Perché solo la Chiesa appaga il desiderio dell’uomo di uscire dalla solitudine. «Né nell’amicizia, né nell’amore, né a maggior ragione i raggruppamenti sociali che sorreggono la sua esistenza, potranno mai placare la sete di comunione. Ne l’arte, né la riflessione, né la ricerca spirituale indipendente, promesse di altro ma simboli deludenti, promesse che non reggono, legami troppo astratti o troppo particolari», dal cardinal Henri de Lubac

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /03 /2025 - 16:39 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un brano tratto da Meditazione sulla Chiesa del cardinale de Lubac (non è stato possibile controllare la fonte della citazione), citato da S.Ecc. mons. Daniele Salera nel suo Ringraziamento a conclusione della messa di ingresso nella diocesi di Ivrea il 15 febbraio 2025. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Ecclesiologia.

Il Centro culturale Gli scritti (5/3/2025)

Da Meditazione sulla Chiesa, di Henri de Lubac

“Ormai non sono più che un filosofo, cioè un uomo solo”, si narra dicesse uno sventurato sacerdote, la sera della sua apostasia, ad un visitatore che era andato a congratularsi con lui. Riflessione amara, ma quanto vera! Egli aveva abbandonato la casa, fuori della quale non ci sarà mai altro per l’uomo che esilio e solitudine.

Molti non lo avvertono perché vivono ancora nell’immediato, fuori di sé stessi, “barricati al mondo come le alghe sulle rocce del mare” (Clemente Alessandrino). Le preoccupazioni quotidiane li assorbono, “il limbo d’oro dell’apparenza”, stende loro davanti un velo di illusione. Oppure tentano di ingannare la loro sete cercando, per vie diverse, qualche surrogato della Chiesa.

Ma chi al fondo del proprio essere sente o anche soltanto intuisce e sospetta l’Appello che l’ha destato, sa con certezza che né nell’amicizia, né nell’amore, né a maggior ragione i raggruppamenti sociali che sorreggono la sua esistenza, potranno mai placare la sua sete di comunione. Ne l’arte, né la riflessione, né la ricerca spirituale indipendente, simboli soltanto, promesse di altro ma simboli deludenti, promesse che non reggono, legami troppo astratti o troppo particolari, troppo superficiali o troppo effimeri, tanto più impotenti oggi quanto più seducenti ieri: nulla di ciò che l’uomo crea o di ciò che rimane sul piano dell’uomo potrà strappare l’uomo alla sua solitudine.

La sua solitudine, anzi, si accrescerà sempre più man mano che egli scopre sé stesso perché essa non è altro che il contrario della comunione alla quale egli è chiamato, ne ha l’ampiezza e la profondità.

Dio non ci ha creati “perché dimorassimo nei confini della natura”, né perché vivessimo una vicenda solitaria; ci ha creati per essere introdotti insieme in seno alla sua Vita trinitaria. Gesù Cristo si è offerto in sacrificio perché noi non formassimo più che una sola cosa in questa unità delle persone divine.

Questa deve essere la ricapitolazione, la rigenerazione e la consumazione di tutto; e tutto ciò che ci allontana da questa mèta finale è un richiamo ingannatore.

Ora c’è un luogo in cui, fin da quaggiù, incomincia questa riunione di tutti nella Trinità. C’è una “famiglia di Dio”, misteriosa estensione della Trinità nel tempo, che non soltanto ci prepara a questa vita unitiva e ce ne dà la sicura garanzia, ma ce ne fa già partecipi.

Unica società pienamente aperta, essa è la sola che sia all’altezza della nostra intima aspirazione e nella quale noi possiamo attingere finalmente tutte le nostre dimensioni. De unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata (Cipriano): tale è la Chiesa. Essa è “piena della Trinità” (Origene).