Zona franca. Sulla “teologia rapida”. Afferrare il passaggio del regno di Dio, di Pierangelo Sequeri

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 13 /04 /2025 - 17:48 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Pierangelo Sequeri, tratto da L’Osservatore Romano” del 2/4/2025. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Cristianesimo e teologia.

Il Centro culturale Gli scritti (13/4/2025)

Una teologia “rapida”? Intanto, bisogna averla, una teologia attrezzata per attraversare il cambiamento culturale: ce l’abbiamo, secondo voi? La mia prima – rapida – reazione alla provocazione di Antonio Spadaro è questa.

Per il momento, noi abbiamo una teologia attrezzata per attraversare la continuità ecclesiale, più che il cambiamento culturale. Plasmata dalle esigenze della formazione al ministero ordinato (di ieri), mantiene sostanzialmente questo assetto anche quando si assegna un compito di più esplicito dialogo culturale.

L’inerzia è comprensibile, dato l’auto-sequestro ecclesiale della materia, nell’epoca moderna, a fronte di una certa politica di esculturazione del pensiero religioso associata alla secolarizzazione della sfera pubblica.

Il gioco di azione e reazione innescato da questa pressione ideologica, ha inevitabilmente reso tempestiva (forza di reazione “rapida”) l’attitudine apologetica alla difesa d’ufficio; ma ha tenuto al riparo del fermento del pensiero riflessivo e creativo (il nutriente “lievito” evangelico) l’intelligenza credente.

L’intelligenza credente, dico, ossia, non solo quella che si occupa fedelmente della dottrina “della fede”, ma anche quella che abita allegramente l’umano “nella fede”. La teologia si è assuefatta all’abitudine di applicare una quantità di filtri all’accesso del sapere della fede e alla sua ispirazione: ora che li passi tutti, il posto del tuo interlocutore l’hanno preso i suoi nipoti (che ragionano di tutt’altro e in tutt’altro modo).

Lo abbiamo fatto per proteggere il mistero della “fede” e, al tempo stesso, offrire garanzie di un retto esercizio alla “ragione”, naturalmente. Questo apparato, certo, di “rapido” non aveva proprio niente. Soprattutto nel senso in cui, personalmente, intendo la provocazione di Spadaro (adotterei un altro linguaggio, ma non è questo che importa qui). E intendo questo (se capisco bene lo stimolo): la lingua teologica corrente non riesce ad andare direttamente alla “cosa”, né alla cosa della fede né alla cosa dell’esperienza.

La teologia non dà più questa percezione. Manca di naturalezza nell’esercizio di una giovanile agilità che non dovrebbe affatto corrispondere ai suoi anni, non irrompe con eleganza di volteggio nel bel mezzo della vanitosa assemblea dei dottori, non dissimula sorridendo il proprio sforzo di abitare creativamente inediti confini. L’immagine della tempesta sedata, tratta dalla narrazione evangelica, è ben scelta. L’affettuosa ironia di Gesù (che sta in tutto l’atteggiamento, non solo nelle parole) è un tratto evangelico pervasivo e costante (si può dire che Gesù evangelizza in questo modo).

Più che in ritardo, insomma, parlando di tempestività, siamo fuori tempo. Stiamo discutendo di riforma della Chiesa e di trasformazione dell’Europa, come se fossimo nell’imminenza della fine, da più di un paio di decenni: eppure di Chiesa e di Europa ne abbiamo sempre di meno.

Intanto migliaia e migliaia di nostri fratelli e sorelle, in comunità e contesti religiosi che non hanno spazio alcuno nel nostro inventario dei problemi, vanno “rapidamente” incontro a ostilità, persecuzione, estinzione.

Possiamo dire di avere un pensiero della fede “rapido” ad intercettare la condizione cristiana reale e quella umana reale? Una teologia “rapida” – così intendo – parla molte lingue e si adatta a qualsiasi mezzo di trasporto: e perciò non teme di andare dritta al punto in qualsiasi Chiesa e in qualsiasi mondo. Non si fa intimidire, non assume posizioni isteriche. Questo obiettivo, tuttavia, da raggiungere al più presto e con adeguata ricaduta istituzionale (nella forma e nella formazione) non è a sua volta al riparo da una sua specifica insidia. Non è solo un rischio, è già un ostacolo.

La pura ricerca della rapidità, sia pure nel senso dell’agilità di andare dritto all’appuntamento con la realtà condivisa da tutti e produrre uno choc di reazione salutare che ridesta energie non previste dagli apparati, può diventare l’incubatrice di una pigrizia letale.

L’esempio più spettacolare di questa conversione della rapidità della presa in estetica del vuoto è l’odierna pubblicità commerciale. Essa, alimentata da una fenomenologia dello spirito più raffinata di quella di Hegel, si è assicurata una copertura totale della stoffa mediatica del quotidiano: è dovunque, con l’apparente capacità di richiamare implacabilmente l’attenzione sulla vera realtà, che è quella dell’essere “godibile”.

Il resto della condizione umana “è noia”, che possiamo riscattare con il giusto prodotto. Di questa sofisticata antropologia culturale, che si compiace di dissimularsi nell’uso di un gergo ammiccante e popolare, la teologia non sa quasi niente. E meno sa, più è tentata di immaginare la propria rapidità di penetrazione allo stesso modo. Problema di linguaggio? Una soluzione troppo rapida di questa formulazione del problema porta allo slogan ammiccante, alla frase ad effetto: al lavoro del copy-writer, insomma, più che a quello del pensatore.

La rapidità della pubblicità commerciale – che lavora così bene nella formazione del sensus fidelium dei suoi potenziali clienti – è una copertura estetica del nichilismo occidentale (cercato e indotto come effetto collaterale della necessità di affidarsi, in un mondo totalmente privo di certezze). Il contenitore culturale per chiunque abbia qualcosa da vendere è pronto: se ci si infila rapidamente nella sua ospitale community, il vangelo potrà essere piazzato come ogni altro giusto prodotto.

Insegnare ad afferrare il passaggio del regno di Dio, “la priorità assoluta”, è l’impresa della rapidità alla quale dobbiamo essere pronti (e insegnare a farlo). Perché “rapido”, all’origine, è proprio quel passaggio del regno (“come un lampo”).

La riproduzione e l’ampliamento della Chiesa sono al servizio di questa fondamentale rapidità: ma non la possono sostituire, né passare al primo posto. La rapidità nell’intercettare il regno di Dio, che viene dove e quando non lo aspetti, per aprirne i segni e i prodigi ai non ecclesiastici, a mio parere, è l’impegno – culturale, non catechistico – sostanzialmente inevaso anche dalla nuova teologia. Dovremo diventare più rapidi, in questo.