Il dramma della Siria che rischia l'islamizzazione e una spartizione in zone di influenza. Testi di Camille Eid, Nello Scavo e di Giuseppe Caffulli, con una breve nota de Gli scritti
1/ Breve nota de Gli scritti
Si sta preparando anche in Siria – come già in Iraq e in Libia - un’ennesima affermazione delle forze islamiste che, alla caduta di un regime, iniziano ad agire incontrastate? Si sta andando verso una spartizione in zone di influenza anche in Siria, con una conflittualità che potrebbe divenire devastante come è avvenuto in Iraq o in Libia, quando i locali dittatori sono stati deposti?
I commentatori occidentali – tutti anti-russi e, quindi, assolutamente favorevoli alla fine di Assad e disinteressati a ciò che avverrà - continuano a guardare al Medio Oriente come se fosse ad oggi possibile in quei luoghi qualcosa come una democrazia alla maniera liberale.
Essi dimenticano che la laicità dello stato è garantita a livello culturale e di mentalità, fino ad oggi, solo dove l’attuale contesto sociale è radicato in una cultura classica e razionale unitamente all’apporto del cristianesimo.
In Medio Oriente è stata finora la presenza di una dittatura – anche se il dittatore si è spesso mascherato da presidente – ad aver finora permesso un’unità dello stato nella diversità delle sue correnti religiose ed un clima favorevole ad una, seppur relativa, libertà, con un annesso aumento delle possibilità di studio per la popolazione e delle donne in particolare.
La caduta di Assad è il preludio ad una islamizzazione della Siria e all’ennesimo clima di insicurezza e di attentati dell’uno contro l’altro che si sono già visto in Iraq e in Libia?
Ovviamente è difficile pensare, fra l’altro, che gli USA e la Turchia – ancora sotto il controllo di Biden - siano estranei a quanto sta avvenendo.
Si va probabilmente incontro ad un periodo di faticosissimo passaggio nel quale la Siria dovrà verificare passo dopo passo se il paese sarà smembrato in diverse zone di influenza e dove, a causa degli islamisti, per le minoranze sarà ancor più difficile sopravvivere ed esprimersi.
Sarà una tragedia, insomma, o i nuovi governanti - e i loro sponsor turchi e statunitensi - sono realmente interessati ad un paese con più anime?
Il Centro culturale Gli scritti (26/12/2024)
2/ Siria. Dall'ascesa al potere alla fine del regime. Chi è al-Assad e dov'è ora. Dopo 54 anni il clan familiare alauita ha dovuto abbandonare il potere. All'ascesa alla presidenza del giovane Bashar si erano accese speranze di una svolta democratica, poi presto finite in delusione, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Camille Eid, pubblicato l’8/12/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezioni:
-Islam: la questione della libertà religiosa, dei diritti e della violenza
-La crisi dell'Islam odierno e la rivoluzione culturale invocata
-Paesi a maggioranza islamica.
Il Centro culturale Gli scritti (26/12/2024)
Una foto di Bashar al-Assad, "truccato" da diavolo, in mano ai ribelli - Fotogramma
Alcune voci lo danno a Mosca con la famiglia e pochi “consiglieri economici”, altre nella regione costiera alauita, da sempre lealista. L'ingresso dei ribelli a Damasco segna comunque la fine del regime Baath in Siria, durato 54 anni (dal 13 novembre 1970).
Bashar al-Assad era finito “per caso” in politica nel 1994 dopo la morte del fratello maggiore Bassel in un incidente stradale. Colpito dall’inatteso lutto, il padre Hafez aveva richiamato il suo secondogenito da Londra, dove studiava oftalmologia.
Nel luglio 2000 Bashar succede in perfetto stile monarchico al padre che ha governato con un pugno di ferro la Siria per tre lunghi decenni. In quell’occasione, è stato necessario emendare l’articolo della Costituzione che fissava a 40 anni l’età minima del candidato alla presidenza per permettere al 34enne delfino di accedere alla carica suprema dello Stato. «Un gravissimo errore», dirà il vice-presidente Abdel-Halim Khaddam, che ha gestito la breve transizione.
