Voci diverse sulla crisi in Medio oriente e su Israele e Palestina, Hamas, Hezbollah e Iran 1/ Fra Francesco Patton, Custode francescano di Terra Santa: attesa ‘surreale’ dell’attacco iraniano. Cristiani lottano per sopravvivere, di Dario Salvi 2/ Richiesta da S.B. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, per la Festa dell'Assunzione 2024. «Dopo avere speso tante parole e dopo avere fatto il possibile per aiutare ed essere vicini a tutti, in particolare a quanti sono colpiti più duramente, non ci resta che pregare. Di fronte alle tante parole di odio, che vengono pronunciate troppo spesso, noi vogliamo portare la nostra preghiera, fatta di parole di riconciliazione e di pace» 3/ Guerra a Gaza (e tensioni Hezbollah-Israele) nuovi ostacoli all’elezione presidenziale, di Fady Noun 4/ Demografia, crisi interna e guerra a Gaza: il Libano a rischio auto-distruzione, di Fady Noun

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /08 /2024 - 22:44 pm | Permalink | Homepage
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1/ Fra Francesco Patton, Custode francescano di Terra Santa: attesa ‘surreale’ dell’attacco iraniano. Cristiani lottano per sopravvivere, di Dario Salvi

Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Asia News un’intervista di Dario Salvi a Fra Francesco Patton, Custode francescano di Terra Santa, pubblicato il 6/8/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Medio Oriente e paesi a maggioranza islamica e Ebraismo.

Il Centro culturale Gli scritti (11/8/2024) 

Milano (AsiaNews) - Una situazione di “calma surreale” unita a un clima di “sospensione”, in cui si ha la percezione che “qualcosa incombe” ma nessuno può dire “quando, né come o dove”. Così il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, descrive in questa intervista ad AsiaNews la realtà oggi in una regione in cui soffiano sempre più minacciosi i venti di guerra. Un quadro che ricorda gli anni della guerra nel Golfo quando dall’Iraq vi era la prospettiva di bombardamenti con armi chimiche. A 10 mesi dall’inizio della guerra di Israele a Gaza, in risposta all’attacco di Hamas, il clima è sempre più polarizzato e la società civile israeliana, che pure è presente, non riesce a trovare una dimensione politica in grado di contrastare una destra religiosa e nazionalista, fondata su uno Stato “giudaico” che legittima l’uso della fame [parole di ieri del ministro Smotrich] come arma di guerra verso i palestinesi. In questo quadro la comunità cristiana lotta per la sopravvivenza, partendo da questioni fondamentali come la difesa di terre e proprietà che in Occidente, spiega il Custode, sono considerate “scaramucce di tipo economico”. “In Medio oriente, in Terra Santa - afferma - chi non ha proprietà, siano esse terre o case, non sopravvive […] sono in realtà battaglie per la sopravvivenza”.

Di seguito, l’intervista del Custode ad AsiaNews: 

Qual è la situazione attuale in Terra Santa, sempre più teatro di guerra e violenze?
Al momento mi trovo in uno dei territori della Terra Santa, a Rodi, in attesa fra qualche giorno di poter rientrare a Gerusalemme nonostante la cancellazione di molti voli. Da quello che mi raccontano il vicario e confratelli la situazione è di calma surreale. Tutti aspettano con timore da un lato, e speranza dall’altro, che la tempesta passi in fretta e faccia pochi danni, anche se la gente resta chiusa in casa e si ha una percezione di sospensione, qualcosa incombe però non si sa quando, non si sa come né dove. 

Un clima diverso da quello che ha preceduto l’attacco iraniano dello scorso aprile?
Sì, vi è la sensazione che sia un qualcosa di diverso ma nessuno sa quanto. Ad esempio, non si sa se l’attacco sarà più o meno intenso, una condizione diversa da quella del 13 aprile [N.B. de Gli scritti In quella notte ci fu il lancio di circa 100 fra droni e missili da parte dell’Iran contro Israele come “rappresaglia” per un attacco di Israele al consolato iraniano di Damasco]. Da quello che mi raccontano i frati più anziani, in Terra Santa dagli anni ‘90, per inquadrare la realtà attuale bisogna tornare ai tempi della guerra del Golfo quando vi era la minaccia che dall’Iraq arrivassero i bombardamenti con armi chimiche: i confratelli dovevano radunarsi nel refettorio, sigillare le finestre, avere le maschere sempre pronte, una situazione ancora più paradossale di quella di oggi. 

