La cripta dei papi nelle catacombe di San Callisto e le prime proprietà della comunità cristiana di Roma, ben prima di Costantino, di Andrea Lonardo (con testi dal sito ufficiale della catacomba e con un articolo di Stefania Falasca)
1/ La cripta dei papi nelle catacombe di San Callisto e le prime proprietà della comunità cristiana di Roma, ben prima di Costantino, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Roma e le sue basiliche e Arte paleocristiana.
Il Centro culturale Gli scritti (9/7/2025)

Una duplice testimonianza – letteraria e archeologica – attesta come la comunità cristiana iniziò a possedere luoghi e a curarne la decorazione ben prima di Costantino.
È in Roma che le fonti letterarie attestano, infatti, la proprietà delle catacombe poi dette di Callisto proprio perché è certo che il diacono Callisto – solo successivamente papa e santo – venne incaricato della cura di quelle catacombe a nome dell’intera comunità.
Il dato è noto dalla Confutazione di tutte le eresie (un testo attribuito ad Ippolito Romano, ma di incerta paternità) che ricorda come, intorno all’anno 200:
«Alla morte di Vittore, Zefirino, volendo [Callisto] come collaboratore nell’istruzione del clero, [lo] onorò […], e trasferitolo da Anzio gli diede l’incarico di sorvegliante del cimitero»[1].
Insomma un secolo prima di Costantino la proprietà del luogo è della comunità romana e, in particolare, è gestita dal vescovo di Roma, passando in consegna da pontefice a pontefice.
È paradossale l’esistenza di tale proprietà in decenni nei quali la comunità cristiana è illegale, eppure possiede beni ben conosciuti dall’autorità romana – tanto è vero che nel corso della persecuzione di Valeriano proprio nelle catacombe di San Callisto saranno catturati prima il pontefice Sisto II con quattro diaconi e poi, quattro giorni dopo, Lorenzo, tanto era notorio l’utilizzo del luogo da parte della Chiesa di Roma.
Tale attestazione letteraria della proprietà della comunità stessa è poi confermata dal dato materiale archeologico e, precisamente, dall’esistenza nella catacomba stessa, di una cripta nella quale vennero via via sepolti i pontefici del III secolo, segno della totale disponibilità nell’utilizzo di quel luogo da parte dei cristiani di Roma.
Sebbene la cripta dei papi conobbe ristrutturazioni almeno fino al V secolo[2] – è certo, ad esempio, che papa Damaso compose carmi per la stessa catacomba e la stessa cripta, facendo realizzare iscrizioni in loco[3], una delle quali attestante interventi architettonici – tuttavia le lapidi delle tombe dei pontefici sono datate dagli archeologi agli anni stessi della loro morte e sepoltura[4].
Carletti pone la prima di esse, quella dell’episkopos Antero, come la prima della sezione “Dalle origini all’età protocostantiniana” del suo volume che introduce all’epigrafia dei cristiani[5], poiché essa è indubbiamente autentica.
La cripta dei papi, come è noto, venne riportata alla luce dall’archeologo Giovanni Battista de Rossi nel 1854 e più volte studiata e restaurata fino al tempo presente.
Il dato è interessantissimo, perché mostra come la comunità cristiana non fu mai puramente “spirituale”, bensì fin da subito si preoccupò dell’acquisizione di luoghi stabili di proprietà per la sua vita comune e comunitaria.
Come chi scrive ha già sostenuto[6], ciò avvenne anche con l’edificazione e il possesso di specifici edifici in superficie – cioè di vere e proprie chiese – ben prima della pace costantiniana, poiché la libertà nell’uso di luoghi è il logico corrispettivo del carattere comunitario della fede cristiana che abbisogna di spazi in cui potersi riunire per le celebrazioni, per incontri di catechesi e formazione, come di dibattito e decisione, così come di luoghi per la sepoltura dei propri cari: sono le fonti letterarie a darne l’assoluta certezza, ben oltre le sporadiche prove archeologiche[7].
