Cosa ne pensi del nuovo papa o cosa pensi del papa? Ti piace il nuovo papa o ti piace il papa? Il papa è Prevost o Prevost è il papa?, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una riflessione di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Ecclesiologia e Cristianesimo.
Il Centro culturale Gli scritti (14/5/2025)

1/ Cosa ne pensi del nuovo papa o cosa pensi del papa?
Tutti mi chiedono: “Cosa ne pensi del nuovo papa?” “Ti piace il nuovo papa?”
E io mi diverto a rispondere: “Tu cosa pensi del papa?” “Ti piace il papa?”
Perché non si può dire cosa si pensa di un determinato papa se non si stabilisce prima se è bene che un uomo accetti di diventare papa!
“Essere papa” è un insieme – ricordiamoci l’insiemistica! - più grande che “essere Prevost”.
È certamente importante che il nuovo pontefice sia Robert Francis Prevost, che sia statunitense e peruviano con doppia cittadinanza, che abbia studiato matematica, che sia agostiniano, che sia stato parroco, che sia canonista, che sia pastore, che si chiami Leone XIV, che sia stato Prefetto del Dicastero dei vescovi e così via.
Ma c’è una cosa più importante: che Prevost ora è papa.
Egli dovrà modificare tante cose, perché ora è papa. Dovrà essere diverso perché ora è papa.
Da un certo punto di vista, l’“insieme” Prevost è più grande del suo essere pontefice, perché egli è certo tante cose ed ora è anche stato eletto papa.
Ma per la Chiesa e per il mondo è l’“insieme” papa ad essere più importante, anche se ogni quotidiano e ogni agenzia social ed ogni pseudo-intellettuale, senza esserne a volte nemmeno consapevole, insisterà sull’insieme “Prevost” e dimenticherà l’essere “papa”.
2/ Del problema e dell’evidente vantaggio della figura del papato
D’altro canto si comprende come tanti non amino la figura stessa del pontefice in sé, al di là di chi la incarna in quel determinato momento storici.
E ciò non tanto per motivi storici legati a questo o a quel determinato pontefice - questo è il difetto del “politicamente corretto” che si disperde nel frammento per non stare mai alle questioni essenziali.
Bensì per il motivo molto più decisivo che la Chiesa possiede nel pontefice una figura che riguarda i cristiani di tutto il mondo, chiamata ad attestare che è plausibile il compito della fedeltà a Cristo e, quindi, anche a contestare ciò che gli fosse contrario.
Si comprende bene come stati dittatoriali e uomini di cultura che desidererebbero avere il predominio del pensiero possano guardare con diffidenza qualcuno che dica: “Per comprendere chi è Cristo, fate riferimento a Roma e al suo vescovo, che vi illuminerà in merito”.
Per tanti stati dittatoriali, per motivi politici o religiosi, quell’uomo è di per sé un problema – chiunque esso sia – perché apre le menti, perché fa circolare idee e pensieri che vengono da fuori, che non sono conformi all’etnia o al governo o alla religione di quel luogo, ma sono “altri”, vengono dall’incarnazione e dalla croce di quell’uomo.
Ma si capisce anche quanto sia incredibilmente interessante che ci sia uno che è “uno”!
È il problema, ma è anche la risorsa – come si usa dire oggi.
Se si chiederà cosa pensano i cattolici, qual è la posizione della Chiesa, qual è lo sguardo della fede cristiana, su questa o quella questione, sarà quella voce ad essere voce di tutti.
E chiunque dirà “Non sono d’accordo”, potrà dirlo, ma saprà di dire qualcosa di difforme da quella voce che è un punto di riferimento per tutti i cattolici.
Quanto avrebbero bisogno di una voce similmente unitaria il mondo islamico o induista. Di una figura che dicesse, ad esempio: “Le donne possono e debbono scegliere loro stesse chi sposare oppure no”. O che dicesse: “Dobbiamo impedire ad un figlio che intenda professarsi ateo o battezzarsi di farlo, oppure ciò è possibile”. O ancora: “Dobbiamo allontanare dai cuori ogni sentimento di astio e di odio, oppure no”. E lo dicesse per tutti gli appartenenti a quella religione o a quell’etnia.