La guerra a Gaza è giunta ormai al decimo mese: le possibilità di pace, o di tregua, sono sempre più lontane?
Direi di sì! Riprendendo le opinioni di persone più autorevoli come [il presidente Usa Joe] Biden non vedo una volontà né di tregua, né di pace, né di reale salvataggio degli ostaggi. In questi 10 mesi non le ho viste nell’azione militare e l’impressione è che nessuno dei due contenenti abbia voglia di tregua. E a non volerla di più, in questo momento, è chi governa [in Israele]. 

In quest’ottica fanno impressione le parole di ieri del ministro delle Finanze israeliano Smotrich che giustifica l’uso della fame per due milioni di palestinesi a Gaza come arma di guerra…
Queste parole danno la misura di quella che è la visione politica dell’estrema destra religiosa e nazionalista israeliana. A questo si unisce lo stallo legato alle prossime elezioni negli Stati Uniti, che potrebbe però rivelare delle sorprese sia nel caso di vittoria di Donald Trump che con l’affermazione di Kamala Harris, perché non credo che nessuno dei due accondiscenderebbe a proseguire come si è andati avanti sinora sul terreno

L’attuale composizione del governo israeliano, il suo orientamento verso la destra estrema è anche specchio della società o non la rappresenta?
Dal mio punto di vista la società è spaccata circa in due metà: i governi destra sono stati tutti in piedi per un paio di voti, non sono maggioranze che hanno stravinto le elezioni [in un sistema mono-camerale con proporzionale puro]. Negli ultimi anni si è registrato uno spostamento a destra, ma non è una destra politica semplicemente, quanto piuttosto politico-religiosa in cui è cresciuto il peso di formazioni che hanno come ideologia di base un mix di nazionalismo e di messianismo, di fondamentalismo religioso. Una deriva incoraggiata dal 2018 con l’approvazione di una “Basic Law”, una legge fondamentale dello Stato, secondo cui Israele è un “Jewish State”, ovvero uno Stato non ebraico ma giudaico, con una connotazione non semplicemente etnica, ma etnico-religiosa. Questo ha favorito l’ingresso nel governo di persone come [Itamar] Ben-Gvir e [Bezalel] Smotrich con una accelerazione ulteriore della colonizzazione, con le provocazioni della destra religiosa a spostare lo status quo alla Spianata delle moschee e un indebolimento progressivo dell’Autorità palestinese e l’aumento, per reazione, del peso di Hamas. Una polarizzazione da entrambi i fronti

Una radicalizzazione che ha determinato attacchi crescenti in Cisgiordania, un aumento delle colonie e violenze contro gli stessi cristiani…
Sono forme cresciute negli ultimi anni, proporzionalmente all’aumento del fondamentalismo religioso e nazionalista nella società ebraica. Bisogna però dire che è anche cresciuta la reazione a tutto questo nella società israeliana, perché da due anni tutti i sabati vi sono manifestazioni prima contro la sottomissione della Corte suprema e del potere giudiziario all’esecutivo, poi per la liberazione degli ostaggi. La società civile israeliana, che al 50% è laica, non è passiva o dormiente, ma non riesce a ottenere quel tipo di cambio che vorrebbe e tradursi in forza politica. 

Quanto preoccupa il fronte nord, con un allargamento della “guerra totale” anche al Libano?
È un elemento che è sin dall’inizio fonte di preoccupazione. Sin dal 7 ottobre si è detto che se non si chiudeva in tempi brevi il rischio era quello di un allargamento progressivo e il primo elemento è proprio il fronte nord. Tuttavia, in Libano la maggior parte della gente non vuole la guerra, non è sulle posizioni di Hezbollah, e suppongo che nemmeno la maggior parte di quelli che fanno riferimento al mondo sciita la vogliano. Solo una parte preme per il conflitto o la provocazione. 

