1/ Riabilitare Daniélou, di Filippo Rizzi 2/ Daniélou, il cardinale teologo morto in periferia tra i "fratelli perduti". Il 20 maggio 1974 a Parigi spirava per un arresto cardiaco sulla soglia di una donna “chiacchierata”. Quel decesso venne infangato dai media con accuse infondate. Ora si riscopre l'eredità, di Marcelo Bravo Pereira 3/ “Veniva per portarmi dei soldi per aiutarmi a pagare l’avvocato di mio marito, che era stato imprigionato”. La testimonainza di Mimì Santoni, dal Blog di Luigi Accattoli

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /06 /2024 - 23:39 pm | Permalink | Homepage
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1/ Riabilitare Daniélou, di Filippo Rizzi

Riprendiamo da Avvenire un articolo di Filippo Rizzi, pubblicato il 20/1/2010. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Cristianesimo.

Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2024)

Fu veramente scandalosa la morte del cardinale Jean Daniélou (1905-1974) o vi fu, in quel drammatico e apparentemente «scabroso» decesso, una traccia evangelica, capace di scalfire un certo conformismo borghese e benpensante?

È l’interrogativo portante su cui si snoda la riflessione del giornalista e scrittore Paolo Giuntella, scomparso più di un anno fa a causa di una lunga malattia, nel libro uscito postumo La fedeltà, trasgressione e follia per il mondo (Il Margine, pp. 126, euro 9,50). Giuntella torna in queste dense pagine alla morte improvvisa del teologo gesuita francese, e scrive: «Daniélou cardinale e accademico di Francia, in visita alla Maddalena, è stato stroncato dallo Spirito Santo in condizioni esteriori di apparente ambiguità (e invece interiori di santità e carità) perché perdesse la sua vita, al prezzo della sua onorabilità, e acquistasse uno spicchio di cielo per tutti noi, costringendoci a gettare nel mondezzaio il nostro stupido moralismo».

In effetti Jean Daniélou, insigne studioso delle origini del cristianesimo e perito al Concilio Vaticano II, morì il 20 maggio 1974, a 69 anni, sulla soglia dell’appartamento parigino di una donna di dubbia reputazione. Quella morte apparentemente obbrobriosa per un principe della Chiesa e membro dell’Académie française avvenuta a causa di un collasso sull’uscio dell’appartamento dell’avvenente Madame Santoni, detta Mimi, per anni soubrette di un cabaret, fornì soprattutto alla stampa scandalistica d’Oltralpe – capitanata dal settimanale d’assalto Le Canard enchainé – abbondanti motivi per creare una fitta e ambigua rete di insinuazioni e di ombre, mai realmente provate, su uno dei teologi più grandi del Novecento e uno dei più stimati da Paolo VI, che lo creò non a caso cardinale nel 1969.

Una rete di insinuazioni che trovò qualche sponda persino nella Compagnia di Gesù, mentre la difesa della Conferenza episcopale francese (ma anche di autorevoli quotidiani come La Croix e Le Figaro) fu compatta.

Dopo la lunga ondata di dicerie sulla «morte umiliata» del cardinale francese si riuscì ad appurare, a mente fredda, una verità molto più semplice, ma proprio per questo difficile e scomoda da accettare da parte di una certa cultura benpensante: molto tempo dell’apostolato del padre Daniélou era speso per aiutare (anche economicamente) e redimere le persone più lontane dalla Chiesa, soprattutto nella pratica dei sacramenti: dalle prostitute agli artisti, dai malati psichici agli omosessuali, in ultimo coloro che vengono bollati come i reietti della società. Fu la stessa signora Santoni a confermare ai media francesi la completa innocenza di quel rapporto con il grande intellettuale francese.

A suffragio di questo stile, da cattolico «irregolare», per molti versi simile al suo confratello Michel de Certeau, fanno ancora oggi vivida testimonianza le riflessioni dello stesso Daniélou racchiuse nel bellissimo saggio, una sorta di testamento, Le memorie, uscito postumo (in Italia nel 1975 per la Sei), in cui egli spiega il senso di un apostolato «anticonformista» e «non clericale» destinato ai lontani.