Se, inizialmente, per le liturgie e gli incontri si utilizzarono le case private – le cosiddette domus ecclesiae – prese in prestito in alcuni giorni della settimana e si seppellì in catacombe di altrui proprietà a fianco di morti non cristiani, è nel III secolo che nacque l’esigenza sia di luoghi di stabile proprietà comunitaria – gestiti dal vescovo stesso di Roma – per le liturgie e le riunioni, così come, evidentemente, di catacombe di proprietà, volte alla sepoltura sia degli ecclesiastici, sia dei martiri, così come dei cristiani più in generale coma anche di quelli più poveri, perché le sepolture fossero le une vicino alle altre e tutte vicine a quelle dei martiri e dei santi.
2/ La cripta dei Papi
Riprendiamo sul nostro sito alcuni testi tratti dal sito ufficiale delle Catacombe di San Callisto (https://www.catacombesancallisto.it/it/cripta-papi.php). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Roma e le sue basiliche e Arte paleocristiana.
Il Centro culturale Gli scritti (9/7/2025)
È il luogo più sacro ed importante di queste catacombe, scoperto dal grande archeologo Giovanni Battista de Rossi nel 1854, e definito da lui “il piccolo Vaticano, il monumento centrale di tutte le necropoli cristiane”. Ebbe origine verso la fine del 2º secolo come cubicolo privato. Dopo la donazione dell’area alla Chiesa di Roma, il cubicolo venne ristrutturato e trasformato in cripta e divenne il sepolcreto dei Papi del 3º secolo. La cripta, di forma rettangolare, conteneva 4 nicchie per sarcofagi e sei loculi per lato; in tutto 16 sepolture, più una tomba monumentale sulla parete di fondo.
In questa cripta furono sepolti 9 Papi e 8 Vescovi del 3º secolo. Alle pareti sono fissate le lapidi originali, spezzate e incomplete, di 5 papi. I loro nomi sono scritti in greco, secondo l'uso ufficiale della Chiesa del tempo. Su 4 lapidi, accanto al nome del pontefice, c’è la qualifica di epì(scopos) = vescovo, perché era il capo della Chiesa di Roma; e su due lapidi c'è la sigla, cioè l'abbreviazione MTR = Martire. Martire significa [letteralmente] testimone. Furono chiamati martiri i cristiani che avevano testimoniato col sangue la fede in Cristo.
I nomi dei Papi scritti sulle lapidi
San Ponziano (230-235), morì martire in Sardegna dove era stato esiliato e condannato ai lavori forzati. Per non mettere in difficoltà la Chiesa di Roma a causa della sua definitiva assenza, poco dopo il suo arrivo nell’isola rinunciò al pontificato. Probabilmente il clima malsano, il lavoro sfibrante in miniera e il cattivo trattamento ne affrettarono la fine. Alla sua morte la Chiesa lo considerò un vero martire. Alcuni anni più tardi le sue spoglie vennero trasportate a Roma e sepolte in San Callisto.
Sant’Antérote (235-236), di origine greca, ebbe un brevissimo pontificato, soltanto di 43 giorni tutti trascorsi in carcere.
San Fabiano (236-250) era romano e venne eletto papa alla morte di Sant'Antérote. Il suo servizio coincise con un periodo di pace religiosa. Fu un grande organizzatore della Chiesa di Roma. Divise la città in 7 regioni ecclesiastiche affidando a ciascuna i suoi “titoli” (parrocchie), il suo clero e le sue catacombe (cimiteri). Morì decapitato durante la persecuzione dell'imperatore Decio.
San Lucio I (253-254). Ebbe un pontificato breve: otto mesi in tutto, trascorsi in parte a Civitavecchia, dove era stato esiliato.
Sant’Eutichiano (275-283), di Luni in Liguria, fu l’ultimo dei nove papi ad essere sepolto in questa cripta.
Il papa Martire Sisto II (257-258), definito da San Cipriano “sacerdote buono e pacifico”, è certamente uno dei martiri più illustri di questa catacomba. È il martire per eccellenza delle catacombe. Infatti stava presiedendo una liturgia proprio in questo cimitero, quando venne sorpreso dai soldati dell'imperatore Valeriano il 6 agosto 258 e decapitato sul posto, lo stesso giorno, assieme a quattro diaconi.