In un Medio oriente in fiamme, che valore hanno le parole di papa Francesco che insistono sul dialogo, la pace? Domenica all’Angelus è tornato a parlarne con frasi dure, e chiare
Certo, le parole del papa sono molto chiare ma purtroppo inascoltate e, a volte, persino irrise come se fosse un personaggio pio costretto a dire quelle cose. In realtà è l’esatto opposto, è il sapere a cosa conduce la guerra che determina queste affermazioni. Negli ultimi anni più ci si è allontanati dalla fine della Seconda guerra mondiale più ci si è dimenticati di cosa hanno voluto dire i conflitti globali, si è assistito alla perdita della memoria dell’orrore, anche fra le stesse leadership che pensano la guerra possa essere una soluzione. Quando ero bambino si leggevano, fra gli altri, due libri in particolare: il “Diario di Anna Frank”, per ricordare l’olocausto e la Shoah, e “Il gran sole di Hiroshima”, racconto dell’olocausto nucleare [oggi cade il 79mo anniversario della bomba atomica, ndr], ha portato nei decenni successivi a scelte dal punto di vista economico basate sull’uso del nucleare. L’uomo è un animale dalla memoria corta. 

Come sta la comunità cristiana? Non solo a Gaza, ma in tutta la Terra Santa con i problemi irrisolti, non ultimo quello delle proprietà ecclesiastiche e dell’annosa questione delle tasse con la municipalità di Gerusalemme. 
Questo è un punto fondamentale: in Medio oriente, in Terra Santa chi non ha proprietà, siano esse terre o case, non sopravvive. Quelle che in Europa sono viste come scaramucce di tipo economico, sono in realtà battaglie per la sopravvivenza. Una comunità cristiana o delle Chiese che non abbiano delle proprietà, significa che non sono in grado di tutelare la propria comunità e membri. Questa è la differenza fra Medio oriente ed Europa: in Europa la Chiesa meno proprietà possiede, più è libera; diverso in Medio oriente, dove è l’opposto, perché senza proprietà i cristiani devono emigrare per trovare un posto dove vivere. Questo non viene capito in Occidente, che applica le proprie categorie al resto del mondo pur rappresentando ormai meno del 10% della popolazione
La comunità cristiana è molto in sofferenza in tutti i territori: a Gaza tutti aspettano che finisca la guerra per vedere chi è rimasto vivo. In Cisgiordania, a Betlemme sono 10 mesi che non lavorano perché l’economia è basata sui pellegrinaggi. Anche le scuole sono in una situazione di criticità, da Gerico a Betlemme e Gerusalemme, perché le famiglie non sono più in grado di dare un contributo e vi è un impoverimento generale che le porta a essere umiliate. Da qui la forte tentazione di emigrare, anche fra gli stessi cristiani di Galilea che sono i più benestanti, a Cipro o in Grecia

Quali sono gli elementi di “speranza cristiana” in un quadro dalle tinte fosche?
Per il cristianesimo fino a che restano 12 persone vi è sempre la possibilità di ricominciare. Ma la speranza ha un valore solo se le diamo una dimensione teologica, che deriva dal fidarsi di Cristo morto e risorto. Serve una fede grande per restare dentro a situazioni che hanno l’aspetto solo del Venerdì Santo, per credere che verrà la domenica della resurrezione. 

Un appello finale… 
Che il mondo, che l’Europa non dimentichino il Medio oriente sia in termini spirituali, ricordandolo nella preghiera, quanto nel concreto perché si faccia tutto il possibile a partire dal coinvolgimento della politica e della diplomazia per far cessare la guerra. Serve una soluzione politica e diplomatica e che il mondo dell’economia dia poi un domani il suo contributo per la ricostruzione, per ripartire. 

2/ Richiesta da S.B. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, per la Festa dell'Assunzione 2024. «Dopo avere speso tante parole e dopo avere fatto il possibile per aiutare ed essere vicini a tutti, in particolare a quanti sono colpiti più duramente, non ci resta che pregare. Di fronte alle tante parole di odio, che vengono pronunciate troppo spesso, noi vogliamo portare la nostra preghiera, fatta di parole di riconciliazione e di pace».

Riprendiamo dal sito del Patriarcato Latino di Gerusalemme un messaggio di S.B. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, per la Festa dell'Assunzione 2024, pubblicato il 10/8/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Medio Oriente e paesi a maggioranza islamica e Ebraismo.

Il Centro culturale Gli scritti (11/8/2024) 

N.B. de Gli scritti
Non si pensi che le religioni siano estranee dai sentimenti di odio e di violenza e che il vento della guerra spiri solo nelle anima laiche e politicamente desiderose di potere. Possa il cielo spingere religiosi di tutte le parti a pronunciare, secondo la loro tradizione, parole come quelle del Patriarca dei Cattolici Latini di Gerusalemme, invocando la cessazione dei sentimenti di ostilità, come via per reali possibilità di pace.