Di grande interesse sono anche le confidenze consegnate al grande amico, l’orientalista e teologo Louis Massignon, sul suo costante servizio nei quartieri dimenticati di Parigi per i «fratelli perduti».

Ma a spiegare lo stile di vita evangelico fuori dal comune del gesuita Daniélou parlano ancora oggi le sue note del 1938, racchiuse nei Diari spirituali (editi da Piemme nel 1998), in cui egli a causa di Cristo si sente pronto ad «accettare di essere disonorato, anche agli occhi di coloro che amo, se Egli lo permette». Il 20 maggio di 36 anni dopo il suo amico e successore all’Académie française, il domenicano Ambroise-Marie Robert Carré, facendo riferimento a quella nota dei suoi Diari, affermò non a caso: «Moriva in condizioni che odiose calunnie sfruttarono. Il suo voto eroico era esaudito».

Una ricostruzione sullo stile di redenzione dell’apostolato di questo gesuita sui generis lo si trova, in una chiave ovviamente letteraria, nel bel romanzo scritto nel 1998 da Angelo Lodi La Ragazza e il cardinale (Edizioni Leoni, pp. 108). Il libro di Lodi, per molti versi simile alle conclusioni a cui arriva Giuntella, intravede nell’incontro tra il porporato e la ragazza la rivelazione di qualcosa di nuovo: misericordia per lui e redenzione per lei.

Ma in quel lontano lunedì del 1974 fu soprattutto numerosa la schiera di persone che difese l’onorabilità di Daniélou, tra queste, il giovane frate domenicano e poi divenuto maestro generale del suo Ordine, Timothy Radcliffe, i cardinali Gabriel-Marie Garrone e Charles Journet, e soprattutto il compagno di studi di una vita, il gesuita e poi cardinale Henri de Lubac. La testimonianza di quest’ultimo si evince da un libro, Memoria intorno alle mie opere (Jaca Book, 1992), in cui egli dedica un passaggio all’amato confratello. L’anziano gesuita racconta la grande austerità e morigeratezza «priva di qualsiasi fariseismo» in cui il cardinale Daniélou viveva a Parigi, «senza un’automobile né una segretaria».

Ma nella sua requisitoria il padre De Lubac si sofferma soprattutto sulla solitudine di Daniélou e sulla «campagna diffamatrice da parte dei confratelli» simili a «una muta feroce»: «Egli rimase sorridente, servizievole fraterno. In lui non ci fu amarezza e rancore. In questo fu soprattutto evangelico. Proprio per questo l’ho amato di più».

A riconoscere la grande autorevolezza di studioso e di teologo è stato recentemente Benedetto XVI, che conobbe da vicino il teologo francese durante le sessioni del concilio Vaticano II. Papa Ratzinger lo ha citato per ben due volte nel suo libro Gesù di Nazaret e ne ha ricordato la grandezza di «eminente studioso dei Padri» durante la catechesi dedicata ad Eusebio di Cesarea il 13 giugno 2007.

Un riconoscimento che trova conferma nell’attualità del suo pensiero. Infatti, pur a molti anni dalla loro prima apparizione in francese, vengono ora ripubblicati due saggi che fecero epoca come Dio e noi (Rizzoli, pp. 224, euro 9,20) e La Risurrezione (Cantagalli, pp.134, euro 10,90) e presto sarà in libreria per le Dehoniane di Bologna anche un altro testo molto in voga negli anni Settanta, Messaggio evangelico e cultura ellenistica.

