Kandinskij. Il ritmo del colore. A 80 anni dalla morte, ritratto del pittore che andò oltre la rappresentazione esteriore della realtà per dare forma all’energia spirituale delle cose, di Giuseppe Frangi
Riprendiamo dal sito di Comunione e Liberazione (https://www.clonline.org/it/attualita/articoli/kandinskij-il-ritmo-del-colore) un articolo di Giuseppe Frangi, presidente dell'Associazione Giovanni Testori, pubblicato l’1/12/2024. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (5/3/2025)
Impressione III (concerto), olio su tela, 1911 (©Wikimedia)
«Non dimenticherò mai le grandi case di legno dai tetti scolpiti. In queste case meravigliose provai impressioni rare che mai più si rinnovarono. Mi insegnarono a commuovermi, a vivere in pittura».
Così Vasilij Kandinskij, nel testo autobiografico Sguardi sul passato, ricordava quella fondamentale esperienza vissuta sul campo al termine degli studi in Economia politica. Era partito con una spedizione di studiosi alla volta della regione della Vologda, nel nord della Russia, per esplorare le usanze e il diritto di una piccola etnia, quella dei Sireni. A quell’epoca aveva 23 anni e non sapeva ancora bene verso dove indirizzare la sua vita. Quell’esperienza sarebbe però risultata inaspettatamente folgorante e chiarificatrice.
Così prosegue il suo racconto: «Mi accadde di entrare in una stanza; e ancora ricordo come me ne stetti affascinato sulla soglia a guardare dentro. Davanti a me stava un tavolo, delle panche e una grande, magnifica stufa. Le credenze e le dispense erano ravvivate con molti colori disposti disordinatamente. Ovunque sulle pareti erano appese stampe rustiche che raccontavano vividamente di battaglie, di un leggendario cavaliere, di una canzone, tutte rese attraverso i colori. In un angolo c’erano molte icone che mandavano scuri bagliori e davanti a esse, al tempo stesso fiera e misteriosa, emanando un caldo scintillìo di stelle, pendeva una lampada per immagini».
Davanti agli occhi del giovane studioso era apparso un mondo puro e magico, un vorticare di luci e di colori che si fondevano tra di loro, trasmettendo più che la loro identità fisica, il loro spirito. Concludeva Kandinskij: «È stato qui che imparai per la prima volta a guardare un quadro non solamente dall’esterno, ma ad entrarvi, a muovermi in giro con esso e a mescolarmi con la sua vita».
Ci sarebbe voluto ancora qualche anno prima che le folgorazioni visive di quel viaggio maturassero una decisione per la sua vita. Accadde nel 1896 quando, invece di accettare una cattedra all’università di Dorpat, in Estonia, seguì la chiamata verso la pittura iscrivendosi all’Akademie der Bildenden Künste di Monaco di Baviera.
Era una vocazione tardiva, come quella di un suo quasi coetaneo, Henri Matisse. Proprio per questo portava con sé il valore aggiunto di una coscienza già interiormente ben chiara riguardo all’orizzonte verso cui tendere: chiedere alla pittura di andare oltre alla rappresentazione della realtà nelle sue forme esteriori, per dare una forma all’energia spirituale che sottende tutte le cose.
Kandinskij, scegliendo di fare il percorso di formazione a Monaco e non in Russia, aveva chiaro anche un altro punto: voleva affacciarsi sulla modernità, cercando di contaminarla con quel tesoro per lui imprescindibile di immagini, segni e forme che erano il deposito della tradizione da cui proveniva.
Immagini, segni, forme e poi quel caleidoscopio di colori, intercettato varcando la soglia della casa della Vologda. «Il colore è un mezzo per influenzare direttamente l’anima», scrive Kandinskij in un testo fondamentale pubblicato nel 1911, Lo spirituale nell’arte.
«Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è il pianoforte, con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima». Il colore sarebbe esploso nella sua pittura alla fine del primo decennio del Novecento.
Insieme alla compagna Gabriele Münter aveva comperato una casetta a Murnau, nelle Alpi bavaresi, che presto sarebbe diventata un punto di ritrovo per artisti e musicisti di tanti diversi Paesi del mondo.
Kandinskij dipinge i paesaggi limpidi che lo circondano rendendoli ardenti con rossi e gialli dissonanti rispetto alla realtà, al punto che l’immagine a volte quasi si smarrisce perché l’apparenza lascia il passo alla visione.
