Chi siamo noi nel Presepe? Scopriamo i personaggi minori del Presepe, Benino che dorme, il falegname, l’acquaiolo, il pastore della meraviglia, il bue e l’asinello, Ciccibacco e i Re magi, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 26 /12 /2024 - 22:33 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione di sette video curati da Andrea Lonardo sui personaggi minori del Presepe. Quei video furono “scritti” da Andrea Lonardo e girati dalla parrocchia di San Tommaso Moro nel 2021 per accompagnare l’Avvento e il Natale. La trascrizione è di Franca Santilli. Sono disponibili tutti al link Sette video: chi siamo noi nel Presepe?. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Arte e fede e Liturgia.

Il Centro culturale Gli scritti (26/12/2024)

1/ BENINO che dorme

Il pastore che dorme che si pone nel punto più alto del presepe, si chiama nella tradizione napoletana BENINO ed in quella siciliana SUSI PASTURI dal verbo susirisi che significa svegliarsi.

Secondo la tradizione napoletana il pastore che dorme, Benino, non è in questo caso un pigro, un fannullone ma è un pastore che sta sognando il presepe prima ancora che il Natale sia venuto, mentre sta venendo; Benino sogna il presepe in cui è posto.

Le persone di cultura useranno qui il termine meta-linguaggio. Benino sogna il presepe e secondo la tradizione non lo si deve svegliare altrimenti il presepe svanirebbe. Il presepe e il mondo hanno bisogno di chi sogna per continuare a vivere.

Benino è quindi il personaggio che mostra quanto sia necessario rinunciare alla logica, alle logiche umane, anzi scoprire che non esiste solo la logica che esiste il sogno: meravigliose sono la scienza, la logica, la matematica, la conoscenza, ma se mancasse la poesia, se mancasse l‘amore, se mancasse la speranza, se mancasse il presepe, cosa mai sarebbe l’uomo?

Secondo la tradizione deve essere messo nel punto più alto del presepe; spesso lo si pone su quei monti che voi costruite, isolato, oppure con gli altri pastori; noi l’abbiamo messo qui sulla capanna solo perché è un presepe molto semplice, troppo semplice questo. Si mette in alto perché Benino mostra che esiste l’alto dell’uomo, che l’uomo vuole bucare il cielo, vuole scoprire la verità, vuole vedere Dio.

È bellissimo paragonare Benino al pastore errante dell’Asia nel famoso canto di Leopardi. Da un lato Leopardi sembra dire che non c’è altra possibilità per il pastore - come per tutti noi - della morte, della fine, ma invece poi immagina nella notte di guardare la luna e dice così: “Pur tu, solinga, eterna peregrina, (la luna che cammina nel cielo) che sì pensosa sei, tu forse intendi, questo viver terreno, il patir nostro, il sospirar, che sia”.

Come Benino, forse il pastore, forse la luna, capisce la vita, “e tu certo comprendi il perché delle cose, e vedi il frutto del mattin, della sera, del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore rida la primavera, e quando miro in cielo arder le stelle; dico fra me pensando: - che fa l’aria infinita, e quel profondo infinito seren? che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono?”.

Ecco Benino sogna, interroga, sta nella notte, non gli basta la logica. Lo potremmo paragonare anche agli astronauti della stazione spaziale orbitante, la ISS, dove sono stati anche i nostri astronauti italiani e abbiamo visto che loro hanno portato lassù le icone di Cristo, della Madonna, dei Santi, perché certo loro sono scienziati, sono astronauti, ma si domandano se esista la felicità, se quel meraviglioso universo sia nato per caso oppure sia un posto amato, un posto voluto, un posto desiderato.

Ma c’è un’altra ancora più straordinaria in Benino, il pastore che dorme, cosa sogna Benino? Benino sogna la realtà stessa, Benino sogna il Presepe in cui lui sta, sogna ciò che è presente. Perché? Perché la realtà è più grande della fantasia, mai l’uomo avrebbe potuto immaginare che Dio stesso si sarebbe fatto carne.

Vedete il sogno può diventare una trappola, noi abbiamo tante persone che vivono nelle loro fantasie astruse, non si aprono alla realtà.

Un genitore sa che una delle prime cose per legare alla realtà i suoi figli è dargli una regola, a che ora si va a dormire, a che ora ci si alza. Lo sa lo studente universitario: chi non trova una regola non riesce ad amare, chi non sa alzarsi, addormentarsi, non riesce a fare gli esami.

Ecco Benino sogna la realtà, sogna, ma sogna la realtà e sogna il presepe che lui vedrà quando si sveglierà, scoprirà che il presepe è ancora più bello dei suoi sogni. Questo è in fondo il cammino del Natale: scoprire che la realtà è più bella dell’astrazione.

La mia famiglia, i miei figli, la mia fatica, i miei libri, il mio lavoro sono belli, sono di una bellezza grande al punto che l’infinito è entrato in essi.

C’è un passo dell’Amleto di Shakespeare famosissimo, dice: “Ci sono più cose in cielo ed in terra di quante possa immaginarne la tua filosofia”. Vedete questa è la scoperta del presepe: che il reale è interessante. Benino sogna il presepe.

Ve ne rendete conto voi genitori dinanzi ad un bambino. Certo un bambino è faticosissimo, ma quanto noiosa sarebbe la vostra vita senza un bambino! Se voi tornaste a prima della nascita dei vostri figli, ma chi sareste? Cosa fareste oggi?

C’è un libro che è un capolavoro, vi invito a leggerlo, “Cristo e il lavandino” di Aldo Trento, è un prete che ha avuto una crisi depressiva e ha scoperto la bellezza di radicarsi nuovamente nelle cose concrete: farsi il letto la mattina, cucinare, fare il caffè, vestirsi in un certo modo.

Benino scopre che la realtà è più bella di qualsiasi sogno: ecco nel presepe dialogano i sogni e la realtà.

