Il caso Roma e Tony Effe: tutto da rifare. «I fautori di un “curriculum parallelo” che continua a entrare nelle vite dei nostri figli e che dice l’esatto opposto di ciò che la comunità educante diffonde nel curriculum ufficiale delle scuole. Quel curriculum parallelo esiste non perché diffonde una nuova cultura di cui il mondo ha bisogno, ma perché muove un enorme profitto, andando a titillare e stimolare gli istinti più bassi», di Alberto Pellai con una breve nota de Gli scritti
Riprendiamo sul nostro sito un post di Alberto Pellai pubblicato sul suo profilo FB il 21/12/2024, con una breve nota de Gli scritti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Giustizia e carità e Educazione e media.
Il Centro culturale Gli scritti (26/1/2025)
1/ Nota de Gli scritti
Quando si insiste sul “patriarcato” come movente dei femminicidi si tace di una questione estremamente importante che falsa la visione sociale - e prima ancora educativa - della questione.
Si tace il fatto che è tutta una cultura supportata da una certa intellighenzia politicamente trasversale ad essere intrisa di “violenza” e di possesso dell’altro a proprio uso e consumo.
L’appoggio al sesso, droga e rock & roll di una parte dell’intellighenzia è fatto, ovviamente, non perché gli intellettuali condividano in toto tale visione, ma perché ad essa interessa essere popolare e trasgressiva, interessa mostrarsi libera e libertaria, per proporsi come moderna e “rivoluzionaria” senza esserlo.
Anche il mondo femminile tende a trascurare il compito educativo che hanno le stesse donne e le stesse ragazze - senza nulla togliere alle responsabilità maschili che sono grandissime – di saper dire “no”, di saper chiedere ad ogni maschio, mentre sbava dinanzi ad una qualsivoglia bellezza, di essere maturo e responsabile e di dimostrarsi capace di bene.
Quando una ragazza in discoteca sa pronunciare i suoi “no”, ecco che contribuisce non solo a difendere sé stessa, ma anche a preparare un mondo futuro per le sue amiche e coetanee, amando così veramente i ragazzi che frequenta, senza far loro sconti.
Di tale rivoluzione abbiamo bisogno e di qualcuno che non spenda ulteriori fondi inutili per cantanti che cantano del corpo femminile come di un oggetto da sfruttare - e che in effetti sfruttano anche per trovare ingaggi nei loro concerti e vendere audio sui social. Da vero capitalisti del sistema.
2/ Il caso Roma e Tony Effe: tutto da rifare, di Alberto Pellai
In questi giorni abbiamo assistito ad una levata di scudi collettiva a difesa di Tony Effe con la motivazione che la musica non deve essere imbavagliata dalla politica.
Questo è certamente vero. In una democrazia, la politica non ha il diritto di imporre ad un artista che cosa si può dire e che cosa non si può dire.
Altrimenti creerebbe una “cultura di regime”. Nel caso di cui tutti stanno parlando e commentando, però, la questione è un’altra. L’artista non è sottoposto a censura, infatti nella stessa sera in cui non terrà il concerto pubblico, potrà tenere un concerto in un altro spazio, aperto al suo pubblico e organizzato dal suo team di produzione. Quindi la sua libertà di espressione e quella del suo pubblico di poterlo ascoltare è preservata.
Ora però, vale la pena approfondire un’altra questione. Il concerto [al quale il cantante doveva partecipare e non è poi stato più invitato] era pagato con fondi pubblici, ovvero con il denaro di noi cittadini.
Lo stesso denaro con cui si cerca di promuovere una nuova cultura intorno ai temi del rispetto, della prevenzione, della violenza di genere, dell’educazione emotiva, affettiva e sessuale.
I contenuti portati dall’artista al suo pubblico sono intrisi di messaggi e contenuti fortemente sessisti, irrispettosi, volgari che rappresentano l’esatto opposto di ciò che andiamo a promuovere con le attività di prevenzione della violenza di genere.
Responsabilità etica dell’artista è prendere consapevolezza di ciò che propone al suo pubblico, costituito soprattutto da giovanissimi che intorno a quei messaggi sviluppa attitudini e norma sociali.
Responsabilità dello stato è promuovere e favorire una cultura che si fa portatrice dei valori su cui fonda le proprie basi democratiche e i valori che vuole proporre (e non imporre) ai propri cittadini.