Gli altri papi qui sepolti sono Stefano I (254-257), San Dionisio (259-268) e San Felice I (269-274), di cui però non si sono rinvenute le lapidi.
Nel IV secolo il papa San Damaso, pio cultore dei Martiri, trasformò la cripta in luogo di culto. Vi fece collocare un altare, di cui si conserva ora soltanto l'antico basamento in marmo. Vennero aperti nel soffitto due lucernari e furono collocate le colonne, che reggevano un architrave da cui pendevano lampade e croci in onore dei Martiri.
Molto interessante dal punto di vista storico è la lapide originale che ancora in gran parte si conserva davanti alla tomba del papa Sisto II. Venne fatta incidere sul marmo dal papa Damaso e contiene un secondo carme, in esametri latini, che commemora i martiri e i fedeli sepolti nella cripta e in tutto il cimitero:
Se lo cerchi, sappi che qui riposa unita una schiera di Beati.
I sepolcri venerandi conservano i corpi dei Santi,
ma la reggia del cielo ha rapito per sé le anime elette.
Qui i compagni di Sisto
che innalzano i trofei vinti al nemico.
Qui il gruppo degli anziani che custodisce gli altari di Cristo.
qui il Vescovo che visse nella lunga pace;
qui i santi confessori (della fede) inviati dalla Grecia;
qui giovani e ragazzi e i vecchi
con i loro casti discendenti,
che preferirono conservare la loro purezza verginale.
Qui, anch'io, Damaso, lo confesso, avrei voluto essere sepolto,
ma ebbe timore di disturbare le ceneri sante dei Beati.
“I compagni di Sisto” sono i quattro diaconi: Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano, che subirono il martirio insieme con lui. “Il gruppo degli anziani” che custodisce l'altare di Cristo sono, evidentemente, i Papi tumulati nel cimitero. L'espressione “il vescovo che visse nella lunga pace” riguarda un papa vissuto prima delle grandi persecuzioni scatenate da Diocleziano e Galerio tra la fine del 3º e i primi anni del 4º secolo: il Papa Fabiano, oppure Dionisio o Eutichiano. Con “i santi confessori inviati dalla Grecia” si allude probabilmente ad un gruppo di martiri: Ippolito, Paolino, Adria, Eusebio, Maria, Marta e Marcello, che ebbero sepolture in questo complesso catacombale.
La regione di San Gaio e Sant’Eusebio
N.B. Il presente testo è tratto da una diversa pagina web del sito ufficiale delle catacombe di San Callisto: (https://www.catacombesancallisto.it/it/regione-san-gaio-san-eusebio.php )
Procedendo, lungo la galleria Q1 oltre alla scala di uscita Z, si incontrano subito due importanti cripte storiche: sulla destra la cripta di Papa Gaio e sulla sinistra quella del papa martire Sant'Eusebio.
La Cripta di San Gaio
La cripta occupa un posto speciale nelle Catacombe di San Callisto per le sue proporzioni davvero eccezionali. Poteva contenere più di sessanta persone. Fu progettata fin dall'origine così vasta per favorire le riunioni comunitarie. Attraverso l’ampio lucernario, situato nella galleria, venivano assicurate alla cripta la luce e la sufficiente aerazione. La decorazione è molto sobria; le pareti furono rivestite di un semplice strato di stucco bianco.
Nelle pareti laterali si trovano molti loculi, ma solo tre nella parete di fondo. Il loculo di mezzo, di proporzioni considerevoli, è la tomba principale e più importante di tutta la cripta. In essa si conservano i frammenti dell’iscrizione greca del papa Gaio [fu papa dal 283 al 296 ed era, secondo il Liber pontificalis, originario di Salona, la stessa città da cui proveniva Diocleziano]: “Deposizione del vescovo Gaio il 22 aprile” (anno 296).
Nella cripta troviamo varie iscrizioni greche e latine, purtroppo quasi tutte frammentarie, e anche dei graffiti. Uno di essi dice: “Signore, aiuta il tuo servo Beniamino”. In un’epigrafe è scritto: “In pace lo spirito di Silvano. Amen”. Anche il pavimento è pieno di tombe. Sulle pareti della cripta i graffiti riportano i nomi di tre vescovi africani, venuti a pregare sulla tomba del loro connazionale Sant’Ottato, probabilmente sepolto in questa cripta [probabilmente Ottato di Milevi, morto negli ultimi decenni del IV secolo].
