L’aborto non è mai un diritto. Il diverso parere di due dirigenti del Pd, Silvia Costa e Alberto Mattioli

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /06 /2024 - 23:46 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo da Avvenire un articolo di Silvia Costa della Direzione nazionale Pd e di Alberto Mattioli nella Direzione regionale del Pd Lombardia, pubblicato il 29/6/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Vita e Politica.

Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2024)


Donne a una manifestazione pro life negli Stati Uniti - Ansa

L’aborto continua a causare aspre polemiche e contrapposizioni benché l’Italia disponga di una saggia legge e di una equilibrata giurisprudenza. È diventato un tema di posizionamento e speculazione politica.

Il presidente francese Emmanuel Macron ne ha fatto una bandiera ideologica ricorrendo alla sintetica formula “diritto all’aborto” (richiamato in una recente risoluzione del Parlamento europeo). Pare che l’individualisme stia sostituendo la fraternité.

Francesca Izzo su Huffington Post ha ben richiamato che «su un terreno così sensibile e aperto ai dilemmi etici, e nel quale la differenza del soggetto femminile viene giuridicamente riconosciuta, l’uso dei termini giusti è fondamentale. Parlare di libertà o di autodeterminazione nel caso dell’aborto è cosa ben diversa dal definirlo un diritto».

Nella Costituzione francese all'articolo 34 è stata aggiunta la frase: «La legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso a un'interruzione volontaria della gravidanza». Non compare quindi il “diritto all’aborto”, come non compare nella nostra legge 194/1978, il cui titolo recita «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», e dove si intende mettere in equilibrio il diritto del nascituro con quello alla salute della donna definendo le condizioni perché una donna possa esercitare una scelta veramente libera per proseguire la gravidanza più serenamente o decidere per la Ivg sicura e legale.

La normativa definisce una procedura per bilanciare due diritti, prevedendo tempi, motivazioni e modalità per accedere alla Ivg lasciando l’ultima decisione alla donna.

È questo lo spirito della legge 194, la ratio – cioè l’obiettivo – che traspare da tutto il suo testo e che tante pronunce giurisprudenziali hanno confermato. Lo Stato «riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio» si legge nell’articolo 1. La Corte costituzionale afferma che «il diritto alla vita – dice per esempio nella sentenza 35 del 1997 –, inteso nella sua estensione più lata, è da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana».

La filosofa Luisa Muraro, autorevole esponente del femminismo, nota che «un diritto ha sempre un contenuto positivo. L’aborto invece è un rifiuto, un ripiego, una necessità. La donna che non vuole diventare madre subisce un intervento violento sul suo corpo per estirpare questo inizio di vita. Pensavamo, e pensiamo tuttora, che se si fa dell’aborto un diritto si autorizza l’irresponsabilità degli uomini».

Ancora Francesca Izzo con finezza rileva che «la donna è un corpo differente da quello maschile, porta in sé la potenza procreativa che l’uomo non possiede. Equiparare questa potenza/potere – sia nel suo versante positivo, come nella scelta della maternità sia in quello negativo come nella scelta dell’aborto – a un diritto significa neutralizzare questa differenza, cancellare il fatto che, mentre il diritto divide in individui, in soggetti distinti anche in potenziale conflitto tra loro, la potenza procreativa della donna unisce, vincola il sé all’altro».

È necessario quindi non porre in discussione l’equilibrio faticosamente raggiunto dalla legge mentre, ribadiamo, è necessario tutelare la libertà e responsabilità della scelta della donna.

Sentiamo quindi sempre più l’esigenza di promuovere quella cultura e quelle condizioni sociali, organizzative ed economiche concrete che restituiscano valore personale e sociale alla maternità e paternità troppo spesso oggetto di rinvio o dolorosa rinuncia. Per restare umani occorre sempre tener presente che l’etica della responsabilità individuale lega la vita di ciascuno a quella degli altri.