Mi piace terminare con una frase di don Giussani, una espressione che mi colpì tantissimo quando la lessi la prima volta. Dice così: “Gesù Cristo, quell’uomo di 2000 anni fa, l’incontro è con una umanità diversa che ci colpisce perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero, della nostra fantasia. Non ce l’aspettavamo. Non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile non è reperibile altrove”.

Cioè io non potrei mai sognare Gesù, se non fosse venuto.  Benino mai avrebbe potuto sognare il presepe se Cristo non fosse venuto, ma ecco che quel Cristo che vede corrisponde ai sui sogni. Corrisponde più di qualsiasi altra cosa che ha pensato della vita: guardando quel Cristo lui riconosce la bellezza della vita.

2/ IL FALEGNAME

Tutti abbiamo bisogno di chi lavora. Chi lavora al computer ha bisogno di chi fa il pane, chi lavora in banca ha bisogno di chi fa i cornetti, chi guida la macchina ha bisogno di chi fa le strade, l’architetto ha bisogno del medico ed il medico dell’architetto.

Mettiamo il falegname nel presepe perché non esisterebbe il presepe, non esisterebbe Roma, non esisterebbe l’Italia senza i falegnami. Ma anche senza tutti gli altri lavoratori del presepe.

Ecco perché ne mettiamo tanti, ne mettiamo di tutti i tipi: c’è qui la ricamatrice, c’è la donna che fa il pane, c’è il calzolaio, ci sono il fabbro ed il vasaio. I genitori debbono imparare a mettere tutti quanti questi personaggi, tutte queste figure ci mostrano che l’uomo che lavora è nobile.

È nobile perché lavora, l’uomo è nobile quando lavora bene. Tutte queste statuette ci mostrano che dobbiamo amare chi lavora. C’è mio papà che lavora, c’è mia mamma che lavora, anche chi lavora a casa. Mia mamma era casalinga e quando le dicevano: “Signora ma allora lei non lavora”, lei rispondeva: “No, io lavoro più di mio marito, ma non mi pagano: questa è la differenza”. Ecco noi capiamo che senza il falegname e senza gli altri lavoratori il presepe morirebbe.

Ma anche il falegname deve capire chi è. Mi ricordo una bravissima professoressa Mariella Carlotti che, presentando la mostra sulle formelle di Giotto del campanile di Firenze, che rappresentano anche il lavoro, raccontò un’esperienza folgorante. Aveva chiesto ai suoi alunni di un istituto tecnico che cosa è il lavoro. C’erano italiani, immigrati, ed era rimasta colpita che tutti, nessuno escluso, di qualsiasi continente fossero, avevano risposto: “Il lavoro è quella cosa che purtroppo bisogna fare per portare a casa la pagnotta”.

E lei aveva detto: “Ragazzi, ma questa è la definizione degli schiavi, gli schiavi non vogliono lavorare, lavorano solo per avere i soldi del padrone e la loro unica pace è il momento della festa, è il momento della vacanza”.

E uno studente aveva allora domandato: “Ma allora che cosa è il lavoro?”

Lei ha risposto: “Il lavoro è conoscere sé stessi, incontrare la realtà, il lavoro è capire che bisogna uscire dall’angoscia di sentirsi inutili”.

Vedete l’uomo non lavora per guadagnare lo stipendio; il falegname non sta qui per avere lo stipendio, sta qui per fare delle cose fatte bene per gli altri.

È gravissimo che si insegni che si lavora solo per guadagnare, che si pensi che bisogna scegliere la facoltà solo perché la facoltà deve essere quella che ti fa guadagnare. Si lavora per costruire il mondo, si lavora per costruire la propria famiglia un giorno, si lavora perché il lavoro è il proprio contributo alla vita degli altri, per questo si va all’università, per questo ci sono tanti lavoratori nel presepe: per dire la dignità del lavoro.

Non potrò mai dimenticare una espressione meravigliosa di Martin Luther King, di quelle espressioni che ti fanno stare bene. Disse così in un suo discorso “Se vi toccasse di fare gli spazzini, dovreste andare e spazzare le strade nello stesso modo in cui Michelangelo dipingeva le sue figure; dovreste spazzare le strade come Haendel e Beethoven componevano la loro musica. Dovreste spazzarle nello stesso modo in cui Shakespeare scriveva le sue poesie. Dovreste insomma spazzarle talmente bene da far fermare tutti gli abitanti del cielo e della terra per dire: “Qui ha vissuto un grande spazzino che ha svolto bene il suo compito.”

Martin Luther King che voleva rivoluzionare il mondo con l’uguaglianza sapeva che non c’era vera rivoluzione se non cambiano i cuori, se un uomo non comincia a servire il fratello lavorando a regola d’arte.

Voi vedete che disastro è quando un prete lavora male, pigro, quando non si impegna. E questo vale per tutti. Quando un professore non ha passione, quando agli uffici comunali gli impiegati si palleggiano da una stanza all’altra il povero malcapitato, quando non ti puoi fidare di un muratore: è un disastro!

Ecco perché mettiamo tutti questi lavoratori e mettiamo il falegname, se non ci fosse lui nel presepe a lavorare bene sarebbe un disastro.

Carissimi genitori, raccontate ai vostri figli, facendo vedere le statuette del presepe dei mestieri, di come il pane che arriva a tavola è fatto da qualcuno, il latte è fatto da qualcuno, c’è il supermercato, c’è la frutta, c’è l’elettricità e ci sta il riscaldamento, ci sono le scarpe, ci sono i vestiti, ci sono i libri. Raccontate però anche di voi stessi, raccontate qualcosa del vostro lavoro in senso positivo.