La Cripta di Sant’Eusebio
Si trova di fronte a quella di San Gaio. È di forma rettangolare, ma non eccessivamente spaziosa. Le pareti e il pavimento erano rivestiti di marmo. Il lucernario è moderno, quello originale si apriva sul soffitto della galleria.
La cripta contiene tre arcosoli. Nell’arcosolio della parete destra era situato il sepolcro di Sant’Eusebio [fu papa per alcuni mesi nell’anno 309]. L’interno era rivestito di marmo, con l’arco decorato a mosaico. In esso si trova una grande lastra marmorea moderna su cui è inciso il carme composto da papa Damaso in onore di Sant’Eusebio. Al centro della stanza sepolcrale è collocata una rozza copia di questo carme, fatta incidere dopo la devastazione gotica dal papa Vigilio (537-559). Sul retro la lastra contiene una dedicazione in onore di Caracalla.
L’iscrizione del papa Damaso ricorda la bontà e la misericordia del pontefice verso i lapsi, gli apostati del cristianesimo, cioè di coloro che, per paura delle persecuzioni, avevano rinnegato la fede.
Opposta al pontefice era la posizione di Eraclio, un esponente del clero romano, che non accettava il loro pentimento. Il Papa sosteneva che sull'esempio di Cristo, che aveva perdonato sempre, bisognava essere comprensivi e perdonare gli apostati dopo un periodo di adeguata penitenza.
La controversia, già dibattuta sotto il pontificato del papa San Cornelio (251-253), causò vivaci contrasti soprattutto nella seconda metà del 3º secolo e all'inizio del 4º. Furono provocati disordini. L’imperatore Massenzio, a causa degli scontri tra le due fazioni religiose, fece allontanare da Roma i loro esponenti. Eusebio fu mandato in esilio in Sicilia, dove morì di stenti qualche tempo dopo. La Chiesa lo considerò subito un vero martire. Il suo successore San Milziade ne fece riportare il corpo a Roma e lo depose in questa cripta che da lui prese il nome.
Il carme reca la dedica “Damaso vescovo fece (l’iscrizione) a Eusebio, vescovo e martire”.
Ecco il testo del carme:
Eraclio non ammetteva che i lapsi potessero far penitenza dei loro peccati.
Eusebio insegnava che questi infelici dovessero piangere i loro peccati (far penitenza).
Il popolo, con l'intensificarsi delle passioni, si divise in due fazioni:
nascono sedizioni, lotte, discordie, liti.
(Eusebio ed Eraclio) sono subito egualmente esiliati dal crudele tiranno.
Poiché la guida (il papa) aveva conservati intatti i principi di pace
egli sopportò lietamente l'esilio, in attesa del giudizio divino.
Lasciò il mondo e la vita terrena sulla sponda sicula.
3/ Le catacombe di San Callisto: «Siamo venuti a bere alle sorgenti». Un Papa, un archeologo e i suoi allievi: viaggio alla riscoperta delle tombe dei pontefici martiri nel primo cimitero della Chiesa di Roma, di Stefania Falasca
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Stefania Falasca, pubblicato il 12/10/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Roma e le sue basiliche e Arte paleocristiana.
Il Centro culturale Gli scritti (9/7/2025)
Un giorno d’aprile del 1870 due ragazzi appena diciottenni, Mariano Armellini e Orazio Marucchi, stavano camminando lungo la via Nomentana quando incontrarono il papa Pio IX di ritorno in città con un piccolo seguito. Il Papa, vedendo quei due ragazzi con libri e carte, si fermò e domandò loro da dove venissero. Sorpresi e imbarazzati i due risposero che erano studenti e venivano dalle catacombe di Sant’Agnese dove erano stati mandati dal loro professore Giovanni Battista De Rossi.