Ci rendiamo conto che quella voce “una” è un unicum, che non c’è altrove chi possa parlare a nome di tutti e che altrove, ci sono tanti che dicono una cosa e tanti il suo contrario e non c’è una voce super partes.
“Ti piace il papa?” è questione che giunge a chiedere se sia bene che ci sia una voce che parli a nome di tutti.
3/ La responsabilità che compete al pontefice
In questi primi giorni del nuovo pontificato, quando ancora non capiamo bene chi ci troviamo dinanzi con precisione, godiamo innanzitutto del fatto che la Chiesa abbia un papa. Perché un papa ci deve essere.
Non solo perché serve qualcuno che sia lì a presiedere.
Questo mondo e questa nostra cultura contemporanea manca di padri, di persone che si assumono una responsabilità. Certo non da soli, non senza aver ascoltato tutti, non senza sinodalità e comunione, anzi assolutamente con esse.
Ma che poi, avendo ascoltato tutti, manca di qualcuno che si assumano il compito di portare avanti quella determinata visione e ne risponda in prima persona – è fra l’altro per questo che le democrazie non disdegnano un leader, perché poi serve qualcuno che risponda della via che si sta portando avanti.
Nel mondo è debole certamente la fraternità e la sinodalità, la comunione e la fratellanza. Ma è debole al contempo la responsabilità e la presidenza, sono poche le persone che si sobbarcano il compito di portare avanti ciò che deve essere perseguito. Tutti vogliono il potere, ma non le responsabilità che ne conseguono.
Tutti vorrebbero comandare, ma nessuno vuole poi assumersi l’onere delle decisioni e il peso di un’eventuale fallimento.
Il ruolo pontificio è un unicum anche in questo.
Chi lo assume lo assume convinto che sia Gesù ad aver voluto il papato, il primato di Pietro in Galilea e Giudea e la sua successione a Roma. Che sia stato Gesù ad aver voluto il vescovo di Roma. Che l’esistenza di un papa corrisponda alla volontà di Gesù di Nazaret, figlio di Dio.
Chi assume tale compito sa di non poter guardare solo alle “pecore” già credenti, ma anche a quelle che non sono ancora “di questo ovile”. Sa di dover guardare a tutti, per far risplendere per tutti anche solo un raggio di quella luce, perché tutti ne possano essere illuminati anche solo per un istante.
4/ La sorpresa cui non ci si abitua mai
I giornalisti e i social hanno fantasticato nel loro toto-papa e pochissimi hanno azzeccato i pronostici. Esattamente come per i papi precedenti.
Fra l’altro è il quarto papa non italiano consecutivamente e va benissimo così.
Il nome annunziato l’8 maggio con l’Habemus papam era inatteso, esattamente come avvenne per papa Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI e papa Francesco, tutti inaspettati.
Si deve aggiungere che il nuovo papa sarà inatteso anche rispetto a ciò che sarà e farà e dirà, poiché il papato ti cambia.
Un pontefice, proprio perché assume un ruolo – “ministero” sarebbe il termine più corretto, ma lasciamo perdere, in un articolo divulgativo, queste sottigliezze! -, per forza di cose deve cambiare rispetto a ciò che era prima.
Si potrà indagare quanto si vuole nel passato di quella persona, ma egli dovrà essere diverso e di fatto e per grazia sarà diverso.
Si pensi a quanto Ratzinger divenuto Benedetto si sia dovuto semplificare e si sia di fatto semplificato, assumendo una discorsività in omelie e interventi che lo resero improvvisamene comprensibile anche da parte di tutti i catechisti che, spesso, non sono docenti universitari.
Si pensi a Bergoglio che, divenuto Francesco, iniziò subito a sorridere e a lasciarsi andare, mentre in Argentina non era così solare nel suo sguardo e nei suoi modi.
Perché è precisamente quella concreta persona ad essere diventato “papa”, ma è anche quella persona che diventa “papa” e questo ti investe di un dono nuovo e di una responsabilità nuova.
Sono i primi giorni. Mentre altri scavano nel passato di Leone XIV, vale la pena anche riflettere sul fatto che ora egli è papa.
E tu cosa ne pensi del papa e non solo del nuovo papa?