Io ricordo mio padre, magistrato, che è in cielo. Mi ricordo una volta venne una persona, lui era magistrato, appunto venne uno che voleva regalargli un piatto d’argento dicendogli: “Ma lei ha dato ragione alla mia parte, alla mia causa”. Lui disse: “Non lo posso accettare: io ho dato ragione a lei perché aveva ragione, perché la legge le dava ragione”.

E noi figli a prenderlo in giro, perché doveva accettare quel regalo, ormai il giudizio era già stato fatto e, quindi non era una bustarella. E lui a dire invece: “No, un magistrato non può far pensare che guadagna qualcosa dal suo giudicare”.

Ricordo un’altra volta che diceva in maniera molto ferma che un magistrato non può dichiarare per quale partito vota, di che parte politica è, perché se no penseranno che il suo giudizio è dato perché lui è di sinistra o è di destra. Oggi dopo tanto tempo capisco che è un sacrificio, è stato un sacrificio, ma lui voleva lavorare a regola d’arte.

È bellissima questa espressione: LAVORARE A REGOLA D’ARTE.

Ecco noi mettiamo il falegname nel presepe per dire che nel mondo nel quale viene Gesù, noi lo accogliamo adorandolo, ma lo adoriamo anche lavorando a regola d’arte.

Mi piace tanto questa espressione: “a regola d‘arte”. Cioè: come deve essere. Come è giusto che sia, non superficialmente, non tanto per.

Di questo vale la pena parlare ai bambini, che il latte, la pasta, i libri, le scarpe, l’acqua che esce dal rubinetto, non si trovano sugli alberi, sono frutto della terra, cioè dono di Dio e del lavoro degli uomini.

Ecco la rivoluzione di cui anche il presepe è testimonianza. Al tempo dei romani antichi il lavoro era degli schiavi mentre per gli uomini liberi, per gli intellettuali c’era solo l‘ozio, non si dovevano mai sporcare le mani.

Gesù invece ha lavorato, noi diciamo che è stato anche lui falegname. È giusto dire così, anche se precisamente lui era un manovale - tecton in greco è il termine che si usa per il lavoro di Gesù, nei vangeli. Tale termine è oggi nella parola “architetto”, “archi-tekton”, cioè “capo dei tectoi”, dei manovali.

Gesù usava il legno per fare anche i tetti, per fare i pali che reggevano le case. Forse ha lavorato vicino a Nazareth, c’è questo sito – Sepphoris - che è stato scavato da poco, una città che era effervescente, in costruzione, forse Gesù ha lavorato lì.

Ecco che questo lavorare di Gesù ha cambiato il mondo. Gesù ci ha insegnato che chi lavora costruisce il mondo, è libero perché si dona. Non è schiavo il falegname che lavora.

Pensate anche ai migranti, essi non ci chiedono sussidi, non ci chiedono aiuti, ci chiedono lavoro, vogliono contribuire a rendere più bella l’Italia.  Li ama e li accoglie veramente chi si preoccupa di trovare lavoro per loro, non vogliono vivere di elemosina, vogliono contribuire anche loro, vogliono aiutare.

Ricordo di un uomo che aveva scelto di vivere con i disabili, con persone con disabilità. Mi raccontò: “Se tu fai sempre tutto per loro si sentono ancora più inutili, ancora più rifiutati, devono scoprire che sono loro che fanno un dono a te, che sono loro che portano un dono alla comunità”.

Ecco una volta, mentre andavo a lavorare, in macchina, presto, alzandomi presto, vedevo la gente ancora assonnata nelle macchine, che camminava per andare a lavorare: mi ha fatto tenerezza tutta questa gente di Roma che si alza per andare a servire Roma, come il nostro falegname.

3/ L’ACQUAIOLO

Questo personaggio che porta due secchi d’acqua è importante perché ci fa capire che l’acqua non la creiamo noi. L’acquaiolo la deve prendere da una sorgente.

Oggi voglio parlarvi di questo personaggio che ci ricorda che abbiamo tutti bisogno di una sorgente. Qual è la nostra sorgente dalla quale attingiamo l’acqua?

Noi siamo troppo abituati ad avere l’acqua in casa, apriamo un rubinetto e arriva l’acqua e l’acqua è sempre una cosa nostra.

Ma ai tempi del presepe, dell’800 anche, bisognava andare alla fontana, le fontane di Roma. La Fontana di Trevi, il Fontanone, la Barcaccia, non erano fontane solo di bellezza, era la bellezza dei luoghi dove la gente andava con i secchi a prendere l’acqua.

Il Tevere era pulito, si andava lì a bere, a lavarsi, a lavare i panni, a prendere l’acqua per cucinare - il dramma è avere una sorgente inquinata. Oggi il Tevere è sempre carico d’acqua, ma è un’acqua sporca.

Bisogna avere una sorgente da cui si può bere, un’acqua bella, pulita, umile, casta come dice S. Francesco. Un presepe deve essere ricco d’acqua - io un po’ ci ho provato, c’è questo fiume fatto con la carta argentata, c’è un ponte, c’è qui una sorgente.

Sarebbe bello che si sentisse il rumore dell’acqua, qui un po’ riuscite a sentirlo. C’è un pozzo e l’acquaiolo è parte di questa acqua che viene portata e se ci pensate questa acqua - che viene da prima di noi e che noi portiamo - ci fa capire che la vita è come essere un canale d’acqua.

Pensate per esempio a quando nasce una vita. Arriva la vita - l’acqua -, quel bambino, arriva la nuova vita ma quella vita è dei genitori che l’hanno lasciata passare, è dei nonni che l’hanno lasciata passare, dei bisnonni che l’hanno lasciata passare. La vita si può fermare, uno la può bloccare, ma altrimenti, se non la blocchi, la vita ti attraversa, passa, viene dai tuoi genitori e arriva a tuo figlio e tu diventerai a tua volta genitore, poi diventerai nonno e arriverà ai tuoi figli e ai tuoi nipoti.

