Rancore, voce dotta recuperata dal latino rancor propriamente ‘rancidezza’, da rancère ‘essere rancido’ (dal sito Una parola al giorno)
Riprendiamo sul nostro sito un articolo senza indicazione di autore scritto per il sito Una parola al giorno (https://unaparolaalgiorno.it/significato/rancore) il 7/8/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Vita.
Il Centro culturale Gli scritti (9/9/2024)
Rancore
ran-có-re
SIGNIFICATO Malanimo, risentimento conservato nel tempo e di nascosto
ETIMOLOGIA voce dotta recuperata dal latino rancor propriamente ‘rancidezza’, da rancère ‘essere rancido’.
«Non chiedere aiuto a lei. È consumata dal rancore.»
Non di rado c'è da essere scettici riguardo a ciò che un'etimologia ci può dire sui significati attuali di una parola. Il paradigma in cui è nata può essere radicalmente differente da quello in cui la usiamo noi, e la rilettura attraverso i secoli può essere profondissima — l’etimologia ci aiuta a fare altro. Ma per quanto riguarda i nomi di sentimenti ed emozioni spesso troviamo degli spunti che hanno un odore di eternità.
Sono vistosi gli spunti che nascosti in questi nomi si riferiscono a mutamenti che il nostro corpo subisce nel momento in cui quelle emozioni o quei sentimenti emergono (pensiamo a quanto siano fisici i nomi della paura — tremarella, ansia, sgomento, terrore o proprio paura che siano (nell’ordine, un tremare, una stretta al respiro, un restar senza parole, visi che si fanno terrei o pallidi). E anche se parliamo di sentimenti negativi questi sono sempre letti con un’equanimità che sa di poesia lucida.
Perciò è tanto più stupefacente incappare in un nome di un sentimento che è negativo non nel senso che è spiacevole, acre, ma proprio perché è definito in una maniera che ce lo presenta come un sentimento schifoso.
Dopotutto anche i sentimenti peggiori hanno avuto asilo, se non un podio, nei nostri sistemi etici: anche l'odio e la vendetta possono essere considerati con dei profili di giustizia, o addirittura come imperativi morali. Invece il rancore no.
Sembra proprio che non si tratti di un sentimento, ma di gromma, di tartaro, di feccia che resta incrostata al cuore. E che si nota, perché... sa di rancido.
Il latino rancère è padre tanto del fetido e putrescente rancidus, da cui il nostro rancido, quanto del rancor, rancidezza e poi rancore. Insomma, il rancore sui suoi documenti porta scritto «qualità dell'essere rancido» e cioè è andato a male. E sulla faccia di chi prova rancore c’è dipinta repulsione.
Il rancore è l'avanzo imputridito di altri sentimenti, trascinato nel tempo e tinto di disgusto: da un lato ha perso tutto il tono speziato, anche acre e piccante, che quel sentimento poteva avere inizialmente, e dall’altro ha perso tutta la carica vitalistica che i sentimenti sanno avere.
Risentimento più che sentimento, è tenuto nascosto, conservato con compunzione, e marcisce come residuo sulla parete di un barattolo in fondo al frigo, potente nel contaminare e nell’intossicare.
Poteva essere paura — che nell’astio del ricordo senza perdono si volge in rancore. Poteva essere rabbia, che diventa rancore quando perde slancio e senza sperare rivalse acquista disgusto. Poteva essere invidia, che non ha più presente ciò che invidiava e si gira in schifo. Poteva essere delusione, sul cui campo brullo non cresce più altro che avversione.
La saggezza di ‘rancore’ è folgorante — e a dirla tutta anche un po’ invadente. Abbiamo una parola che ci porta a domandarci: ma questa cosa che sento è un sentimento o è un rimasuglio irrancidito? È un sentimento aspro e spiacevole o è un maramaldo che mi porto incrostato in cuore?