La successione è comunque avvenuta senza grandi scossoni: l’ascesa al potere di Bashar è stata salutata da molti siriani che consideravano che la giovane età del nuovo rais e il suo trascorso londinese erano in grado di generare la speranza per importanti riforme.
Lo stesso Bashar si era adoperato a proporsi quale riformatore sia in campo sociale che economico. Le speranze in un cambiamento in senso democratico nel Paese sono state fiaccate quasi subito dallo stesso Bashar e la “vecchia guardia” del padre con la brusca interruzione della cosiddetta «Primavera di Damasco».
Lo scoppio della guerra civile nel 2011 ha poi spazzato via il resto, rimandando sine die ogni vera riforma.
Nel 2021 Bashar ottiene un quarto mandato, ma era già chiaro che il suo governo rimanesse in sella solo grazie agli alleati russi e iraniani, ad un’opposizione frammentata e al timore di salti nel buio.
Il salto nel buio è oggi una realtà.
3/ La Siria sta cadendo a pezzi. Quali sono i Paesi dietro il conflitto. Diversi osservatori sostengono che ormai il Paese di Assad debba fare i conti con la prospettiva di “balcanizzazione”, diviso sotto sfere di influenza straniere, di Nello Scavo
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Nello Scavo, pubblicato il 7/12/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezioni:
-Islam: la questione della libertà religiosa, dei diritti e della violenza
-La crisi dell'Islam odierno e la rivoluzione culturale invocata
-Paesi a maggioranza islamica.
Il Centro culturale Gli scritti (26/12/2024)
La Siria di Assad sta sparendo. Sotto i colpi della controffensiva che ha preso di sorpresa Russia e Iran, principali tutori politico- militari del regime di Damasco, i territori che gli “assadisti” avevano riconquistato in anni di guerra brutale, stanno passando di mano mentre le forze governative battono in ritirata.
I ribelli jihadisti filoturchi dopo aver conquistato Hama hanno abbattuto i simboli del regime, liberato i detenuti del carcere cittadino, tra cui numerosi oppositori del regime che finora teneva saldamente in mano la città, dove i miliziani hanno catturato una base di difesa aerea russa con il sistema missilistico S-75 Dvina. La prossima tappa è Homs, l’ultimo bastione prima di Damasco.
Migliaia di persone sono in fuga, dirette verso la costa occidentale. La Bbc ha parlato di decine di migliaia di civili le cui auto incolonnate bloccano l’uscita dal centro abitato. Almeno 370mila gli sfollati secondo le agenzie Onu. La conquista di Homs taglierebbe fuori la capitale siriana dalla costa, da sempre controllata dalla minoranza alauita di Assad, dove il regime e suoi alleati russi mantengono una strategica base navale. Di margini per trattare una resa, Assad non ne ha più molti.
«Dopo Idlib, Hama e Homs ovviamente l’obiettivo sarà Damasco. La marcia delle forze di opposizione continua. Ci auguriamo che questa avanzata in Siria continui senza incidenti o problemi», ha avvertito il presidente turco Erdogan che dice di avere «lanciato un appello ad Assad» per «determinare insieme il futuro della Siria, ma non abbiamo ricevuto una risposta positiva». Mosca ieri ha ordinato a tutti i suoi cittadini di lasciare la Siria con qualsiasi mezzo: non era mai accaduto in oltre un decennio di guerra siriana.
Negli ultimi 15 anni il sostegno russo per il clan Assad aveva garantito al Cremlino basi militari sul terreno e porti per la propria flotta militare sul Mediterraneo. Mosca accusa l’Ucraina di fornire armi ai ribelli siriani. Equipaggiamento che Kiev avrebbe ricevuto per combattere contro la Russia ma dirotterebbe, sempre in chiave anti-russa, verso la Siria.
Ieri fonti ufficiali ucraine hanno sostenuto che Mosca sta dimostrando di non essere in grado di tenere due fronti aperti, in Ucraina e Siria. E Putin potrebbe essere costretto a scegliere se abbandonare Assad. I curdi siriani sostenuti dagli Stati Uniti hanno preso il controllo della località orientale siriana di Deir ez-Zor, mentre la Giordania ha chiuso il suo unico valico di frontiera commerciale e passeggeri. Sul confine, infatti, sono avvenuti scontri tra ribelli e forze governative.