Carissimi fratelli e sorelle,

il Signore vi dia pace!

Sono passati già molti mesi dall’inizio di questa terribile guerra. Non solo la sofferenza causata da questo conflitto e lo sgomento per quanto sta avvenendo sono ancora integri, ma sembrano anzi essere continuamente alimentati da odio, rancore e disprezzo che non fanno che aumentare la violenza e allontanare la possibilità di individuare soluzioni.

È sempre più difficile, infatti, immaginare una conclusione di questo conflitto, il cui impatto sulla vita delle nostre popolazioni è il più alto e doloroso di sempre. È sempre più difficile trovare persone e istituzioni con le quali sia possibile dialogare di futuro e di relazioni serene. Sembriamo tutti schiacciati da questo presente impastato da così tanta violenza e, certo, anche da rabbia.

Questi giorni, comunque, sembrerebbero essere importanti per riuscire a dare una svolta al conflitto e fra questi in particolare il 15 agosto, che per noi è il giorno della solennità dell’Assunzione di Maria Vergine in cielo.

In quel giorno, dunque, prima o dopo la celebrazione dell’Eucarestia, o in un momento che si terrà opportuno, invito tutti, ad un momento di preghiera di intercessione per la pace alla Vergine Santissima Assunta in cielo. Desidero che parrocchie, comunità religiose contemplative ed apostoliche, e anche i pochi pellegrini presenti tra noi, si uniscano nel comune desiderio di pace che affidiamo alla Vergine santissima.

Dopo avere speso tante parole, infatti, e dopo avere fatto il possibile per aiutare ed essere vicini a tutti, in particolare a quanti sono colpiti più duramente, non ci resta che pregare. Di fronte alle tante parole di odio, che vengono pronunciate troppo spesso, noi vogliamo portare la nostra preghiera, fatta di parole di riconciliazione e di pace.

Allegata alla presente vi allego una preghiera alla Vergine Assunta, che vi invito ad usare nel giorno di questa solennità.

Preghiamo perché, in questa lunghissima notte che stiamo vivendo, l’intercessione di Maria Santissima apra per tutti noi e per il mondo intero uno squarcio di luce.

Con l’augurio di ogni bene

+Pierbattista Card. Pizzaballa

Patriarca di Gerusalemme dei Latini

Supplica per la pace alla B.V. Maria Assunta al Cielo

Gloriosa Madre di Dio,
innalzata al di sopra dei cori degli angeli,
prega per noi con san Michele arcangelo
e con tutte le potenze angeliche dei cieli
e con tutti i santi,
presso il tuo santissimo
diletto Figlio, Signore e maestro.

Ottieni per questa Terra Santa,
per tutti i suoi figli
e per l’umanità intera
il dono della riconciliazione e della pace.

Che si compia la tua profezia:
i superbi siano dispersi
nei pensieri del loro cuore;
i potenti siano rovesciati dai troni,
e finalmente innalzati gli umili;
siano ricolmati di beni gli affamati,
i pacifici siano riconosciuti come figli di Dio
e i miti possano ricevere in dono la terra
.

Ce lo conceda Gesù Cristo, tuo Figlio,
che oggi ti ha esaltata
al di sopra dei cori degli angeli,
ti ha incoronata con il diadema del regno,
e ti ha posta sul trono dell'eterno splendore.

A lui sia onore e gloria per i secoli eterni. Amen

3/ Guerra a Gaza (e tensioni Hezbollah-Israele) nuovi ostacoli all’elezione presidenziale, di Fady Noun

Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Asia News un articolo di Fady Noun, pubblicato il 22/2/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Medio Oriente e paesi a maggioranza islamica e Ebraismo. Cfr. in particolare, sugli ostacoli creati da Hezbollah e da diversi poteri libanesi, alle indagini sulla terribile esplosione del porto di Beirut: 1/ «Nel governo tutti dovranno rispondere dell’apocalisse di Beirut». Un’intervista a Camille Eid di Caterina Giojelli 2/ Almeno tre miliardi di dollari di danni L’Araba Fenice colpita al cuore E il conto della ricostruzione già pesa sul fragile equilibrio, di Camille Eid.

