Fra 100 anni, cioè fra 4 generazioni, nessuno ricorderà i nostri nomi, ma…, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 28 /07 /2024 - 23:56 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Dell’invecchiare, Genitori e figli e Del morire.

Il Centro culturale Gli scritti (28/7/2024)

Vedo su Instagram un video che ricorda come fra 100 anni nessun nome della nostra generazione sarà più ricordato. Ne trae poi una stupida conclusione, ma questo qui non ci interessa.

Ci interessa che è vera questa storia dei 100 anni e che bisogna prenderla sul serio, che bisogna prendere sul serio questa transitorietà per capire cosa resta davvero.

Noi ricordiamo bene i nostri genitori, almeno quasi tutti, perché c’è chi li ha persi prestissimo.

Noi ricordiamo bene i nostri nonni, almeno quasi tutti, perché c’è chi non li ha mai conosciuti.

Dei bisnonni sappiamo appena qualche cosa che i nostri nonni o i nostri genitori ci hanno raccontato – per i nostri genitori erano i loro nonni e certamente ci hanno parlato qualche volta di loro. Io stesso so qualcosa della storia dei bisnonni, perché qualche volta abbiamo parlato con la nonna di quand’era bambina, quando era piccola e così ho qualche flash, anche se vago, di alcuni luoghi dove è vissuta e di alcune cose che le sono successe.

Ma cosa sappiamo dei genitori dei nostri bisnonni? Cosa sappiamo, cioè, dei nostri trisnonni? Cosa sappiamo di coloro che hanno dato la vita ai nostri bisnonni? Chi ci ha parlato dei nostri trisnonni?

Praticamente nulla. Non sappiamo talvolta nemmeno i loro nomi, anche se intuiamo che i loro nipoti potrebbero aver ricevuto il loro nome da loro, perché un tempo si dava ai figli il nome dei nonni.

Alla quinta generazione niente si conserva più nella memoria.

Ma…

Se ci si ferma anche solo un istante a considerare quanto questo sia vero, subito ci si rende conto della fuggitività della vita umana, di quanto essa sia piccola, di quanti sforzi inenarrabili sono dimenticati in solo 100 anni. Niente sappiamo di 100 anni fa, se non di coloro che sono entrati nei libri di storia, se non di coloro che hanno compiuto imprese memorabili o delitti spaventosi.

I Salmi lo ricordano bene: Signore, che cosa è l’uomo perché te ne curi? I suoi anni sono 70, 80 per i più robusti, passano presto e noi ci dileguiamo.

Ma c’è un “ma”.

Ci si accorge che noi abbiamo i geni dei nostri antenati, che si è conservata la voglia di generare figli imparata dai genitori di generazione in generazione, che si sono conservati la fede e il Battesimo, che si è conservato uno stile, che anche i peccati e le irrisoluzioni hanno pesato nelle generazioni a venire e talvolta ancora pesano, che la crescita di una famiglia nella spiritualità o nella cultura è dipesa anche dai passi in quella direzione posti già da quei lontani antenati.

Non ne conosciamo nemmeno il nome, ma quanto hanno segnato i loro figli e, quindi, i loro nipoti e i loro pronipoti!

Ciò vale ovviamente anche della paternità e maternità spirituale, della trasmissione della fede.

In realtà si conserva solo ciò che si dona e si è trasmesso ad altri. Ciò che si dona prosegue senza che necessariamente vi sia applicata l’etichetta di chi era colui che aveva dato origine al dono.

Non si conserva il nome, ma la realtà di ciò che è stato donato. È il dono che passa di generazione in generazione, con l’invito a proseguire nel dono.

Ne sono la prova più evidente ciò che nemmeno si vede: il DNA, i geni.

Certo ci sono anche le cadute e ogni nuova generazione deve cominciare di nuovo e nessun successo della generazione precedente è assicurato.

Ma è vero anche che noi possiamo ergerci, pur essendo nani, solo perché saliamo sulle spalle dei giganti[1] che ci hanno preceduto ed è il loro battesimo che viene a noi trasmesso!

Ecco, bisogna pensare ogni tanto a cosa sono 100 anni, provarne la vertigine e la consolazione, e sapere che così sarà ancora. Restano solo il dono donato e il Paradiso che si spalanca, non il nome che pensiamo di esserci costruito.



[1] Il riferimento è alla famosa espressione ricordata da Giovanni di Salisbury (Metalogicon, 3,4) in riferimento a Bernardo di Chartres che è trascritta per intero qui.