C’è un brano bellissimo dei Proverbi (21,1) dove si dice: “Il cuore del re è un corso d’acqua che Dio dirige”: è un canale d’acqua, cioè il re non è lui che fa l’acqua, il problema è se il re la fa passare. Ecco nel presepe passa l’acqua, ci dà la vita e noi la portiamo ad altri.

Vedete così è anche la cultura, l’università: tu prendi tutto il sapere degli antichi, ci aggiungi qualcosa, la porti avanti e la trasmetti ad altri.

C’è un brano bellissimo, meraviglioso, di un grande uomo medioevale, di Giovanni di Salisbury che racconta di Bernardo di Chartres che diceva: “Noi siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti. Vediamo quindi un numero di cose maggiori degli antichi, non per la penetrazione della nostra vista o per l’elevatezza della statura, ma perché essi ci sollevano e ci innalzano di tutta la loro gigantesca altezza”.

I nani sulle spalle dei giganti, questo dovrebbe essere la cultura, Dante è più grande di me, Dante è una sorgente, Dante mi porta l’acqua, io lo leggo, lo racconto, ci aggiungo una interpretazione, aggiungo qualcosa, ma è quell’acqua che arriva fino a me.

L’acqua del presepe è anche segno della Fede, del Battesimo. Un bambino che è nato potrebbe domandare al papà: “Papà ma perché mi hai fatto nascere? Mamma perché mi hai fatto nascere?”

Anzi lo domanderà, non è che potrebbe accadere, accade! E il papà deve rispondere: “Guarda io non ho nessuna prova per dirti che la vita tua sarà bella, quanti anni vivrai, che cosa ti accadrà, se sarai sano. Io ti ho fatto nascere non perché so rispondere a queste domande, io ti ho fatto nascere perché so che c’è una acqua che ti raggiunge, c’è la provvidenza di Dio, tu sei figlio di Dio, ti ho battezzato nell’acqua di Dio, nella vita di Dio, nell’amore di Dio e Lui garantisce a me e a te che qualsiasi cosa ti accadrà tu sarai felice”.

Ecco perché il Battesimo è la garanzia del fatto che noi abbiamo fatto bene a far nascere un bambino. La vera domanda non è perché battezziamo, ma perché facciamo nascere, e la risposta è “Noi facciamo nascere, perché c’è l’acqua che ci rende figli di Dio e quindi la vita di ogni uomo è una benedizione, una grazia”. Non è mai una cosa brutta e inutile.

Noi non ci pensiamo mai, ma a Roma, nei primi secoli si battezzava nel Tevere, nell’acqua corrente, nell’acqua limpida, nell’acqua pulita, perché c’è un motivo per vivere, c’è una sorgente, non siamo noi il motivo, noi riceviamo questo motivo.

Nel presepe ci deve essere tanta acqua, chi non capisce l’acquaiolo non capisce la vita, perché la vita è avere una sorgente da cui tu prendi l’acqua e avere il gusto di donarla ad altri.

La vita è l’acquaiolo.

4/ IL PASTORE DELLA MERAVIGLIA

Nel presepe ci sono due tipi di personaggi: ci sono tutti quelli che hanno le loro occupazioni e ci sono quelli che vanno verso la grotta. Oggi vediamo uno importantissimo di quelli che vanno verso il Bambino Gesù: è il pastore della meraviglia.

È molto bello questo inginocchiato con le braccia alzate. È tipico del presepe napoletano, ma c’è in tutti i presepi: nel presepe bolognese è una pastorella, una donna che si chiama direttamente Meraviglia. Nel presepe siciliano si chiama scantatu da’ stidda, cioè sbalordito dalla stella.

Quanto è importante capire questa cosa della meraviglia. Meraviglia viene dal latino mirabilia, dal mirare, ammirare, contemplare ed è folle pensare che solo i bambini si meravigliano. Ma un adulto, se non si stupisce delle bellezze della vita, che adulto è? È invecchiato dentro.

Pensate ad un genitore che dà alla luce un bambino. Quante volte gli ho chiesto: “Cosa hai provato?”. La risposta spessissimo è questa: “Padre come è possibile che l’abbia fatto solo io?”  Tu vedi quel bambino, ti accorgi che l’hai fatto tu, ma che non l’hai fatto solo tu! Che è vivo, che è diverso da te - questo è il sentimento dell’adulto.

Chesterton, un autore che io renderei obbligatorio in seminario e nelle facoltà teologiche, ha scritto di Babbo Natale: “Da grande non ho abbandonato l’idea di Babbo Natale, l’ho estesa. Da bambino mi chiedevo chi metteva i giocattoli nella calza. Ora mi chiedo: chi mette le calze accanto al letto? E il letto nella stanza? E la stanza nella casa? E la casa nel pianeta? E il grande pianeta nel vuoto? Una volta pensavo che fosse piacevole trovare un regalo così grande da entrare solo per metà nella calza. Ora sono stupito ogni mattina di trovare un regalo così grande che ci vogliono due calze per tenerlo e poi buona parte ne rimane fuori”.

Parla del suo corpo che entra dentro le calze. Che entra dentro le calze e poi è più grande. Essere felici di esistere, che regalo per un figlio vedere che il suo papà è felice, per un amico che il suo amico è felice di esistere… ecco lo stupore!

Il pastore delle meraviglie si stupisce del fatto che Dio si è fatto carne. Certo ci sono i libri, io ho voluto mettere anche questi personaggi che leggono, che portano i libri, che rappresentano gli studiosi della Scrittura.

Ma le Scritture hanno dei passaggi duri, anche violenti, guai se non ci fosse qualcosa di più grande della Bibbia, dei libri sacri: c’è un Bambino più grande della Bibbia. Quel Bambino è il vero interprete della Scrittura. Se io cerco di capire la Bibbia ma non capisco quel Bambino, non la capisco la Bibbia, non capisco i libri sacri: in quel Bambino c’è di più dei libri.