Il Centro culturale Gli scritti (11/8/2024) 

Beirut (AsiaNews) - Gli ostacoli che impediscono l’elezione di un nuovo presidente della Repubblica, carica vacante ormai dal 31 ottobre 2022, si sommano oggi a un ulteriore elemento esterno: il proseguimento dei combattimenti fra Hamas e Israele a Gaza e “la guerra di sostegno” ad Hamas che Hezbollah ha lanciato contro lo Stato ebraico. 

La stragrande maggioranza dei libanesi è ormai presa in ostaggio da questo conflitto. Fedeli alla strategia iraniana della “unità dei fronti”, gli Hezbollah hanno sferrato nei confronti di Israele una cosiddetta “guerra di disturbo” di bassa intensità, in principio per alleggerire la pressione sull’enclave di Gaza. Questo diversivo “non ha portato a nulla” spiega l’esperto militare gen. Khalil Hélou. Tuttavia, prosegue, Hezbollah fa orecchie da mercante e si dice contrario a ogni forma di accordo alla frontiera, in particolare per quanto concerne l’applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza - verso il quale, peraltro, non dice di essere ostile - prima di ottenere un accordo definito per un cessate il fuoco nella Striscia. 

Due deputati rappresentativi della fazione cristiana, Gebran Bassil capo del Movimento patriottico libero (Cpl) e Samy Gemayel, leader del partito Kataëb, hanno ribadito nei giorni scorsi la loro ostilità alla guerra che vede coinvolta Hezbollah nel sud del Libano. E che ha causato nell’area diverse vittime inutili, distrutto gli alberi di ulivo, reso sterili per l’ampio ricorso delle bombe al fosforo vaste aree agricole e trasformato in ruderi e rovine interi villaggi di frontiera. In un’omelia della messa domenicale, celebrata due settimane fa, il capo della Chiesa maronita, il patriarca Beshara Raï, aveva da parte sua denunciato “la cultura della morte” e le “vittorie illusorie” che accompagnano questo conflitto.

Finora i combattimenti hanno causato almeno 262 morti, fra i quali vi sono 38 civili e 187 combattenti di Hezbollah, oltre ad aver provocato lo sfollamento di oltre 80mila persone

In realtà, il fatto che l’Iran e gli Stati Uniti abbiano fatto capire ai belligeranti che non vogliono una guerra di vasta scala ha fatto emergere il carattere ormai “forzato” di questo conflitto, e ha permesso allo Stato ebraico di sfruttare usandolo a proprio vantaggio questo nuovo orientamento. Ed è anche per questo che, il 20 febbraio scorso, si è potuto avventurare a bombardare la zona industriale di Ghaziyeh, a 40 km dai confini, con il pretesto infondato di voler prendere di mira alcuni “depositi di armi di Hezbollah”.

“L’obiettivo di questo tipo di attacco” analizza Michael Young, esperto del centro Carnegie pour le Proche-Orient, “è cercare di avere un impatto sulla popolazione, che Israele sta cercando di aizzare contro Hezbollah”. L’invito iraniano a ridurre l’intensità del conflitto spiega anche la moderazione dimostrata da Hezbollah, che si è astenuto dal rivendicare la responsabilità del raid alla base militare israeliana di Safed, a 15 km dal confine libanese, che ha causato la morte di un soldato israeliano e il ferimento di molti altri. L’operazione è stata peraltro usata dallo Stato ebraico come pretesto per un bombardamento di rappresaglia, che ha decimato una famiglia di 11 persone, tra cui diversi bambini, nella città di Nabatiyeh, che ospita una grande scuola di suore Antoniane.

In ogni caso, fonti diplomatiche occidentali interpellate da AsiaNews ritengono che l’unica soluzione valida e praticabile al confine con Israele sia “l’applicazione della 1701”, che prevede il dispiegamento dell’esercito libanese e delle forze Unifil a sud del fiume Litani. “La chiave - prosegue la fonte - della tragedia libanese esiste, si chiama Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, ma nessuno vuole usarla”.

Veti interni

Sul fronte dei veti interni contrapposti che hanno congelato di fatto la partita dell’elezione presidenziale, col blocco ulteriore rappresentato dalla guerra a Gaza che sembra essere legata a doppio filo al voto, continuano gli sforzi nel tentativo di giungere a un compromesso. Gli ambasciatori del “Gruppo dei Cinque” (Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita, Egitto e Qatar) hanno tenuto una riunione di coordinamento presso la Résidence des Pins nel pomeriggio del 20 febbraio scorso. “Hanno fatto il punto sugli ultimi sviluppi e discusso i prossimi passi da compiere” si legge in una nota stampa dell’ambasciata.

