Esame di riconoscenza [Al capodanno del 2025], di Alessandro D’Avenia

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /01 /2025 - 00:05 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Il Corriere della Sera del 30/12/2024, un brano di un articolo di Alessandro D’Avenia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Vita e Liturgia.

Il Centro culturale Gli scritti (26/1/2025)

Il 2023 è stato per molti, me compreso, un anno di ripresa. Per questo avevo deciso di scrivere su un foglietto, ogni lunedì, la cosa più bella accaduta nella settimana precedente.

Avevo bisogno di sapere di essere felice e ricordarmelo, verificando l’ipotesi di G.K. Chesterton secondo cui la felicità è a misura della riconoscenza.

In italiano la gratitudine dipende dal verbo «riconoscere», rendersi pienamente conto di qualcosa: riconoscente è solo chi ri-conosce.

A gennaio del 2024 che si chiude domani avevo quindi una scatola rossa, il mio «salva-donaio», piena di 53 racconti dei doni che avevo riconosciuto: 53 riconoscenze, 53 felicità.

Non erano eventi necessariamente positivi, la grazia non è infatti l’incantesimo che fa sparire i problemi ma un «colpo» che offre una visione nuova e invita a creare una vita più bella.

Nel 2024 l’esperimento è proseguito con gli articoli del lunedì, che di fatto sono il racconto del colpo di grazia ricevuto nella settimana precedente (non programmo i pezzi, li aspetto).

E così per gioco, in questi giorni di pausa, ho aperto il salvadonaio del 2023 pescando a caso qualche foglietto.

Chesterton aveva ragione: la memoria di una gioia, ri-conoscenza, è felicità «per sempre». Avevo infatti in mano 53 estasi da ri-vivere a comando, 53 risvegli, 53 inviti a incarnare un destino, che non erano invecchiati di un solo giorno, perché erano vita sempre viva, vita strappata alla morte. E non è forse questa la gioia che tutti cerchiamo? Dove?

Una vita mancata è quella che non ha incarnato il suo irripetibile destino. Il fine della vita non è infatti la sopravvivenza, ma la bellezza: chi compie il suo destino rende seé stesso e il mondo più belli. L’arte è un promemoria di questa chiamata, artista è infatti chiunque lotti per rendere giustizia all’ispirazione ricevuta, come riassumeva il poeta Paul Valéry: il primo verso lo danno gli dei, il secondo è lavoro umano per rimanere all’altezza.

Di queste ispirazioni che rompono il ripetersi stanco dei giorni e ci ricordano l’irripetibilità del destino che magari stiamo tradendo, ogni settimana ne riceviamo diverse sotto forma di parole, eventi, incontri, crisi... che spesso però non trovano il terreno interiore per attecchire e dare frutto.

Ribaltando Chesterton si potrebbe dire che «irriconoscenza è infelicità». La realtà offre continui risvegli dal torpore dell’abitudine, dal dolore incancrenito, dalla mania di controllo, che rendono il nostro cuore di pietra.

La grazia lo riporta alla sua vera dimensione: la carne.

La paura che pietrifica il cuore ha due forme: paura di vivere e paura di morire. Il cuore pietrificato si abbandona infatti all’impotenza (non valgo niente, non sono padrone della mia vita, non posso cambiare questa situazione, non ne vale la pena...) o fuga dalla realtà (era meglio ai miei tempi, è colpa degli altri, questa vita fa schifo mi ritiro...).

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