Un filosofo ha scritto: “Noi contemporanei identifichiamo quasi sempre la bellezza con la bellezza artistica. Ma per secoli si è parlato di bello soprattutto per la bellezza della natura, dei corpi umani o di Dio”.

Sì la bellezza di una donna, di un uomo, di un amico, di uno che perdona, è più grande della bellezza di un libro, della bellezza di un animale. Noi non crediamo più nella bellezza dell’uomo e di Dio come il pastore della meraviglia.

Noi vediamo sempre il lercio, lo sporco, andiamo a vangare nelle cose brutte e invece dobbiamo vedere che cosa è bello.

Il pastore della meraviglia esiste anche in quest’altra forma, in piedi, sempre, con le mani levate al cielo, immobile. Dice “Oh!” non dice “Boh!” (che me ne frega) dice “Oh, che meraviglia!”.

Il pastore della meraviglia prova stupore. Stupore viene da una antica radice stab che vuol dire essere immobile, perché quando uno vede una cosa bella, si ferma, vede un bambino piccolo si ferma, non lo vuole svegliare.

Cari genitori, cari universitari, andate la notte a vedere le stelle, portate i vostri bambini, portate la vostra ragazza, a vedere l’immensità del cielo, di notte, d’estate al mare, vedere l’immensità del cielo, immobili, in silenzio.

Questa estate sono stato in Lucania, in montagna, camminavo, vedevo i posti e la sera tornavo sempre nella notte e mi fermavo sempre nella stessa piazzola, al silenzio, vedevo le stelle, ascoltavo il silenzio, era il momento più bello della giornata, il momento dello stupore vero.

Il pastore della meraviglia si stupisce che chi ha fatto le stelle si sia fatto uomo. Questo è il suo grande stupore.

Uno dei drammi più grande del nostro tempo è che non conosciamo più la preghiera, il silenzio, lo stupore, l’essere ammirati, l’esseri fermi e non dover riempire di parole.

Vi lascio con questo brano tratto da un Vangelo apocrifo, scritto come tutti gli apocrifi molto dopo i quattro vangeli. È un brano bellissimo, anche se non è vero, ma ci fa capire in maniera poetica il pastore della meraviglia:

“Ora io camminavo e non camminavo più. Guardai verso il cielo e lo vidi colpito da stupore, guardai la volta del cielo e la vidi immobile, gli uccelli del cielo, fermi, abbassai lo sguardo al suolo e scorsi per terra un vaso, operai sedevano attorno attoniti con le mani nel vaso, chi masticava non masticava più, chi prendeva qualcosa non sollevava più, chi portava alla bocca non mangiava più, i volti di tutti guardavano in alto... Ed ecco le pecore che erano spinte avanti non andavano più innanzi ma stavano ferme, il pastore sollevò la mano con il bastone, la mano restò in alto. Guardai giù alla corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poste sopra, ma non bevevano. Poi tutto, in un istante, riprese il suo corso”.

5/ IL BUE e L’ASINELLO

Siamo subito prima del Natale e questa cosa la dobbiamo dire. Quando noi mettiamo l’asinello ed il bue nel presepe noi diciamo che il presepe non è una cosa di piccole cose, come fare i canti di Natale, regalare un pacco di pasta, ricevere regali e farli: no, il presepe è un evento cosmico che riguarda l’universo intero, riguarda tutta la creazione.

Questa prima cosa voglio provare a spiegarla bene, cioè quando Dio si fa carne nel presepe, questa cosa non riguarda solo me, riguarda le galassie, i buchi neri - se ci fossero riguarda anche gli extraterrestri - riguarda tutta la creazione, Dio si fa carne per salvare tutti gli uomini, di tutte le epoche e salvare la creazione tutta intera.

Per questo il presepe non può essere reso piccolo, non è una cosa di piccole cose, di piccoli gesti, le piccole cose che dobbiamo fare, che dobbiamo preparare.

Per questo ci sono tutti gli animali: ci sta il maiale, ci stanno le papere, le anatre: ho voluto mettere qui un gatto - ci sta anche un gatto! - e così via, le pecore chiaramente. Dio si fa uomo ed il mondo intero è lì.

È un evento cosmico e per questo non ci stanno solo gli uomini, e neanche solo gli animali, ci stanno gli angeli. “Gloria in excelsis Deo” “Gloria a Dio nel più alto dei cieli”: tutte le schiere angeliche esaltano Dio perché Dio guarda gli uomini. Gli angeli decaduti digrignano i denti, perché è un effetto cosmico, tutto l’universo, tutte le schiere angeliche partecipano nella gioia del presepe.

Nel secolo scorso, ma anche oggi, tanti pensatori vogliono che l’uomo si misuri solo con la storia, cioè solo si preoccupi di quel millimetro di tempo che vivono e che porta avanti il progresso. No, l’uomo si deve misurare, con il cosmo, con l’eternità, con il tempo, più grande di lui, con gli eventi di tutta quanta la creazione, quindi con Dio stesso.

I poeti sanno bene questo: il salmo dice “Innanzi alle stelle, Signore, ma che cosa è l’uomo perché te ne curi?” Ma pensate a Leopardi parafraso del suo canto, il suo carme “Luna ma tu lo sai a cosa serve la vita di un uomo? Luna tu che stai fissa lì, tu certo lo sai”, ma questa cosa la dicono anche i bambini. Un bambino dinanzi alla paura della malattia, una volta mi ha detto: “Don Andrea se il mondo finisce, io non voglio studiare. Perché dovrei studiare, se il mondo finisce?” Guai a rendere piccolo il presepe.