Pio IX li benedì e disse: «Cari figlioli, studiatele con amore sotto la guida del vostro bravo maestro, e pregate presso i santi martiri nelle catacombe come solevano fare gli antichi cristiani, perché del loro sangue noi siamo la stirpe». Papa Pio IX e Giovanni Battista De Rossi, fondatore della moderna archeologia cristiana, sono stati i grandi artefici della riscoperta delle catacombe di Roma. È grazie a loro se oggi è possibile conoscere e visitare questi luoghi cari alla memoria cristiana.
L’archeologo De Rossi ebbe soprattutto il merito di riportare alla luce la più celebre tra tutte le catacombe: quella di San Callisto, il primo cimitero sotterraneo ufficiale della Chiesa di Roma.
Nel 1849, nell’area di San Callisto che si estende tra la via Appia e la via Ardeatina, l’archeologo scoprì frammenti di una lapide che recava la scritta «NELIUS MARTYR». Intuì la prima parte mancante del nome e, completando la scritta in CORNELIUS, comprese che si trattava dell’iscrizione sepolcrale del papa martire Cornelio (251-253), morto a Civitavecchia.
Il De Rossi sapeva di aver scoperto la lastra di marmo del suo sepolcro nel terreno soprastante a un cimitero fino ad allora inesplorato, ma che antichi rilievi topografici e sicure fonti localizzavano proprio in quella zona. L’archeologo si recò allora dal papa Pio IX, gli raccontò delle sue scoperte e delle sue speranze e lo pregò di comprare quel terreno.
Gli scavi gli diedero ragione. Nel giro di pochi anni riportò alla luce ben sei cripte: la cripta del papa martire Cornelio, quella di Calocero e Partenio, la cripta del santo papa Gaio (283-296), quella del papa martire Eusebio (309) e le due più note e venerate memorie di tutte le catacombe romane: il Sepolcreto dei Papi del III secolo e la Cripta di Santa Cecilia.
Già all’inizio del II secolo quest’area era adibita alla sepoltura. I proprietari l’avevano messa a disposizione dei fratelli nella fede. All’inizio del III secolo il complesso cimiteriale venne donato al Vescovo di Roma, papa Zefirino (217), che ne affidò la gestione al suo primo diacono, Callisto.
Nacque così il primo cimitero alle dirette dipendenze della Chiesa di Roma e il suo nome rimarrà legato a colui che resterà custode del cimitero per vent’anni, prima di diventare Pontefice ed essere martirizzato durante una sommossa a Trastevere.
Dal suo successore Urbano I (222-230) fino a papa Marco (336) ben sedici pontefici, molti dei quali martiri, trovarono sepoltura presso il cimitero di San Callisto della Chiesa di Roma.
In un’epigrafe, questo luogo sacro, è paragonato alla Gerusalemme celeste: «Gerusalemme, città e ornamento dei martiri di Dio». Siamo nel breve tratto di galleria che apre al «glorioso sepolcreto più insigne di tutte le necropoli cristiane», come definì il De Rossi la Cripta dei Papi.
Qui le lastre sepolcrali dei Successori di Pietro: Ponziano, Antero, Fabiano, Lucio, Sisto II, Eutichiano e ancora i nomi di alcuni sacerdoti e dei quattro diaconi martirizzati insieme a papa Sisto nel 258 durante la celebrazione della messa in queste catacombe, dopo che l’imperatore Valeriano aveva confiscato i beni della Chiesa.
Quando nel IV secolo, con la fine delle persecuzioni, la venerazione dei martiri si diffuse sempre più, il santo papa Damaso, grande cultore di martiri, trasformò questa Cripta in una chiesa. Davanti alla tomba di Sisto II è posto un carme in esametri latini, forse la più famosa tra tutte le composizioni di papa Damaso:
«Sappi che qui riposa riunita insieme una schiera di santi/ i sepolcri venerandi ne conservano i corpi/mentre il Regno dei Cieli accoglie le anime elette./ Qui sono i compagni di Sisto che trionfarono sul persecutore/ qui la schiera dei Papi che custodiscono l’altare di Cristo/ qui giovani e ragazzi e vecchi con il loro casti discendenti./Qui anch’io Damaso, lo confesso, avrei voluto essere sepolto/ ma ebbi timore di disturbare le ceneri dei santi».
Damaso fece ornare e abbellire anche la cripta di Santa Cecilia, posta accanto a quella dei Papi.
