La “pace” fra Caravaggio e Giovan Francesco Tomassoni nel 1610 doveva precedere la grazia pontificia con la revoca del bando capitale e il permesso di rientrare in Roma per entrambi. I documenti ritrovati da Giulia Cocconi ed una questione finalmente chiara, di Andrea Lonardo (con il documento di “Procura per la pace” ritrovato negli archivi del Ducato di Parma)
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Arte e fede, in particolare Caravaggio.
Il Centro culturale Gli scritti (27/5/2025)

1/ La “pace” fra Caravaggio e Giovan Francesco Tomassoni nel 1610 doveva precedere la grazia pontificia con la revoca del bando capitale e il permesso di rientrare in Roma per entrambi, di Andrea Lonardo
Giovan Francesco Tomassoni è il fratello di Ranuccio Tomassoni, ucciso da Caravaggio nel famoso incidente di Pallacorda il 28 maggio 1606. Sono stati ritrovati i documenti con i quali egli delega un terzo fratello, Mario, a fare da rappresentante per stipulare la “pace” con Onorio Longhi, nel 1609, e con Caravaggio, nel 1610.
I due documenti sono stati ritrovati da Giulia Cocconi presso gli archivi di Stato di Parma e permettono di chiarire ormai quasi tutto su quella vicenda[1].
In particolare, nella procura di Giovan Francesco Tomassoni a rappresentarlo presso l’analogo procuratore che il Merisi doveva aver a sua volta determinato – ma di cui non si possiedono i documenti – si precisa con sufficiente chiarezza sia quanto era avvenuto nel 1606, sia quanto le due parti avevano, pur senza essersi incontrate ancora direttamente, stabilito a distanza.
Nel testo Giovan Francesco indica innanzitutto la dinamica della rissa in cui era stato ucciso il fratello.
Si capisce innanzitutto che Ranuccio aveva ferito Caravaggio, poi che il pittore lo aveva pochi momenti dopo ucciso e, infine, che Giovan Francesco aveva ferito a sua volta il Merisi.
I dati confermano quanto si intuiva dalla documentazione fin qui nota e cioè che nel combattimento i due gruppi erano composti entrambi da quattro persone. Dalla parte di Caravaggio erano stati a suo fianco un soldato pontificio, il capitano Troppa, l’architetto Onorio Longhi ed una quarta persona di cui non si conosce il nome[2].
Dalla parte di Ranuccio Tomassoni c’erano, invece, appunto il fratello Giovan Francesco e una coppia di fratelli di cognome Giugoli, cognati di Ranuccio[3].
Nel combattimento c’era scappato il morto, Ranuccio, ma anche Caravaggio era stato ferito quindi da due colpi, uno di Ranuccio ed uno di Giovan Francesco e, più gravemente, era stato ferito il capitano Troppa che non era potuto fuggire ed era stato arrestato perché rimasto a terra sanguinante.
Gli altri sei – fra cui il Merisi – erano tutti fuggiti, in quanto tutti colpevoli. Per la legge dell’epoca non era quindi solo il Caravaggio ad essere colpevole, ma tutti erano rei di quella contesa.
Tutti erano quindi stati condannati alla medesima condanna – tranne ovviamente il morto e il Troppa: la colpa era quella di non essersi presentati all’interrogatorio che avrebbe dovuto chiarire le responsabilità dell’accaduto.
Certamente non si trattava per la giustizia dell’epoca di un omicidio premeditato, bensì di una morte avvenuta in un duello multiplo con responsabilità collettive, per cui c’erano responsabilità giuridiche di tutti i partecipanti al fatto, ma anche, proprio per questo, “scusanti”[4].
I sei non erano stati condannati a morte, bensì al bando capitale. Erano cioè interdetti da Roma e dalla Stato della Chiesa e sarebbero stati rei di morte solo se vi avessero rimesso piede prima di un regolare processo.
Ma, al di fuori dello Stato pontificio, non erano perseguibili e potevano tranquillamente lavorare – i documenti ritrovati da Cocconi mostrano che Giovan Francesco risiedeva e lavorava in assoluta libertà nel Ducato di Parma, così come sono noti gli spostamenti liberi di Caravaggio in diversi stati dell’epoca e la sua attività di pittore, con commissioni pubbliche in diversi luoghi, da Napoli alla Sicilia.
L’unica cosa che resta non chiarita dei fatti del 1606 nella procura del Tomassoni è il motivo della rissa - che non viene specificato nella procura -, mentre sono chiare le responsabilità sue e del fratello, poiché egli riconosce di aver ferito il pittore e che lo stesso ha fatto suo fratello l’ucciso. Corradini (cfr. articolo citato) ipotizza che fosse un duello d'onore relativo ad una questione riguardante la moglie del Tomassoni per la presenza dei cognati Giugoli e per il fatto che ella si risposò dopo pochissimo e fece assegnare la figlia ad un nuovo genitore.