Tra coloro che non si sono mai arresi nella difesa della memoria del cardinale francese, grazie anche ai loro ricordi, ci sono tuttora allievi di Daniélou come i teologi gesuiti Joseph Paramelle, Michel Sales e in particolare il grande filosofo quasi novantenne, studioso di Maurice Blondel, Xavier Tilliette:

«Qualcosa si è spezzato in me all’epoca della morte umiliata del cardinale Daniélou. Fu un episodio penoso – ha dichiarato recentemente Tilliette –. Ero corso al soccorso dell’amico e mi si intimò di tacere. Presunto colpevole, il grande apostolo e scienziato ebbe la reputazione macchiata per molto tempo. Ormai le calunnie sono cessate, ma mi hanno fatto dubitare della Compagnia e del suo spirito fraterno».

Nel ventennale della scomparsa sulla rivista France Catholique Louis Henri Parias lo definì amabilmente «divino impaziente», pensando certo anche al triste epilogo da cronaca nera di cui fu vittima inconsapevole. Un destino forse annunciato nell’ultimo articolo di Daniélou sull’Osservatore Romano, apparso poco tempo prima della sua morte: «Quel che chiediamo ai teologi non è di annunciare le loro idee, ma Gesù Cristo».

2/ Daniélou, il cardinale teologo morto in periferia tra i "fratelli perduti". Il 20 maggio 1974 a Parigi spirava per un arresto cardiaco sulla soglia di una donna “chiacchierata”. Quel decesso venne infangato dai media con accuse infondate. Ora si riscopre l'eredità, di Marcelo Bravo Pereira 

Riprendiamo da Avvenire un testo di Marcelo Bravo Pereira, Direttore dell’istituto superiore di Scienze Religiose dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, pubblicato il 28/5/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Cristianesimo.

Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2024)

Un convegno e un webinar per celebrare il grande patrologo gesuita Jean Daniélou (1905-1974). […] presentato il libro del legionario di Cristo, padre Marcelo Bravo Pereira «Tra l’eternità e il tempo: l’ufficio del teologo nella vita e nella proposta metodologica di Jean Daniélou» (Edizioni Efesto). Verrà inoltre presentato il progetto di Bibliografia completa di Jean Daniélou. Oltre a Marcelo Bravo Pereira saranno presenti Jean-Robert Armogathe, co-fondatore e attuale editore della rivista Communio, di Alfredo Catalfo, direttore di «Edizioni Efesto». Modererà l’incontro il vaticanista di Avvenire Gianni Cardinale. Pubblichiamo un contributo di Bravo Pereira sulla figura del cardinale gesuita.

Cinquanta anni fa, il 20 maggio 1974, Jean Daniélou lasciava questo mondo in circostanze paradossali, cancellando in un colpo la sua eccezionale eredità teologica e pastorale. Nonostante la sua preziosa produzione scientifica e divulgativa, nonché la sua partecipazione ad importanti progetti culturali, come la rivista Esprit, di Emanuel Mounier, e soprattutto il suo impegno durante e dopo il Concilio Vaticano II, la sua memoria è stata costantemente offuscata dalla sua tragica fine, avvenuta al numero 56 di Rue Dulong, a Parigi.

La morte di Daniélou fu descritta dal suo confratello gesuita Xavier Tilliette come «bernanosienne». Un suo amico, Piere de Boisdeffre, diplomatico e letterato francese, riconobbe che il cardinale fu «tradito» dalla sua stessa morte. Il suo desiderio, infatti, era che ogni uomo avesse la morte che si meritava. Forse Daniélou non meritava di un trapasso apparentemente così poco «evangelico», a casa di Madame Santoni, fille de joie di Montmartre, presso la quale si era recato a prestare aiuto.

A distanza di cinquant’anni, le circostanze della sua morte non dovrebbero più suscitare scalpore e si dovrebbe invece fare risaltare la sua eredità teologica e pastorale, i suoi principi per il dialogo tra fede e cultura e il metodo con cui avvicinarsi ai «mirabilia Dei», le azioni mirabili di Dio nella storia. Il suo stesso dinamismo apostolico e la sua spinta verso le periferie esistenziali di allora – hippies, maoisti, omossessuali e prostitute – restano nella memoria di coloro che lo hanno conosciuto come un esempio di carità, fino all’imprudence… Infatti, «imprudente» era uno degli appellativi che gli amici usavano nei confronti del porporato. «A Jean Daniélou dissi una volta – testimonia Maurice Druon – “Senti, Jean, hai commesso un’imprudenza nel sacerdozio”. Egli rispose: “Non è tra i santi che si fanno le conversioni”».

