Sant’Anna a Roma tra l’antichità cristiana e Raffaello, di Rocco Ronzani

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /12 /2024 - 22:24 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Rocco Ronzani, tratto da L’Osservatore Romano” del 25/7/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (2/12/2024)

Una delle più note immagini romane di sant’Anna è conservata nella basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio. Si tratta del gruppo scultoreo di Andrea Sansovino che rappresenta Anna, la Vergine Maria e il piccolo Gesù.

La santa “nonna” poggia il suo piede su un codice della Scrittura a rappresentare il compimento delle profezie in essa racchiuse e l’attesa del Messia salvatore da parte del popolo di Dio. Tali profezie sono richiamate dalla maestosa figura di Isaia, affrescato nel 1512 da Raffaello, posto sopra la nicchia che custodisce la scultura. Il profeta, sovrastato da una tabula dedicatoria in greco, reca in mano un rotolo sul quale si leggono in ebraico alcune parole del testo biblico «Aprite le porte ed entri il popolo giusto che si mantiene fedele» (Is 26, 2), chiaro riferimento all’ingresso nell’eredità di Israele di tutte le genti chiamate per grazia all’unità in Cristo.

Nell’intenzione del colto committente dell’opera, il protonotario apostolico Giovanni Coricio (Johann Goritz), l’affresco del grande maestro del Rinascimento e il gruppo scultoreo costituivano la decorazione unitaria di un altare, smembrato nel tempo e oggi parzialmente ricostruito, dedicato alla venerata protettrice sant’Anna. Al progetto iconografico di questo straordinario monumento non sarebbe estraneo l’umanista agostiniano Egidio da Viterbo, per altro ispiratore di Michelangelo e ancora di Raffaello nelle Logge vaticane, celebrato da Pontano come il più grande ecclesiastico umanista del suo tempo: eloquentium religiosissimus, religiosorum eloquentissimus.

Ogni anno, il 26 luglio, memoria liturgica di sant’Anna, sull’altare del Coricio veniva celebrata una messa e gli umanisti amici del fondatore si riunivano per venerare la santa e per affiggere in suo onore i loro componimenti poetici, conservatici dal codice Vaticano latino 2754 e pubblicati nel 1524 con nome di Coryciana, a cura di Blosio Palladio. La latinizzazione del cognome di Giovanni richiama il Corycium antrum, la grotta del monte Parnaso che Pausania aveva indicato quale fonte dell’ispirazione poetica. Il Goritz era originario della diocesi di Treviri e a Roma mise le sue competenze giuridiche e la sua raffinata cultura umanistica a servizio di ben sei Pontefici. C’è chi lo identifica con il personaggio vestito di nero che cammina a fianco della sedia gestatoria papale nella Cacciata di Eliodoro dal tempio di Raffaello nelle Stanze vaticane.

In questa sede, oltre ad evocare una delle più belle stagioni delle arti e della cultura, dell’Urbe e della Curia romana, Coricio ci ricorda anche che il culto verso sant’Anna, nei secoli medievali, si diffuse in Europa particolarmente al di là delle Alpi e fu proprio un umanista tedesco, Johannes Trithemius, a promuoverne la diffusione con il suo Tractatus de laudibus sanctissimae Annae, edito per la prima volta a Magonza nel 1494. Non poteva che essere un colto ultramontano a dedicare a sant’Anna il più celebre altare eretto in suo onore nell’Urbe. Tuttavia, le testimonianze di una discreta presenza romana della madre della Vergine Maria sono molto più antiche del circolo umanistico di Coricio: sant’Anna è presente nel ciclo musivo della basilica liberiana di Santa Maria Maggiore del V secolo e tra gli affreschi altomedievali della chiesa di Santa Maria Antiqua nel Foro Romano. Tra il VI e l’VIII secolo, infatti, il culto a sant’Anna aveva iniziato a diffondersi ampiamente, prima a Costantinopoli, dove Giustiniano i edificò una chiesa in suo onore, e poi in tutto l’Oriente. In Occidente arrivò più tardi, soprattutto nelle aree ancora collegate al cristianesimo romano orientale. Negli stessi secoli, gli scrittori della tarda età patristica iniziano a valorizzare le figure di Anna e del marito Gioacchino: tra i tanti ricordiamo Giovanni Damasceno († 750): la Liturgia delle Ore secondo il rito romano propone ancora oggi un suo discorso come lettura nell’Ufficio della memoria del 26 luglio.