A questo proposito, gli analisti politici trovano difficile immaginare che Hezbollah non voglia raccogliere i frutti del suo impegno militare, anche se il movimento sciita filo-Teheran sostiene il contrario a parole. Da parte loro, i partiti cristiani ritengono che lo stesso Hezbollah non debba essere premiato per il suo “avventurismo”. Tuttavia, “le contrastanti polarizzazioni geopolitiche dei partiti libanesi, che continuano a rallentare il processo, non dovrebbero impedire alle principali parti interessate di consultarsi” sottolinea la fonte di AsiaNews, che chiede l’anonimato per questioni di sicurezza. “Ed e nell'interesse di tutti i libanesi e dell’economia del Paese - conclude - che le istituzioni riprendano il loro posto nella vita nazionale”.

4/ Demografia, crisi interna e guerra a Gaza: il Libano a rischio auto-distruzione, di Fady Noun

Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Asia News un articolo di Fady Noun, pubblicato il 16/01/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Medio Oriente e paesi a maggioranza islamica e Ebraismo. Cfr. in particolare, sugli ostacoli creati da Hezbollah e da diversi poteri libanesi, alle indagini sulla terribile esplosione del porto di Beirut: 1/ «Nel governo tutti dovranno rispondere dell’apocalisse di Beirut». Un’intervista a Camille Eid di Caterina Giojelli 2/ Almeno tre miliardi di dollari di danni L’Araba Fenice colpita al cuore E il conto della ricostruzione già pesa sul fragile equilibrio, di Camille Eid.

Il Centro culturale Gli scritti (11/8/2024) 

Beirut (AsiaNews) – Privo di un capo dello Stato da ben 14 mesi, schiacciato sotto il peso demografico dei rifugiati siriani e da un conflitto al confine meridionale con Israele, il Libano è in procinto di auto-distruggersi? Entro il 2038, i libanesi rappresenteranno solo il 52% della popolazione, secondo un recente studio sulla situazione demografica del Paese dei cedri e sulla sua probabile evoluzione pubblicato su L’Orient-Le Jour l’11 gennaio scorso. Redatto dall’ex ministro del Lavoro Charbel Nahas il documento evidenzia la “volontà di ignoranza” di uno Stato che, privo della chiave di volta (la presidenza) – alla scadenza del mandato di Michel Aoun il 31 ottobre 2022 – si è frammentato in diversi centri decisionali. Una frammentazione di poteri e strutture che, a fatica, cercano di gestire il Paese cercando di mantenere una legalità di facciata.

Primavera araba, immigrazione siriana

Gli autori di questo studio dai contenuti allarmanti avvertono che uno degli obiettivi principali è quello di attirare l’attenzione dei responsabili e delle istituzioni governative sulla differenza dei tassi di fertilità tra le due popolazioni. Infatti, l’attuale numero di bambini rifugiati siriani di età compresa tra uno e 4 anni è il doppio di quello dei bambini libanesi.

L’attuale squilibrio demografico risale al periodo 2010-2020. Un primo elemento di svolta si registra nel 2012, con l’emergere della cosiddetta “Primavera araba” in Siria poi degenerata in guerra civile (e per procura) fra milizie ribelli ed esercito fedele al presidente Bashar al-Assad. Il Libano ha subito lo shock dell’arrivo massiccio di profughi siriani e del loro insediamento incontrollato ai quattro angoli del Paese, con i responsabili completamente ignari delle conseguenze di questa invasione demografica. Negli anni successivi, questi rifugiati hanno portato con sé una marea di aiuti umanitari, in particolare da parte della Banca mondiale e dell’Unione Europea. Purtroppo, e contro la volontà dei libanesi, questi aiuti erano destinati a mantenerli in loco fino a quando la ricostruzione della Siria, colpita dalle sanzioni americane (e occidentali) e in attesa di un cambio di rotta del regime, non avrebbe reso sicuro il loro ritorno. Svolta che non è mai avvenuta.

Gli shock migratori

Certo, questo shock migratorio non è il primo a riguardare il Paese dei cedri e la regione mediorientale. Tuttavia, l’afflusso massiccio e sfrenato di siriani in Libano dal 2012 in poi ricorda con le dovute proporzioni quello dei palestinesi dopo la spartizione della Palestina e la creazione dello Stato di Israele nel biennio 1948-49. Con il protrarsi della crisi siriana, vi è il forte rischio che la presenza di questi rifugiati, come quella dei palestinesi di allora, diventi permanente.