C’è, insomma, un concorso di colpa da parte di tutti e non un colpevole più grave di altri.
Le due importantissime procure rinvenute da Cocconi chiariscono non solo cosa successe nel 1606 e quali erano le condizioni giuridiche dei fuggitivi, ma anche a che punto era il procedimento di riammissione.
Dalle due procure parmensi si capisce chiaramente un elemento che non era ancora stato posto in evidenza dai critici, benché si conoscesse la prassi giuridica in merito: la grazia pontificia doveva essere preceduta da un accordo di “pace” fra i contendenti. Tale era la prassi vigente allora nello Stato della Chiesa.
I contendenti doveva scambiarsi simbolicamente un “bacio” (osculo pacis) che suggellava e assicurava il fatto che avessero posto fine ad ogni rancore e possibilità di scontri futuri, fornendo anche delle garanzie giuridiche di questo, con testimoni che dovevano attestare la cessazione di ogni possibilità di ulteriore rivalsa.
La stipulazione di una “pace”, giuridicamente configuratasi, è attestata fra l’altro anche nell’episodio del diverbio fra Caravaggio e il notaio Pasqualone[5].
Solo dopo tale scambio di “pace” fra il Tomassoni e il Merisi – ma anche tra il Tomassoni e il Longhi - il pontefice avrebbe potuto concedere la sua grazia papale a entrambi e i rei avrebbero potuto rientrare in Roma.
Ecco perché Giovan Francesco Tomassoni, che non poteva ancora rientrare in Roma, con quella procura delegava il fratello Mario, che invece risiedeva in Roma, a stringere a suo nome la “pace” con il delegato di Caravaggio di cui non si conosce l’identità, a causa della mancanza del documento corrispettivo.
Ovviamente anche il Merisi non poteva accedere in Roma, per il bando capitale che li aveva colpiti entrambi per non essersi presentati al giudice dopo la rissa nel 1606.
Non vi è dubbio, allora, che Giovan Francesco doveva aver già preso contatti con il Caravaggio e che questi doveva essersi detto d’accordo e doveva aver delegato a sua volta un suo rappresentante a giurare a suo nome il suo desiderio di sospendere ogni ostilità con l’avversario.
I documenti ritrovato da Cocconi mostrano che Tomassoni aveva già fatto una delega similare al fratello Mario nel 1609, solo un anno prima, per rappresentarlo presso l’architetto Onorio Longhi, anche lui condannato al bando capitale per essere stato presente alla stessa rissa[6].
Longhi era fuggito invece a Milano e, probabilmente, doveva essere stato più facile rintracciarlo e concordare con lui, tramite intermediari, gli estremi della “pace”.
Estremamente significativo è che nel caso della procura per la “pace” con Longhi Tomassoni citi come garante del suo desiderio di scambiarsi la “pace” un rappresentante della casa Farnese che allora governava Parma.
Ma, nel caso della procura per il Merisi di un anno successiva, egli invoca addirittura i nomi del cardinal Odoardo Farnese e dello stesso Duca di Parma Ranuccio Farnese, segno che le due personalità – le massime autorità nella città dove risiedeva Giovan Francesco - erano al corrente del procedimento e erano ben liete di figurare nella pubblica procura per tale “pace”, poiché anch’essi doveva avere contezza dell’analoga procura fatta dal Merisi e non doveva arrecare loro alcun disturbo, ma anzi dovevano essere fieri di essere citati in un documento di tal fatta, di carattere puramente giuridico, ma che apriva al Merisi la via del ritorno a Roma.
Insomma il Merisi doveva esser ben noto in casa Farnese a Parma e i nomi delle due massime autorità della famiglia figurano come personalità informate dei fatti e liete della riconciliazione che stava per compiersi.
Siamo pochi mesi prima della morte del Merisi e, sebbene non sia ancora stata ritrovata la corrispettiva procura vergata dal Merisi, tutto lascia ritenere che il suo viaggio alla volta di Palo doveva essere un passaggio in tale direzione e cioè in vista della stipulazione della “pace” con Giovan Francesco Tomassoni.
Fra l’altro, Palo non apparteneva allo Stato pontificio, bensì al Ducato di Bracciano[7], ed è quindi possibile ipotizzare che proprio lì il Merisi avesse organizzato di incontrare una qualche figura a rappresentarlo per gli accordi che dovevano precedere la “pace” con il Tomassoni.
