esse.
Eppure tutti costoro, se fossero obbligati a scegliere – o se potessero scegliere – fra tale condizione e passare sotto il pugno di ferro di Hamas, in una Palestina “libera” governata da tale organizzazione o, comunque, in una Palestina libera a maggioranza islamica che potrebbe passare in una qualsivoglia elezione in mano a costoro, affermano serenamente di preferire di stare sotto il giogo di Israele che sotto quello di Hamas.
Chi ha amici arabi di Palestina che studiano nelle università italiane sa bene quanto costoro invece di inneggiare alla fine dei combattimenti e ad una Palestina libera postano foto sulla persecuzione dei cristiani in Nigeria o in Siria e ci dicono amichevolmente di alzare la voce in difesa delle Chiese di Nigeria e di Siria: perché questo?
Cosa significa questo e cioè che persone profondamente palestinesi, che detestano la violenza israeliana, non abbiano alcuna fiducia in una pretesa “libera” Palestina, che libera non sarebbe affatto – a loro dire – e preferiscono, pur conoscendone la durezza, vivere nello Stato di Israele, che pure stigmatizzano?
La loro voce non è europea e non è di destra o di sinistra, ma certo interroga chi dall’esterno pretende di aver ben capito come stanno le cose.
Fra l’altro tutto questo riporta alla questione ancora del tutto irrisolta se il mondo islamico sia pronto ad una democrazia. A suo modo, anche la Palestina ricorda, come già l’Iran, l’Iraq, la Libia, la Siria, e tante altre nazioni, che ove non c’è un dittatore illuminato in un paese islamico, lì prendono la maggioranza coloro che, in nome della legge islamica, riducono tutti ad una gravissima mancanza di libertà.
Che fare dunque? Una Palestina “libera” dovrebbe essere governata da chi e con quali garanzie?
Queste considerazioni nulla tolgono alla condanna ferma e determinata degli eccidi di Israele a Gaza. Ma non basta tale condanna ed un eventuale ritiro delle truppe, che speriamo il più veloce possibile, a dare “libertà” alla Palestina, come invece in maniera gravemente ingenua e semplificatoria sembrano annunciare gli slogan che vengono gridati da tanti.