La fioritura e il radicamento del culto di sant’Anna si ebbe però più tardi, a partire dal XV in area nordeuropea e poi anche altrove, così che nel volgere di un secolo i Pontefici stabilirono di accoglierne la memoria nel Messale romano (1584). Il ricordo di Gioacchino iniziò a farsi timidamente strada nel XVI secolo e, dopo essere stata traslata più volte da una data all’altra del calendario, la sua memoria venne fissata al 26 luglio, congiunta giustamente a quella della santa consorte.

Tra le numerose associazioni, arti e mestieri che venerano Anna come patrona vanno ricordati doverosamente i palafrenieri pontifici che, riuniti in una confraternita, ebbero la loro sede nell’attuale Pontificia parrocchia di Sant’Anna in Vaticano.

Non trovandosi alcun cenno alla figura di Anna nelle Scritture canoniche, tutte le testimonianze iconografiche, fin dalle più antiche, riposano sui racconti del Protovangelo di Giacomo (composto nella seconda metà del ii secolo, forse in Egitto) e delle elaborazioni agiografiche successive. Il Protovangelo di Giacomo appartiene a quella famiglia di testi apocrifi nati per offrire più ampia informazione sulla vita di Gesù e sulla sua famiglia. Il testo ha goduto tanto favore nella religiosità popolare da influenzare in modo duraturo l’arte cristiana.

Stando al devoto racconto, Anna — che significa “grazia” — era di stirpe sacerdotale, figlia del levita betlemita Mathan; aveva due sorelle, Maria e Sobe, che furono rispettivamente madri di Maria Salome e di Elisabetta, la madre del Battista. Sposa di Gioacchino, Anna ebbe il dono della maternità soltanto in età avanzata; partorì una bambina che rallegrò tutta la casa del vecchio marito, i sacerdoti e il popolo. Alla piccola fu imposto il nome di Maria e fu consacrata al Signore che aveva concesso a Gioacchino una posterità inaspettata. Dall’età di tre anni visse nel Tempio di Gerusalemme e, compiuti i dodici, ormai orfana dei due anziani genitori, fu data in sposa a Giuseppe, anche lui carico di anni e di figli, prescelto in modo prodigioso da Dio per essere «custode della vergine del Signore». Rimasta incinta, Giuseppe non la ripudiò, intuendo che il frutto del grembo di Maria era un’opera straordinaria di Dio e ne ricevette conferma nel sogno da un angelo.

In un discorso sulla natività di Maria (Disc. 6), alla quale è intimamente legato il senso del culto dei santi genitori della Madre di Dio, il Damasceno, richiama l’attenzione sulla missione di Anna e Gioacchino con parole di profonda teologia e calda devozione: «La natura — egli afferma — non osò precedere il germe della grazia; ma rimase senza il proprio frutto perché la grazia producesse il suo». La sterilità di Anna si volge in fecondità perché, senza attribuire nulla all’uomo, si è aperta umilmente all’azione di Dio che benedice sempre al di là di ogni aspettativa: Anna ebbe l’onore di partorire la «figlia di Adamo e Madre di Dio», «la primogenita dalla quale sarebbe nato il primogenito di ogni creatura». In questo giorno dedicato ai genitori della Madre di Dio, possiamo unirci ai sentimenti espressi dal Damasceno e ripetere con lui: «O felice coppia, Gioacchino e Anna. A voi è debitrice ogni creatura, perché per voi la creatura ha offerto al creatore il dono più gradito, ossia quella casta madre, che sola era degna del creatore. Rallegrati Anna “sterile perché hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia tu che non hai provato dolori” (Is 54, 1). Esulta, o Gioacchino, poiché da tua figlia è nato per noi un bimbo, ci è stato dato un figlio, e il suo nome sarà Angelo del grande consiglio, di salvezza per tutto il mondo, Dio forte. Questo bambino è Dio».