«A causa dei recenti sviluppi, sono aumentati i movimenti dei mercenari dello Stato Islamico nel deserto siriano, nel sud e nell’ovest di Deir ez-Zor e nella campagna di Raqqa», ha dichiarato Mazloum Abdi, capo delle milizie curdo-siriane spinte dagli Usa.
La nuova rivolta contro il regime sta contagiando anche aree lontane dagli attacchi dei ribelli. Come a Daraa, culla della fallita rivoluzione del 2011, dove vengono segnalati assalti contro i governativi. Gli spostamenti sul terreno suggeriscono una pianificazione sincronizzata tra le varie fazioni anti-Assad, supportate prevalentemente da Turchia e Usa.
Per Washington scalzare il regime siriano vuol dire anche colpire Putin e Teheran. Per Erdogan, allargare la sfera di influenza turca in tutto il Medio Oriente. Ieri le forze leali al presidente siriano si sono ritirate dalle linee lungo l’Eufrate, tradizionalmente tenute sotto controllo per favorire l’afflusso di rinforzi filoiraniani attraverso l’Iraq.
Diversi media internazionali sostengono che oramai la Siria di Assad debba fare i conti con la prospettiva di “balcanizzazione” del Paese, da tempo diviso sotto sfere di influenza straniere, ma che presto potrebbe fare i conti con una nuova suddivisione.
Teheran prova a salvare il salvabile. Da tempo gli ayatollah lavoravano a un piano per aprire un corridoio dall’Iran al Mediterraneo, dove già si trovano le basi dell’alleato russo. Nel disperato tentativo di salvare quantomeno Damasco, i pasdaran invieranno missili, droni e altri “consiglieri”, ha dichiarato un alto funzionario iraniano.
Notizie che vengono prese in esame dalle cancellerie internazionali che vedono nel conflitto in Siria il potenziale innesco per una crisi ampia e duratura, ma anche l’opportunità per ridisegnare quadranti che vanno dall’Ucraina al Medio Oriente. Come lasciando intendere fonti da Washington, assegnando a Joe BIden la compartecipazione al piano turco, forse uno degli ultimi colpi del presidente uscente, prima di lasciare a Trump un mondo che si sta ridisegnando.
4/ La Siria di al-Jolani alla prova dei fatti. Timori e proposte dei cristiani. «La Siria che ha in mente al-Jolani è quella governata dalla sharia, la legge islamica, o un Paese inclusivo, dove ciascuna componente etnica e religiosa ha piena cittadinanza?», di Giuseppe Caffulli
Riprendiamo dal sito Terrasanta.net (https://www.terrasanta.net/2024/12/la-siria-di-al-jolani-alla-prova-dei-fatti-timori-e-proposte-dei-cristiani/) un articolo di Giuseppe Caffulli, pubblicato il 18/12/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezioni:
-Islam: la questione della libertà religiosa, dei diritti e della violenza
-La crisi dell'Islam odierno e la rivoluzione culturale invocata
-Paesi a maggioranza islamica.
Il Centro culturale Gli scritti (26/12/2024)
I siriani scrutano l'orizzonte, guardinghi. Che volto avrà la Siria di domani? Che futuro immaginano i vincitori jihadisti? Due francescani registrano i primi segnali d'allarme per i cristiani, ma anche la loro volontà di contribuire alla costruzione della casa comune.
«Sarà un cammino lungo e gli interrogativi che ci poniamo sul futuro della Siria non saranno facili da sciogliere». Fra Firas Lutfi, frate minore della Custodia di Terra Santa, superiore del convento di Bab Touma a Damasco, sta vivendo come tutti i siriani con grande apprensione il momento storico seguito alla caduta di Bashar al-Assad, la fine di una lunga dittatura e la dolorosa scoperta (o presa di coscienza) delle atrocità che il regime ha compiuto soprattutto – ma non solo – dallo scoppio della guerra civile, nel 2011.