Secondo l’attuale ministro degli Affari sociali del governo di Beirut, Hector Hajjar, in Libano vi sono attualmente 2,1 milioni di siriani, ovvero 200mila famiglie, mentre i libanesi sono circa cinque milioni. Questo dato non corrisponde ai 3,7 milioni indicati in altre tabelle. Ed è proprio questa discrepanza a diventare specchio delle paure di una società, che sembra avere sempre più paura della realtà e delle possibili conseguenze. 

Gli autori dello studio, che ha alimentato ulteriori preoccupazioni e tensioni, ritengono che la crisi siriana e il crollo finanziario hanno messo fine a un sistema economico nato dalla combinazione del boom petrolifero della seconda metà del XX secolo e della guerra civile. Gli eventi stanno accadendo “esattamente come in un sistema economico basato sull’esportazione di risorse naturali e sul consumo delle loro controparti, ma nel caso del Libano è la società stessa a essere consumata”, si legge in un passaggio, che prosegue rimarcando: “Questo sistema è stato istituzionalizzato negli accordi intercorsi tra i signori della guerra e i miliardari [che hanno fatto fortuna] con i proventi del petrolio, che speravano di perpetuarlo” mantenendo al minimo il ruolo regolatore dello Stato.

È proprio questo che teme il vicario patriarcale maronita, Samir Mazloum, che denuncia ad AsiaNews lo “sgretolamento dello Stato libanese”, lo stallo delle elezioni presidenziali e i piani di sostituzione. Il tutto in un momento storico in cui l’arrivo massiccio e imprevisto di decine di migliaia di rifugiati siriani costringe le autorità libanesi a raccogliere sfide di ogni tipo: educative, di sicurezza, sanitarie ed economiche. Mons. Mazloum teme anche l’ingresso illegale di estremisti musulmani in Libano, con un ulteriore fenomeno di radicalizzazione. “Le armi – avverte il vescovo – hanno iniziato a comparire! Depositi di armamenti sono stati scoperti dall’esercito nella Bekaa e nell’Akkar. Certo, si tratta di armi singole, ma non si sa mai”.

Mons. Mazloum deplora poi il vuoto istituzionale alla guida dello Stato e le carenze amministrative che sta causando nei sistemi di sicurezza e di giustizia, in un momento in cui, dall’8 ottobre, Hezbollah ha impegnato in via unilaterale le forze in una “guerra a bassa intensità” con Israele. Contestato dal campo politico cristiano, paralizzato da un’odiosa faida tra i suoi leader, nonché dal patriarca maronita e dal Mufti sunnita della Repubblica, questo conflitto “di sostegno” ad Hamas a Gaza ha già causato l’esodo di circa centomila libanesi dai villaggi di confine.

Khalaf: un colpo di Stato

“Il Libano non appartiene più a sé stesso” esclama il deputato Melhem Khalaf, che da diversi mesi si è rinchiuso in Parlamento per chiedere l’elezione del presidente della Repubblica e vede nella riluttanza di alcuni del tandem sciita ad agevolarla “un vero e proprio colpo di Stato”. Del resto è ormai un dato di fatto che, di fronte alle crisi regionali sorte in seguito alla spartizione della Palestina, l’unità interna del Libano sembra essere sempre più scossa. Un elemento visibile nella nascita di Hezbollah dopo l’invasione israeliana del 1982, quando sembrava sul punto di ripartire l’intero processo di ricostruzione di uno Stato libanese. 

Da allora questo partito – legato a doppio filo a Teheran – si è andato trasformando in uno Stato nello Stato, parassitando la politica di difesa e gli affari esteri del Paese, nonché il suo apparato economico e giudiziario. A tutti questi fardelli si aggiunge oggi il peso della presenza dei rifugiati siriani, accolti in modo sconsiderato. Alain Bifani, ex direttore generale delle Finanze, che ha coordinato la stesura del studio in questione, sostiene che si tratta di un campanello d’allarme: “Non possiamo permettere – aggiunge nella nota conclusiva del lavoro di Charbel Nahas, che raccomanda misure concrete per fermare l’emorragia di partenze – che il Libano si autodistrugga”.