L’orizzonte del presepe non è la mia singola vita, anche la mia singola vita, ma è il cosmo. Dio si fa carne perché gli uomini di tutte le epoche ed il creato intero siano salvati. Guai a ridurre il presepe a piccole pratiche, dice Paolo: “La creazione tutta intera geme e soffre nelle doglie del parto”. Io penso ogni tanto alla tragedia che la selezione naturale ha fatto: che le specie debbono morire e ogni animale si deve sacrificare perché si arrivi all’uomo.

L’uomo viene salvato, la creazione gioisce, gli angeli gioiscono e in qualche modo noi sappiamo che nel paradiso ci saranno cieli nuovi e terre nuove.

Ed ecco una seconda cosa che voglio condividere con voi: il bue e l‘asinello ci debbono stare perché lo dice il profeta Isaia al capitolo 1°: “Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”. Ci debbono stare lì, perché ci ricordano che noi possiamo non comprendere. Mentre il bue e l’asino sono vicini al bambino, noi possiamo esserne lontani.

Dio ci dona suo Figlio come bambino e noi possiamo restare indifferenti, mentre il bue e l’asinello sono più furbi di noi perché stanno lì. Mi ha colpito una volta una immagine bellissima della vita che ha usato don Fabio Rosini, diceva: “La vita è come una partita di tennis, dove tu batti la metà dei games, ma la seconda metà, devi rispondere, perché è l’altro a battere”. Se tu sai fare la battuta benissimo, ma non rispondi, cioè non corri, dove è l’altro che tira la pallina - dove Dio mette il suo bambino - tu perdi la vita, perdi la partita.

C’è gente che pretende che tu vai sempre ai suoi orari, alle sue attività e non viene mai alle cose che organizzi tu, c’è gente che ti chiede mille cose per lei ma non accetta mai di cambiare i suoi orario perché tu gli dici qualcosa. Serve rispondere alla vita, serve accogliere l’altro, serve accogliere Dio. Rispondere vuol dire che la mia è una parola di accoglienza di una cosa che un altro fa e che io non avevo previsto.

Il profeta Isaia e il bue e l’asinello ci ricordano che saper stare al mondo vuol dire saper andare lì, saper stare vicino a dove avviene una cosa che non facciamo noi.

Ecco, la fede è una risposta. Oggi si ama dire che la fede è una scelta, ma non è vero. La fede non è una scelta, la fede è una risposta a qualcosa, a una scelta che Dio ha fatto, alla scelta che Dio ha fatto di darci suo Figlio.

Potremmo dire, proprio come dice la frase tipica del Catechismo: la fede è la “risposta adeguata” (CCC 142), è la risposta giusta. Se c’è un bambino, se nasce un bambino e se non si va a vederlo, tu non sai rispondere e il bue e l’asinello, dice il profeta Isaia, sono più intelligenti di te, perché stanno vicini lì.

Bisogna saper rispondere, bisogna saper prendere sul serio quello che fa Dio e andare a curiosare, andare a interessarsi, andare a vedere, perché ci è stato dato un Figlio.  

6/ CICCIBACCO

Oggi parliamo di Ciccibacco che è questo personaggio, ubriaco, seduto su una botte di vino che sta ancora bevendo. Nel suo nome c’è la parola Bacco che è il dio del vino, l’antica divinità del vino, ma Cicci è un napoletanismo, sta per il “ciccione” Bacco, cioè un modo di vedere l’ubriacone all’italiana.

C’è una cosa importantissima del presepe ed è che il presepe non è fatto una volta per sempre. Per questo possiamo aggiungere altri personaggi. Ed è ovvio che innanzitutto è colui che viene che è stato aggiunto quando arriva Natale: è stato aggiunto il Bambino Gesù.

La tradizione vuole che sia il bambino più piccolo di casa, proprio lui a metterlo nel presepe, a metterlo la notte di Natale, dopo la messa della notte, appena tornati dalla mezza di mezzanotte. Dobbiamo conservare questa tradizione meravigliosa.

Poi c’è un enorme cambiamento che vedremo la prossima volta che è l’arrivo dei Magi, un cambiamento rivoluzionario. Ve lo preannuncio, poi lo spiegherò meglio.

Tutto questo è importante perché il tempo di Natale è più importante del tempo di Avvento. La follia dei cammini pseudocristiani è che si prepara tantissimo l’Avvento, la Quaresima, ma poi non si pensa al Natale, non si pensa alla Pasqua.

Ai bambini della catechesi si dice: “Beh, ci rivedremo per la catechesi dopo il Natale, dopo l’Epifania”. Ma la cosa più importante della catechesi di Iniziazione cristiana è la messa della notte di Natale, tutti i bambini devono venirci! Noi abbiamo fatto cantare loro un canto della notte.

Ma altrettanto importante è poi l’Epifania, perché arrivano i Magi, portano i doni. Non: “Ci rivedremo dopo le feste”, ma “Ci vedremo durante le feste, alla messa di mezzanotte, in quella dell’Epifania”. Questo si deve dire!

Le feste del Natale sono più importanti dell’Avvento. La catechesi, nel tempo di Natale, non si ferma, si trasforma in liturgia.

È la stessa cosa che avviene l’estate. È falsissimo quando si dice che i bambini vanno via dopo la Cresima, o che vanno via dopo la prima Comunione. I bambini vanno via la prima domenica di giugno del primo anno di comunione.

Perché non ci si accorge di questo?

Si dovrebbe almeno, l’estate, spostare la messa animata dalle prime Comunioni alla sera, alle sette di sera. Anche nell’oratorio estivo – così come nel tempo delle feste di Natale –, anche nel GREST, la messa deve essere il centro. Non si può dire “ci vediamo da lunedì al venerdì per il GREST e poi ci vediamo il lunedì dopo”. Perché le messe domenicali e festive sono il cuore della catechesi, non un’aggiunta.

È la festa, il tempo della festa, delle vacanze, del Natale, della Pasqua che dice se la catechesi è scolastica o non è scolastica. Se esiste solo il tempo della scuola, tutto è scolastico, se invece la comunità e le famiglie educano durante il tempo della festa, ecco che la festa è la gioia.

