Musei Vaticani. Il restauro che svela l'ultimo Raffaello. Rappresentano l’ultima opera di Raffaello prima della morte, avvenuta 500 anni fa, le allegorie della Giustizia e dell’Amicizia, dipinte ad olio tra gli affreschi del Salone di Costantino in Vaticano, di Paolo Ondarza
Riprendiamo sul nostro sito da Vatican News un articolo di Paolo Ondarza, pubblicato il 17/5/2020. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Arte e fede e Raffaello.
Il Centro culturale Gli scritti (26/12/2024)
Il riconoscimento dello stile, della tecnica, dell’attitudine alla sperimentazione proprie del genio di Raffaello Sanzio, corroborato dal riscontro delle fonti storiche e dei risultati delle analisi scientifiche, hanno portato ad attribuire al Divin Pittore le allegorie della Iustitia e della Comitas, le uniche due figure femminili dipinte ad olio tra gli affreschi del Salone di Costantino in Vaticano.
L’emozione di una scoperta
Stupore e meraviglia hanno accompagnato il disvelamento delle pitture appena restaurate, avvenuto mercoledì 13 maggio scorso [2020] alla presenza del direttore Barbara Jatta e di circa 20, fra esperti e ricercatori. Lo documentano le immagini concesse a Vatican News dai Musei Vaticani. I lavori di conservazione e pulitura condotti dal 2015 su tre pareti del grande ambiente consentono infatti di cogliere nuovi dettagli dell’intero ciclo pittorico, ma soprattutto di godere appieno della sensazionale scoperta che sarebbe stata al centro di un convegno internazionale programmato in Vaticano per lo scorso 20 aprile nell’ambito del Cinquecentenario della scomparsa del grande pittore. L’emergenza legata al coronavirus ha impedito lo svolgimento del simposio, ma l’ormai prossima riapertura dei Musei Vaticani consentirà di ammirare quelle che probabilmente sono le ultime testimonianze artistiche lasciate dall’Urbinate.
La Comitas dipinta ad olio da Raffaello
L’ultima opera di Raffaello
Raffaello infatti, tra l’autunno 1518 e la primavera 1519, al culmine del soggiorno romano durato dodici anni, ricevette da Leone X Medici l’incarico di decorare l’Aula Pontificum Superior, ovvero la sala, destinata a banchetti, ricevimenti di ambasciatori e autorità politiche: la quarta e più grande delle Stanze dell’appartamento di rappresentanza al secondo piano del Palazzo Apostolico.
Imponenti le dimensioni: 18 metri di lunghezza per 12 di larghezza, su un’altezza di circa 13. La prematura morte sopraggiunta all’età di 37 anni, dopo lunghi giorni di malattia, il 6 aprile 1520, non consentirono al Maestro di tradurre in pittura il dettagliato programma iconografico che aveva messo a punto, come documentano i numerosi disegni giunti fino ai nostri giorni. La decorazione venne infatti portata a compimento ad affresco da Giulio Romano, Giovan Francesco Penni e altri collaboratori di bottega.
La Iustitia dipinta ad olio da Raffaello
L’olio sul muro
L’idea era quella di istoriare su ciascuna delle quattro pareti, simulando finti arazzi, episodi salienti della vita di Costantino, come la Visione della Croce, o Adlocutio e la Battaglia di Ponte Milvio: si voleva dare forma artistica all’idea della trasmissione della auctoritas dalla Roma classica alla Roma cristiana. Reduce dai successi delle Stanze della Segnatura, di Eliodoro e dell’Incendio di Borgo, Raffaello decise di sperimentare sul muro l’olio, una tecnica propria della pittura su tavola.
Una questione dibattuta
È Giorgio Vasari, il famoso biografo delle Vite dei pittori ad accennare per primo a due figure femminili dipinte ad olio nell’ultimo periodo della vita di Raffaello. Un aspetto dibattuto questo, che ha da sempre appassionato il confronto tra gli storici dell’arte, divisi sulla paternità della Iustitia e della Comitas. Le due allegorie, la prima a destra della “Battaglia”, la seconda a destra della Adlocutio, affiancano le figure dei papi, otto in tutto, rappresentati in trono all’interno di nicchie ai lati delle scene maggiori, e da sempre spiccano sull’intero ciclo in quanto a bellezza e superiorità qualitativa.
Il restauro e l’attribuzione a Raffaello
L’alterazione della cromia provocata in gran parte da colle e interventi di restauro che si sono avvicendati nei secoli, non consentiva finora di confermare l’ipotetica attribuzione a Raffaello, ricordata anche da Stendhal nelle Passeggiate Romane. Il lungo e complesso restauro appena concluso dai Musei Vaticani, grazie al sostegno dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums, ha portato alla luce elementi significativi che permettono oggi di ricondurre all’urbinate le due Allegorie.
Raffinate metodologie di pulitura della superficie pittorica sono state eseguite a partire dal 2015 su tre pareti della Sala di Costantino dai tecnici del Laboratorio Restauro guidato da Francesca Persegati, coordinati da Fabio Piacentini, sotto la direzione scientifica di Guido Cornini. Gli interventi hanno consentito di far emergere nitidamente i colori straordinari dell’intero ciclo pittorico che inaugurò la stagione del manierismo raffaellesco.
I chiodi sotto il muro
In special modo nella Iustitia e nella Comitas, realizzate rispettivamente a tempera grassa e ad olio, risaltano il cangiantismo, le trasparenze e le sfumature proprie del ductus e della tavolozza del Sanzio. Significativo anche il rinvenimento di numerosi chiodi al di sotto della superficie su cui si stagliano le due Allegorie. Questi elementi metallici avevano la funzione di ancorare alla parete la colofonia, ovvero la pece greca stesa a caldo e ricoperta da Raffaello con un sottile strato di intonachino bianco con l’intento di riprodurre sul muro le medesime caratteristiche di una tavola e così procedere con sicurezza all’esecuzione della pittura ad olio.
Un talento senza pari
Il progetto di condurre con la medesima tecnica tutta la decorazione della Sala di Costantino fu presto abbandonato dagli allievi che, morto il Maestro, non riuscirono ad eguagliarne con successo le ardite sperimentazioni. Decisero quindi di smantellare la parete ed allestire un nuovo intonaco, salvaguardando solo la Iustitia e la Comitas, la cui raffinatezza cromatica eguaglia capolavori eccelsi come la Fornarina. Il resto dell’impresa venne completato ricorrendo alla più sicura tecnica dell’affresco.