È corretto quanto si è sempre affermato che la “grazia” pontificia era ormai cosa fatta, ma ora si comprende più precisamente cosa mancava per ottenerla.
Il pontefice – e il cardinal nepote Segretario di Stato Scipione Borghese, dovevano sapere che era ormai vicina la “pace” fra i due, fra Caravaggio e i Tomassoni: subito dopo tale “pace” il pontefice avrebbe potuto concedere ad entrambi la grazia per la riammissione in Roma, che entrambi desideravano.
Il documento di cui forniamo una nostra traduzione in italiano mostra, con il linguaggio giuridico del tempo, come la prassi di allora richiedesse alle parti avverse di promettere di aver posto fine ad ogni rancore reciproco, per evitare episodi successivi di vendette e ritorsioni ed è, a suo modo, significativo, della mentalità dell’epoca che valutava non solo i reati commessi, ma dava anche rilievo alle nuove intenzioni delle parti.
Il fatto conferma quanto noto a tutta la critica e cioè che il Merisi desiderasse tornare in Roma per dipingervi. Egli sapeva bene di esser ben voluto nell’urbe e, d’altro canto, era proprio la Roma dei pontefici e della Chiesa del tempo quella nella quale egli intendeva dimorare e dipingere.
2/ Traduzione a cura de Gli scritti della Procura di Giovan Francesco Tomassoni a suo fratello Mario per giungere ad un accordo con Caravaggio, 15 marzo 1610 (Parma, Archivio di Stato, Notai di Parma, vol. 4366)
Il testo latino, con traduzione inglese, è in G. Cocconi, Caravaggio in exile: new documents, in “The Burlington Magazine”, 163 (2021), pp. 38-39 (mentre l’analogo testo per la “pace” con Onorio Longhi è in G. Cocconi, Caravaggio in exile: new documents, in “The Burlington Magazine”, 163 (2021), pp. 37-38).
Nel nome di Cristo, Amen. Nell’anno 1610 dalla sua nascita, nella settima indizione, nel 15 del mese di Marzo, nel quinto anno in corso del Pontificato del Santissimo Padre in Cristo Paolo V, Papa per la Provvidenza di Dio.
Lo stimato Capitano Giovan Francesco Tomassoni, figlio del già illustre Colonnello Lucantonio, nato nella città di Terni e ora residente nella città di Parma, nel quartiere di San Paolo, ha nominato e costituito di sua spontanea volontà, e non sotto coercizione, e nel miglior modo possibile, come suo vero procuratore a rappresentarlo in assenza l’illustre Mario Tomassoni, suo fratello, allo scopo di stabilire e concludere - in nome del costituente stesso, per la sua salvezza e per amore di Dio e in considerazione della stima e del rispetto per l’illustrissimo e stimatissimo Odoardo Farnese, Cardinale di Santa Chiesa Romana, e anche per la stima e il rispetto dell’eccelso Ranuccio Farnese, nostro Duca di Parma e quarto duca di Piacenza - una “pace” buona, vera e onesta, con l’illustre pittore Michelangelo Caravaggio.
[Lo ha nominato e costituito] per stipulare tra loro un accordo di “pace” stabilita perpetuamente e da non infrangere in futuro, con un “bacio di pace” fra di essi come segno di vera riconciliazione, con il fine di porre termine a ogni odio, lamento, controversia, ingiuria, ingiustizia, lite, ostilità e ogni altro dissenso che sia sorto o possa sorgere fra di loro, sia esso reale, fittizio e immaginario, [quali che siano le azioni] commesse, prodotte, perpetrate o avvenute in qualsiasi modo o occasione fino ad oggi, e in particolare a riguardo delle ingiuste parole e insulti che potrebbero aver proferito l’uno contro l’altro, e specificamente a riguardo dell’omicidio commesso contro la persona del defunto Ranuccio Tomassoni, fratello della parte qui costituitasi, come affermato dall’Illustre Michelangelo, ed anche riguardo al caso delle ferite infitte allo stesso Michelangelo dal sopradetto illustre Ranuccio ed anche dalla parte qui costituitasi;
[Lo ha nominato e costituito] similmente, nella misura in cui ciò è necessario, allo scopo di giungere all’accordo per la cancellazione e l’abolizione di ogni rivendicazione, denuncia o accusa, in qualsivoglia corte giuridica, in occasione di queste questioni sorte e portate avanti e formulate contro il detto illustre Michelangelo, e con lo scopo di obbligare il costituente stesso all’inviolabile osservanza di detta “pace” e riconciliazione, soggetta a penalità, prigione, ritenzione, cauzioni e pegni [se ciò non venisse poi rispettato] come deciso e approvato dal detto Procuratore, anche attraverso i poteri più estesi della Camera Apostolica con giuramento e con altre clausole necessarie e come d’abitudine indicate;
[Lo ha nominato e costituito di modo che] sia considerata sempre e in modo permanente detta “pace” come ratificata e confermata e giurata, soggetta agli stessi impegni, e soggetta a pene pecuniarie e ad altre forme di sanzione come giudicato dallo stesso Procuratore, e allo scopo di sottoscrivere l’accettazione, in qualsiasi modo, della “pace”, e come detto sopra, [di modo che] consenso, obbligo e promessa siano da mantenere e osservare;
[Lo ha nominato e costituito di modo che possa sottoscrivere a nome del costituitosi] qualsiasi altra cosa sia da fare e soddisfare in cambio, da parte del sopraddetto illustrissimo Michelangelo, e allo scopo di richiedere e ottenere eventuali documenti su queste questioni, come suggeriti e redatti da notai insieme ad altri atti necessari e consuetudinari, come approvato dal detto procuratore;
e Io in generale garantisco e prometto di approvare, con il pegno di beni personali, in questa forma e con riguardo a queste questioni.