Quali sono le cose più importanti della festa? Anche il cibo e il vino. Ecco perché c’è anche l’ubriacone, ed ecco perché ci sono però anche gli altri che portano il pane, i dolci, che fabbricano la pizza, che cucinano. Perché bisogna mangiare. Il Natale è carnale non è spirituale, è carnale, cioè servono i segni della festa.

Bisogna avere la gioia, per questo è importante cucinare con i figli, è importante mangiare le cose tipiche delle feste perché è il cibo e il vino. Lo ripeto sempre e non lo dimenticate mai: una delle grandi novità del Cristianesimo, dell’Università è il cibo. Si può mangiare tutto.

Gesù ha detto: “Siccome il male viene dal cuore, allora non ci sono cibi proibiti”. La birra e il vino non sono proibiti, la carbonara non è proibita”.

Il vino si deve bere a Natale. Sapete che la birra è stata diciamo “risistemata” nel IX secolo, mettendo il luppolo: sono stati i monaci. Molti dei vitigni dei più importanti vini che noi abbiamo vengono dal Medioevo perché i monaci, i frati li hanno selezionati.

Questo è il Cristianesimo, è carnale. E allora qual è il problema dell’ubriacone?

È un problema non tanto morale o moralistico, ma - si potrebbe dire – “pre-morale”. Ci si ubriaca perché non si è felici. L’ubriaco - dice il Piccolo Principe – beve per dimenticare che beve.

Non si è felici, smettendo di bere. La felicità è bere avendo un motivo di festa e insieme. La felicità non è ammazzarsi di piaceri inutili, ma è vivere il piacere insieme agli altri, è degustare il vino.

L’ubriacone non sente più il sapore del vino, questa è la cosa incredibile!Mio padre aveva in un piccolo ripostiglio della casa, tutte le bottiglie delle diverse annate, sapeva riconoscere i vini, collezionava tutte le etichette dei vini buoni che aveva bevuto. Perché chi ama il vino lo gusta, mentre l’ubriacone non gusta più nulla.

Ho sentito una volta don Fabio dire questa cosa di una importanza assoluta: “Il problema della festa oggi è che la festa serve a dimenticare che la tua vita fa schifo: il sabato e la domenica ti devi ammazzare di cose inutili, perché non ti piace la tua vita, te la devi dimenticare. Invece – continuava - la festa serve a riscoprire che la vita è bella”. L

L’ubriacone vive per dimenticarsi, invece il papà e la mamma mangiano con i loro figli, gli amici, i fidanzati dei loro figli, per dire: “Ma che bella è la vita, stiamo nel presepe e la vita è meravigliosa, quindi brindiamo”.

Il presepe viene a salvare anche me, la festa serve a riscoprire il valore del lavoro, dell’amicizia, della famiglia, non a dimenticarsi la vita. Altrimenti è un grande tradimento, è un grande inganno.

Ed ecco allora nel tempo di Natale la festa della Madre di Dio. La Madre di Dio merita queste cose, è piena di spirito, piena di grazia, è piena di ebbrezza, ma una ebbrezza di lei che sa guardare, sa amare le cose che accadono, sa gustare la vita, sa gustare il suo bambino e Giuseppe e tutte le persone che vengono.

Maria gode della vita, l’ubriacone è tristissimo, e Maria salva anche lui.

Sono stato varie volte, di recente, in carcere a vedere delle opere teatrali: è bellissimo che le persone carcerate dentro le opere teatrali mettono le preghiere, invocano la Madonna, perché sentono che c’è uno sguardo diverso, dolce, salvifico in lei sulla loro vita.

Mi piace concludere con una riflessione che ascoltai, anche questa meravigliosa, da don Achille, un amico molto caro, prete. Lui diceva: “Il piacere non deve essere castrato, la gente pensa che il piacere, il bere per esempio, ha bisogno di una legge che ti castra, esterna”. Lui diceva: “No! Il piacere ha una sua legge interna, proprio perché finisce, il piacere ci dice, lui stesso te lo dice: cosa c’è dopo di me che ti sostiene?”. Diceva: “Il piacere è un dito di trascendenza, cioè chi deve il piacere si domanda: “Da che cosa è abbracciato quel piacere?”.

Una persona che è triste si ammazza di Nutella, si ammazza di vino, di alcool, apre il frigorifero, va a comprare i vestiti, ma non è più felice dopo, perché non è entrata nell’amicizia, non è entrata nell’amore. Così la pornografia ti dà l’illusione che tu sei nel piacere, ma in realtà ti senti vuoto perché non ami nessuno, perché non hai incontrato una persona.

Ecco la presenza del male, la presenza di persone che stanno sbagliando nel presepe, ci ricorda che il male c’è nella vita. Non dobbiamo averne paura, dobbiamo capire il piacere e capire che possiamo godere della vita, bevendo, mangiando e stando insieme al Bambino, a Maria e a tutto quanto l’insieme di questi personaggi che ci circondano e cercano un senso alla loro vita. 

7/ I MAGI

Oggi presentiamo i Magi: eccoli qui, tutte e tre

In realtà non sono personaggi minori del presepe, sono importantissimi.

Qual è il loro significato? Prima del loro arrivo tutta questa gente, Giuseppe, Maria, il Bambino, i pastori, sono tutti ebrei. I Magi sono i primi non ebrei.

Qualcuno dice: “No, erano i palestinesi”. Chi vi dice questo di storia non ci capisce niente. Gli Arabi arriveranno in Giudea, in Galilea, solamente con l’invasione musulmana – Gerusalemme si arrese agli arabi solo nel 637, dopo 4 mesi di assedio.

Al momento della nascita di Gesù ci sono solo ebrei nel presepe e già questo è interessantissimo. Dire che erano tutti ebrei vuol dire che erano tutti asiatici.