«Abbiamo vissuto le ore della liberazione come la fine di un incubo. Ma questa gioia, il giorno dopo, ha lasciato spazio alle domande: quella di al-Jolani che Siria sarà? Quale tipo di società ha in mente quello che è stato a tutto gli effetti un capo jihadista, sul quale pende ancora una taglia internazionale di 10 milioni di dollari? Adesso lo vediamo incontrare diplomatici e ambasciatori ed essere intervistato dalla Cnn. Ma la Siria che ha in mente è quella governata dalla sharia, la legge islamica, o un Paese inclusivo, dove ciascuna componente etnica e religiosa ha piena cittadinanza?».
Le preoccupazioni di fra Firas devono fare i conti con messaggi contraddittori. «Dicono a noi cristiani che non abbiamo nulla da temere. E che le minoranze saranno tutelate. Ma intanto al-Jolani ha sciolto il parlamento e ha chiamato a Damasco tutti i suoi compagni d’armi, tutti estremisti islamici provenienti dal Fronte al-Nusra. Le parole pronunciare finora sono state rassicuranti, ma intanto questa mattina (il 17 dicembre – ndr) le scuole e le università statali hanno riaperto e all’inizio delle lezioni è stata recitata per la prima volta la preghiera islamica. Una ragazza cristiana, mia parrocchiana, che studia medicina mi ha raccontato che pensa di non frequentare più… Sono girati sui telefonini dei messaggi, poi smentiti, che invitano i cristiani a non esporre segni del Natale esternamente alle case e alle Chiese. Non si parla di velo, ma di vestiti “decenti e non offensivi” per le donne. Ma chi stabilisce cosa è decente e cosa no?».
Insomma, il percorso che aspetta la nuova Siria, per fra Lutfi, è abbastanza accidentato. «Vorrei che si parlasse di costituzione, di diritti umani. Desidererei avere una presenza chiara della comunità internazionale, una supervisione su quello che i nuovi capi di Damasco dicono di voler fare. Sono del parere che le sanzioni e i blocchi patrimoniali alle persone considerate fino a ieri dei terroristi non vadano revocati, almeno fino a che non abbiano dimostrato con i fatti di volere una Siria laica, dove la legge è uguale per tutti e nessuno è discriminato per la sua appartenenza o la sua fede».
Da Aleppo giunge la testimonianza del confratello fra Bahjat Karakach, parroco della parrocchia latina di San Francesco: «La sensazione che abbiamo è di una provvisorietà mista ad attesa. Aspettiamo il prossimo primo marzo, data nella quale scade il mandato dell’attuale governo provvisorio, tinto di un solo colore, chiaramente islamista, per formare un governo di transizione che avrà il compito di portare la Siria alle elezioni dopo la stesura di una nuova costituzione. In vista di questo evento, anche noi cristiani ci siamo mossi con incontri di studio e proposte che saranno presentate ai tre patriarchi presenti a Damasco (greco melchita, greco ortodosso e siriaco ortodosso) che avranno poi il compito di stilare un testo da presentare alla commissione costituzionale. I punti salienti delle proposte sono: uno Stato democratico e civile, in cui tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti e doveri. Siamo coscienti che non sarà facile trovare una formula che soddisfi tutti, visto che la Siria è un Paese molto variegato, ed il rischio di un governo islamista rimane reale». Sarebbe, conclude il religioso, un’altra sciagura, «il rischio di una nuova dittatura oppure di una forte instabilità del Paese. Ovviamente non ci arrendiamo e contiamo sui moltissimi siriani illuminati che vogliono uno Stato laico e democratico, sperando che la comunità internazionale aiuti queste correnti ad avere una voce in capitolo».
Intanto si moltiplicano i segnali di islamizzazione, che preoccupano fortemente i cristiani. Preghiere islamiche nelle aule universitarie e nei luoghi di lavoro pubblici. Miliziani che ai posti di blocco che controllano gli accessi alle città che chiedono espressamente alle donne cristiane di mettere il velo… Le fazioni islamiste più radicali chiedono la separazione tra uomini e donne negli spazi pubblici. «Viceversa – conclude fra Bahjiat – non mancano gesti di speranza come, ad esempio, quello di un gruppo di giovani musulmani che ha distribuito fiori davanti alle chiese, con un biglietto sul quale è scritto: “Insieme possiamo ricostruire il nostro Paese”».