Per me, il caso legato all’annullamento del concerto di Tony Effe è esemplare di un’enorme superficialità con cui la politica (o almeno alcuna politica) si muove oggigiorno. Il primo pensiero dei politici, molte settimane fa, deve essere stato: “chi sono gli artisti più amati dai giovani?”. Tony Effe si trovava tra questi e quindi subito la politica ha cercato di reclutarlo per il concerto di fine anno, così da far vedere che essa sa stare in ascolto dei giovani.
Chi lo ha reclutato, lo ha fatto semplicemente sulla base del principio della popolarità. Una volta, annunciato il programma del concerto di fine anno, sono sorti i problemi.
Perché, giustamente, chi oggi promuove prevenzione trova ingiusto che si spendano soldi pubblici per sostenere un artista che non ha una visione etica di temi su cui oggi si deve necessariamente averla. Le contestazioni hanno obbligato la politica a rivedere la decisione già presa.
L’annuncio dell’annullamento si è rivelato uno straordinario boomerang per i politici e un assist incredibile per l’artista. Che così è diventato il simbolo della democrazia da difendere e tutelare contro un regime che spegne la voce di chi non gli aggrada.
Ora, io penso che il pensiero da diffondere sia un altro. Là fuori c’è un mondo di persone che dice e canta cose che, secondo un’etica del rispetto e dalla promozione di una adeguata cultura di genere, non si dovrebbero dire e cantare.
Sono i fautori di un “curriculum parallelo” che continua a entrare nelle vite dei nostri figli e figlie e che dice l’esatto opposto di ciò che la comunità educante prova a diffondere nel curriculum ufficiale, ovvero quello di scuole ed agenzie educative.
Quel curriculum parallelo esiste non perché diffonde una nuova cultura di cui il mondo ha bisogno, ma perché muove un enorme profitto, andando a titillare e stimolare gli istinti più bassi.
In queste settimane, si è spesso citata qualche canzone di cantautori del passato come Vasco Rossi, affermando una sorta di equivalenza tra lui/loro e gli artisti della trap e del rap. È vero anche Vasco Rossi ha spesso portato sul palco messaggi trasgressivi, ma le sue canzoni sono sopravvissute ai decenni non certo per il loro “contenuto trasgressivo”, ma per una poetica, una complessità e compiutezza che è andata molto al di là del singolo testo di questa o quella canzone.
Essendo padre di figli che giornalmente ascoltano la musica di oggi, mi sono immerso più e più volte nei testi e nella musica degli artisti del rap e del trap e ho spesso percepito che nei loro testi la trasgressione fine a sé stessa fosse il codice prevalente.
Comparazioni a parte, nessuno di noi vorrebbe che un insegnante dei nostri figli entrasse in classe dicendo parolacce, chiamando le ragazze in modo volgare, descrivendo atti sessuali con lo stile e il codice della pornografia.
Tutto questo esiste nelle canzoni di questi artisti. La vera rivoluzione avverrà quando essi stessi, in quanto uomini, padri, compagni di vita, si renderanno conto che la trasgressione vera che serve oggi è quella che celebra l’umanizzazione delle relazioni e non il suo contrario.
E questa levata di scudi di tutti gli artisti che oggi parlano in difesa del loro collega, dovrebbe esistere anche contro testi e messaggi irrispettosi e violenti, altrimenti è inutile organizzare mega-concerti contro la violenza di genere e rilasciare dichiarazioni contro il sessismo e la mascolinità tossica, che rappresenta il messaggio centrale di molti testi dell’artista che ha visto annullato il proprio concerto.
La trasgressione è tale se non normalizza ciò che va a trasgredire. Alcuni artisti cantano la trasgressione in modo così intensivo e ripetuto da ottenere il risultato di normalizzarla.
In conclusione: oggi servirebbe una politica meno desiderosa di popolarità e più attenta ai valori di cui dovrebbe essere referente e garante.
Ma servirebbe anche un mondo di artisti che sfuggisse alla regola del Gatto e la Volpe, famosi per essere interessati solo agli Zecchini d’Oro che Pinocchio aveva in tasca e totalmente disinteressati a proteggerlo e farlo crescere capace, competente e umano.
Io trovo che anche il dibattito degli intellettuali, in questo senso, sia davvero scarso.
Si condanna chi sbaglia a dire una parola con la vocale sbagliata e al tempo stesso non si interviene di fronte a progetti culturali che di vocali giuste non ne hanno nemmeno una. E non lo si fa, per rimanere nel mainstream.
Appunto, per rimanere popolari. Mentre oggi c’è bisogno di essere molto, ma molto impopolari. E di questo, forse, il sindaco di Roma, non si era accorto.