Dal IV all’VIII secolo questo santuario era secondo per notorietà e frequentazione solo alla Necropoli Vaticana. Gli antichi pellegrini scendevano per una lunga scala e proseguivano verso la Cripta dei Papi e quella di santa Cecilia per pregare sulle loro tombe e dei tanti martiri qui venerati.
Al lume delle torce dovevano splendere ancora intatte le pitture che ornavano le tombe. Pitture che insieme ai simboli erano un richiamo visibile alla storia della salvezza operata da Gesù Cristo. Si trova qui la più antica rappresentazione del Battesimo.
Qui anche una delle più antiche immagini di Maria. È nella regione detta di “Santa Sotere”, regione che prende nome dalla martire parente del santo vescovo di Milano Ambrogio, raffigurata in un arcosolio nella scena che descrive l’adorazione dei Magi e la Madonna in trono che tiene in braccio Gesù Bambino.
Di fronte all’arcosolio della Madonna un passaggio immette a quattro cubicoli collegati tra loro. È qui, nella seconda metà dell’Ottocento, all’epoca degli scavi, che avevano preso l’abitudine di riunirsi a pregare insieme, come facevano i primi cristiani, il gruppo di giovani allievi di Giovanni Battista De Rossi.
Avevano scelto come luogo di preghiera questi quattro cubicoli che, per la loro conformazione architettonica, si prestavano al canto alternato dei salmi, comunicando per mezzo di un lucernario che permetteva il diffondersi delle voci da una camera a all’altra.
Nei primi giorni del 1878 vollero celebrare l’imminente festa dell’Epifania all’arcosolio della Madonna. Fu in quella occasione che maturarono l’idea di istituire un’associazione che avesse per scopo il culto dei martiri nelle catacombe. Nacque così nel 1879, con piena approvazione di Pio IX, il Collegium cultorum martyrum che ebbe tra i fondatori proprio l’Armellini e il Marucchi.
Pio IX stesso era già sceso, in precedenza, nel sepolcreto. Prima della visita, mentre faceva colazione alla villa dei Cavalieri di Malta sull’Aventino, disse in tono scherzoso ai circostanti in maniera che il De Rossi potesse sentirlo: «Gli archeologici sono sognatori e fantasticano tante cose che il comune de’ mortali neanche arriva a capire».
Ma durante la visita alle gallerie sotterranee di San Callisto il Papa rimase profondamente commosso. Lo annota lo stesso De Rossi nelle sue memorie: «Arrivò con poche persone al seguito nel pomeriggio e scendemmo nei sotterranei. Gli spiegai le scoperte riguardo le iscrizioni sepolcrali di alcuni santi Successori di Pietro. Entrammo quindi nella Cripta dei Papi e gli indicai le lapidi rinvenute. Pio IX rivolgendosi a me disse: “Sono dunque veramente queste le lapidi dei primi Successori di Pietro, sono questi i sepolcri dei miei predecessori che qui riposano?”. “Santità – risposi – qui sono scritti i nomi dei papi martiri che Damaso, l’infaticabile culture dei martiri, nomina nel carme che vi ho spiegato”. Allora Pio IX si avvicinò, prese nelle mani le lastre di marmo e lesse i nomi. Nel vedere scritti quei nomi divenne tutto rosso per l’emozione e i suoi occhi si bagnarono di lacrime. Poi si inginocchiò a terra e rimase assorto in preghiera».
Per la prima volta, dopo quasi mille anni, un successore di Pietro rimetteva piede in questi luoghi resi santi dal sangue di tanti testimoni. Dopo Pio IX, il primo Vescovo di Roma a ridiscendere nelle catacombe di San Callisto è stato Giovanni XXIII, il 19 settembre 1961, un gesto che volle essere d’esempio per i fedeli di Roma.