Il ritmo del colore ridisegna la realtà, svelandone una musicalità intrinseca. Perché, come abbiamo letto dalla dichiarazione di Kandinskij, il colore ha un suono e quindi il quadro non è solo un’esperienza visiva ma anche sonora: è una klangfarbenmelodie, “melodia timbrica” che ha un suo corrispettivo musicale nelle composizioni, realizzate in quegli stessi momenti e nello stesso contesto, da Arnold Schönberg. L’uno e l’altro sono stupiti dalla convergenza dei rispettivi percorsi pittorici e musicali, e danno vita a una tra le più belle e impressionanti esperienze di sintonia culturale del Novecento.
«Egregio professore», scrive Kandinskij al musicista dopo aver ascoltato il concerto alla Jahreszeiten Saal di Monaco il 2 gennaio 1911, «nelle sue opere lei ha realizzato ciò che io, in forma naturalmente indeterminata, desideravo trovare nella musica. Il cammino autonomo lungo le vie del proprio destino, la vita intrinseca di ogni singola voce nelle sue composizioni sono esattamente ciò che io tento di esprimere in forma pittorica».
Con queste premesse il suono ascoltato era destinato a travasarsi in un corrispettivo pittorico: così era nato il meraviglioso Impressione III (concerto), una tela dipinta in quello stesso anno, dominata da un giallo intenso nel quale navigano delle forme che Kandinskij si era appuntato in diretta durante il concerto. Si riconoscono il grande triangolo nero della copertura del pianoforte e il profilo del pubblico, quasi proteso nell’ascolto.
I titoli delle opere di questo periodo hanno un sistematico rimando musicale: oltre a Impressione, ci sono Improvvisazioni e Composizioni. L’artista era ormai approdato sulla soglia dell’astrattismo, che per lui non equivaleva affatto a un rifiuto della realtà. Al contrario, aveva scritto, «la riduzione al minimo dell’elemento oggettivo deve essere considerata come l’intensificazione massima del fattore reale».
Sulla data del celebre Primo acquerello astratto, oggi conservato al Musée Pompidou di Parigi, si è consumata una contesa. Con ogni probabilità lo aveva dipinto nel 1913, ma per garantirgli una sorta di primato, la sua seconda moglie Irina (Nina) Andreevskaja lo aveva anticipato al 1910.
Poco importa: quell’opera di meraviglioso lirismo rappresenta un’apertura di nuovi spazi e possibilità per la pittura, che si predispone a dare libera rappresentazione al suono interiore delle cose.
È Kandinskij stesso a guidarci con molta lucidità nel metodo che sta alla base di questa nuova arte: «Quando nel quadro una linea viene liberata dall’obbligo di servire un fine, ossia di disegnare una cosa, e funge essa stessa da cosa, il suo suono interiore non viene più indebolito da alcuna funzione accessoria e conserva tutta intera la propria forza».
Linee e colori non sono più dunque funzionali alla rappresentazione di un frammento di realtà, ma diventano loro stessi, sulla tela e sulla carta, realtà.
Non è una negazione della tradizione, tant’è vero che tanti elementi visivi assimilati negli anni della formazione in Russia riemergono spesso dal profondo nelle sue composizioni: ad esempio la forma delle cupole del Cremlino oppure l’asta della lancia di san Giorgio, il santo che è al cuore dello stemma della città di Mosca.
Dopo gli anni di Monaco con lo scoppio della Prima Guerra mondiale, era rientrato in Russia, dove aveva accompagnato i primi anni della Rivoluzione di Ottobre lavorando all’Accademia delle scienze artistiche. Il regime, imponendo l’estetica del Realismo sovietico, aveva però messo al bando l’arte astratta.
Così Kandinskij nel dicembre 1921, insieme a sua moglie Nina, aveva lasciato Mosca per accettare l’invito di Walter Gropius a prendere una cattedra al Bauhaus di Weimar.
Inizia una lunga stagione in cui la sua arte prende forme più calcolate, regolate da precise geometrie. «Pezzi di ghiaccio entro cui brucia una fiamma», li aveva definiti lui stesso.
All’interno di questo nuovo percorso nel 1925 aveva disegnato Curva libera verso il punto - Suono di accompagnamento delle curve geometriche, un’opera iconica conservata al Metropolitan di New York e che era stata usata per il Volantone di Natale di CL nel 2015.
L’arco disegnato dalla linea è quello della nostra vita, teso verso un punto d’attrazione che, come diceva Kandinskij, «fa vibrare il cuore».