Redatto in Parma, nell’ufficio della residenza di me notaio come firmatario in basso, situato nel quartiere della Chiesa Principale alla presenza dell’Illustrissimo Gregorio de Zancaroti, figlio del defunto illustrissimo Cola, del quartiere di Sant’Apollinare, dell’illustrissimo Paolo de Albrizi, figlio del defunto illustrissimo Gabriele, del quartiere di San Paolo, e di Alessandro de Gigoli, figlio del defunto Francesco, del quartiere della Chiesa Principale, tutti testimoni e confermanti, e anche alla presenza di Aurelio Pennazio, come secondo notaio.
1610, nel 15 di marzo, del Pontificato
Io, Antonio Maria da Prato, notaio di Parma, sono stato consultato riguardo ai presenti atti.
[1] G. Cocconi, Caravaggio in exile: new documents, in “The Burlington Magazine”, 163 (2021), pp. 34-39. Per una collocazione delle scoperte di Cocconi all’interno degli ultimi mesi di vita del Merisi, cfr. F. Curti, “Misesi in una feluca con alcune poche robe”: l’ultimo viaggio di Caravaggio, in “Storia dell’arte”, (160; nuova serie 2), 2023, pp. 87-111.
[2] Sembra di capire dai documenti che degli otto solo quattro fossero armati, i due fratelli Tomassoni da un lato, Caravaggio e il Troppa dall’altro, mentre gli altri quattro, due per parte, erano lì in qualità di sostenitori delle due fazioni.
[3] Sull’identificazione dei partecipanti alla rissa, cfr. S. Corradini, L’incidente della pallacorda: un omicidio “preterintenzionale”? Nuova luce sulla rissa tra Caravaggio e Ranuccio Tomassoni, in P. di Loreto (a cura di), Una vita per la storia dell’arte. Scritti in onore di Maurizio Marini, Roma, etgraphiae, 2015, pp. 123-131.
[4] Cfr. su questo S. Corradini, L’incidente della pallacorda: un omicidio “preterintenzionale”? Nuova luce sulla rissa tra Caravaggio e Ranuccio Tomassoni, in P. di Loreto (a cura di), Una vita per la storia dell’arte. Scritti in onore di Maurizio Marini, Roma, etgraphiae, 2015, pp. 123-131.
[5] Il documento di stipula della “pace” con il notaio Pasqualone ripete quasi alla lettera alcune espressioni della procura del Tomassoni, segno che il linguaggio giuridico sul tema era standardizzato. Per il testo integrale dell’atto, cfr. S. Macioce (a cura di), Michelangelo Merisi da Caravaggio. Documenti, fonti e inventari 1513-1883. III edizione aggiornata, Roma, Ugo Bozzi, 2023, pp. 205-207. Sulla questione della “pace” all’epoca, cfr., più in generale, V. Antichi, Giustizia consuetudinaria e giustizia d’apparato nello Stato Pontificio: la ruptura pacis (1550-1600), in P. Brogio - M.P. Paoli (a cura di), Stringere la pace: teorie pratiche della conciliazione nell’Europa moderna (secoli XV-XVIII), Roma, Viella, 2011, pp. 229-275.
[6] Per il testo della procura del 1609 ed un commento ad essa, cfr. sempre G. Cocconi, Caravaggio in exile: new documents, in “The Burlington Magazine”, 163 (2021), pp. 34-39.
[7] Cfr. su questo F.L. Sigismondi, Lo Stato degli Orsini. Statuti e diritto proprio nel ducato di Bracciano con edizione critica del Ms. 162 della Biblioteca del Senato, Roma, Viella, 2003.