E dopo di lui Paolo VI, che vi discese il 12 settembre 1965, alla vigilia della sessione terminale del Concilio Vaticano II. «Qui il cristianesimo – disse nell’omelia – affondò le sue radici nell’ostracismo dei poteri costituiti, nella sofferenza d’ingiuste e sanguinose persecuzioni, qui la Chiesa fu spoglia d’ogni umano potere, fu povera, fu oppressa, fu umile, fu pia. Qui il primato dello Spirito di cui parla il Vangelo... Ecco perché, fratelli e figli carissimi, alla vigilia della ripresa terminale del Concilio ecumenico siamo venuti alle catacombe. Siamo venuti a bere alle sorgenti, siamo venuti per onorare i martiri in queste umili tombe gloriose ed averne confronto. Siamo venuti per ritornare giovani e autentici nella professione d’una fede che gli anni non consumano».
[1] Confutazione di tutte le eresie, IX,12,14. Cfr. su questo A. Lonardo, L’utilizzo delle fonti letterarie, in P. Filacchione – C. Papi (edd.), Archeologia cristiana. Coordinate storiche, geografiche e culturali (secoli I-V), Roma, LAS, 2015, pp. 48-49; cfr. anche G.M. Vian, Dai cimiteri al potere temporale: note sulle origini della proprietà ecclesiastica, in “Vetera Christianorum”, 42 (2005), pp. 307-316, in particolare per la “svolta callistiana”, le pp. 309-311.
[2] Cfr. su questo F. Bisconti, Le catacombe di San Callisto: il contesto, le scoperte e un diario di bordo, in F. Bisconti – M. Braconi (a cura di), Le catacombe di San Callisto. Storia, contesti, scavi, restauri, scoperte. A proposito del cubicolo di Orfeo e del Museo della Torretta, Todi, Tau, 2015, pp. 35-58.
[3] Per il testo ed un’analisi dei quattro epigrammi scritti da Damaso per le catacombe di San Callisto – quello per la cripta dei papi, quello per papa Sisto, quello per papa Eusebio e quello per papa Cornelio – cfr. A. Aste, Gli Epigrammi di Papa Damaso I, Tricase, Libellula, 2014, pp. 77-83.
[4] Sulla cronologia della cripta dei papi e sulle origini della catacomba, cfr. V. Fiocchi Nicolai - J. Guyon, Relire Styger: les origines de l’Area I du cimitière de Calliste et la crypte des papes, in Origini delle catacombe romane. Atti della giornata tematica dei seminari di archeologia cristiana (Roma, 21 marzo 2005), PIAC, 2006, pp. 121-161. In particolare alle pp. 152-156 i due autori discutono della datazione della cripta e, nonostante la difficoltà dovuta al fatto che i primi scavi di essa e le prime ricerche non vennero portati avanti con le metodologie scientifiche che sarebbero state utilizzate al presente, concludono che non si può dubitare che la cripta stessa risalga al primo terzo del III secolo e così anche le sue prime decorazioni: oltre a motivi diversi, ciò che depone con forza per questa datazione è la presenza stessa dei corpi dei pontefici morti a partire da quella data – il primo è papa Ponziano che fu vescovo di Roma negli anni 230-235.
[5] C. Carletti, Epigrafia dei cristiani in occidente dal III al VII secolo. Ideologia e prassi, Bari, Edipuglia, 2008, pp. 147-148.
[6] Cfr. su questo A. Lonardo, L’utilizzo delle fonti letterarie, in P. Filacchione – C. Papi (edd.), Archeologia cristiana. Coordinate storiche, geografiche e culturali (secoli I-V), Roma, LAS, 2015, pp. 49-52, che riprende più estesamente A. Lonardo, La via pulchritudinis, in A. Lonardo, Dove si eleggono i papi. Guida ai Musei Vaticani. Cappella Sistina – Stanze di Raffaello – Museo Pio Cristiano, Bologna, EDB, 2015, pp. 137-138.
[7] Qui il punto fermo è certamente la chiesa di Dura Europos (su cui cfr. A. Lonardo, L’utilizzo delle fonti letterarie, in P. Filacchione – C. Papi (edd.), Archeologia cristiana. Coordinate storiche, geografiche e culturali (secoli I-V), Roma, LAS, 2015, p. 48), cui si è aggiunta ora quella di Meghiddo (su cui cfr. La chiesa pre-costantiniana ritrovata negli scavi di Meghiddo-Kfar ‘Othnay. Breve nota di Andrea Lonardo).