Gesù non è un europeo, Gesù è asiatico, è un frutto meraviglioso dell’Asia. Mi è capitato una volta di seguire una ragazza persiana che aveva chiesto il Battesimo, desiderava diventare cristiana. Andò dalla mamma e la mamma le disse, per spingerla a cambiare idea: “Tu vuoi diventare occidentale”.

Lei venne da me piangendo a dire: “Ma no, non è questo. Ma la critica di mia madre, mia ha reso perplessa, perché io amo la mia terra”. Ed io le ho spiegato “No, no, no, diventare cristiani non vuol dire diventare occidentali. Nel tuo Paese – oggi l’Iran - c’è il cristianesimo fin dalle origini, fin dagli apostoli.

Il Cristianesimo è orientale, è falso quando ti vogliono far credere che il cristianesimo sia occidentale. Il cristianesimo è originario del Medio Oriente, è di lì proprio, viene dal popolo che stava in Giudea, che stava in Galilea, tranquilla”.

Siamo noi europei che siamo arrivati dopo, come i Magi, adesso lo vedremo subito.

Nel presepe c’erano solo ebrei asiatici, ma ecco che con i Magi arrivano i non circoncisi, arriviamo noi, arrivano i pagani.

Secondo la tradizione del presepiai, uno dei Magi è sempre nero, eccolo, perché è africano, cioè è tutto il mondo dell’Africa che scopre Gesù. Un altro è dell’estremo oriente, è dell’estrema Asia. Un altro ancora è europeo.

Noi non ebrei, insomma, arriviamo con i Magi.

Oppure per dire nel presepe che arrivano tutti i popoli, la tradizione ha immaginato che i re magi siano di tre età differenti. Se voi prendete il famoso quadro del Giorgione, “I tre sapienti”, “I tre filosofi”, essi sono in realtà i tre Re Magi: sono uno giovane, uno di mezza età e uno anziano, perché Cristo è venuto per tutti i popoli, per tutte le età, non è solo venuto per Israele.

Porre le statuette dei magi nel presepe vuol dire confessare che quel Bambino è per tutti. È la pace di tutti quanti i popoli.

Siamo noi entrati nel presepe e nella fede proprio nel momento in cui sono entrati i Magi, perché noi non siamo circoncisi. E allora noi entriamo con i Magi. Per questo il mondo ortodosso celebra il Natale all’Epifania, perché quel momento è la rivelazione di Gesù a tutti i popoli. Epifania: rivelarsi. Cioè Cristo si rivela come Signore, come Cristo, come salvezza di tutti i popoli. Ecco la meraviglia.

Ma c’è un problema che mi piace sottolineare, un problema grandissimo rappresentato dai magi che in realtà è una grazia: quando arrivano i Magi - che sono i nuovi che arrivano, che entrano nel Presepe -, disturbano tutti, disturbano tutti quelli che hanno già accolto il Signore, creano la rivoluzione, uno scompiglio incredibile.

Questa cosa potentissima è anche dolorosa. Mi venne in mente in Terrasanta, ebbi la fortuna di avere tipo un Erasmus lì, ed ero a Betlemme e mi venne in mente questa cosa; cioè io, per mettere questi tre nel presepe, devo spostare tutti gli altri: siccome tutti quanti stanno già lì, se io non comincio a spostare tutti quanti questi, non potrò mai mettere i Re Magi dinanzi al Bambino.

Debbo per forza muovere tutto il presepe per far sì che i nuovi arrivino a vedere il Signore Gesù e stare proprio dinanzi a Lui, debbo spostare pastori, falegnami, zampognari, pecore e altri astanti.

Vedete questo è il dramma dell’arrivo dei Magi, ed è il dramma sempre nuovo dell’arrivo delle nuove generazioni, di nuovi cristiani, di nuovi popoli al presepe: devi spostare un po’ il sederino, cioè se tu non ti sposti, gli altri non arrivano a Gesù.

Il profeta usa una parola molto forte per preparare al loro arrivo: “i dromedari, i cammelli ti invaderanno”, cioè se io devo mettere pure il cammello, io devo pian piano spostare tutti quanti perché arrivino a stare con il Signore Gesù e posso sentire questo come un’invasione.

Ma anche i Magi non possono pretendere di stare lì solo loro, il problema è che noi dinanzi a Gesù ci dobbiamo stare tutti.

Questo è Il dramma, se volete, ma anche la fecondità. C’è la Caritas che è fatta in un certo modo e sì, ma se tu non cambi, i giovani non entreranno; i giovani per forza vogliono uno spazio diverso: e così è in un coro, e così è nella catechesi, e così è con gli universitari, e così è con qualsiasi cosa nuova, cioè, qualsiasi cosa ti chiede una flessibilità, un movimento.

I vecchi tenderanno a dire: “Meglio che non arrivino i nuovi se no dobbiamo cambiare”; i nuovi penseranno: “Meglio che togliamo i vecchi perché così siamo liberi”. No, dobbiamo stare tutti quanti lì.

Questo è stato proprio il dramma storico della Chiesa primitiva: c’era la parte della Chiesa che veniva chiamata “ECCLESIA EX CIRCUMCISIONE”, cioè la Chiesa dei cristiani che venivano dall’ebraismo, che erano circoncisi, e c’era la “ECCLESIA EX GENTIBUS” - nella Chiesa di Santa Sabina, c’è ancora la rappresentazione di queste due parti della Chiesa in un famoso mosaico - la Chiesa delle genti, la Chiesa dei popoli, la Chiesa dei non circoncisi.

Ecco è un dramma questa compresenza, ma è un dramma fecondo, non è una tragedia, è ciò che continuamente rinnova la Chiesa. Questo dover conservare la tradizione e insieme dover cambiare.

Con i Magi il presepe è completo, si è mosso, è cambiato, ed è ora il Presepe dell’Epifania.