Nato il 14 maggio 1905 a Neully-Sur-Seine, nei pressi di Parigi, Jean è stato il primogenito di Charles e Madeleine Daniélou. Dopo essersi laureato con lode in grammatica presso la Sorbona nel 1927, entrò nel noviziato dei gesuiti a Laval il 20 novembre 1929. Studiò teologia presso lo Scolasticato di Lyon-Fouvière dal 1936 al 1939, all’ombra di Henri de Lubac, e accanto a Hans Urs von Balthasar, suo amico e ancora confratello gesuita, con il quale passava le ricreazioni a leggere e commentare i testi patristici. È stato ordinato sacerdote il 24 agosto 1938.

Nel 1941, Daniélou si trasferì a Parigi come redattore della rivista «Études», fu cappellano presso l’École Normale Supérieur de Sèvres e ottenne, nel 1943, la cattedra di storia delle origini cristiane presso l’Istituto Cattolico di Parigi. Nel 1961 divenne Decano della facoltà di teologia dello stesso Istituto.

Papa Giovanni XXIII lo nominò perito presso il Concilio Vaticano II nel 1962, mentre nel 1969 il papa Paolo VI lo creò cardinale. Quando chiese a Paolo VI il perché di questa decisione, il Papa gli rispose – è Daniélou che lo ricorda – «que cela ne me regardais pas». Secondo Jean Guitton, due erano le qualità che in lui erano perfettamente congiunte e che motivarono la scelta papale: la competenza erudita e lo zelo ardente per l’apostolato.

Daniélou è stato consacrato vescovo nella Chiesa del Carmine dell’Institut Catholique di Parigi. Il giorno della sua consacrazione caddero dalle finestre dei pamphlet ostili. «Vescovo, dove è il tuo popolo». Nelle sue memorie, pubblicate postume, egli ci racconta la risposta che avrebbe dato alle provocazioni: «Avrei potuto rispondere che avevo un grande popolo: il popolo dei giovani». Infatti, non avendo responsabilità curiali, poté dedicarsi pienamente alla pastorale universitaria e tra gli intellettuali. Nel 1972 sarà eletto all’Académie Française in sostituzione del cardinale Eugène Tisserant.

La sua vasta produzione letteraria, recentemente raccolta e catalogata in un volume bibliografico presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma - L’opera di una vita, APRA, Roma 2024 - comprende circa ottanta libri, alcuni dei quali tradotti in varie lingue, e più di 1500 articoli. Il suo primo scritto risale al 1933, quando Daniélou non era ancora sacerdote, mentre Le signe du temple ou de la presence de Dieu, del 1942, pubblicato quando era a Lyon-Fourvière, è stato considerato da Henri de Lubac come il suo miglior testo e la sintesi di tutto il suo pensiero.

In questo lavoro, il giovane teologo gesuita presenta la sua visione della storia come «akolouthia», una progressione ordinata del tempo attraverso la quale Dio guida il suo popolo verso un futuro che trova compimento in Cristo e nel mistero pasquale, continuando poi nell’epoca della Chiesa. Il tempio è appunto il segno di questa presenza, preparato nel tempio cosmico, arrivato a pienezza nell’umanità del Redentore e che continua nella Chiesa, vero tempio della presenza sacramentale di Cristo risorto.

Papa Benedetto XVI, che conobbe Daniélou durante il Concilio Vaticano II, scrisse nel 2006: «Come non ricordare la figura di questo teologo della Compagnia di Gesù [...] La sua attenzione alla verità e il suo dinamismo missionario invitano i nostri contemporanei ad annunciare il Vangelo nel mondo della cultura e della scienza, mettendo in campo tutte le risorse della ragione e dell’intelligenza, rimanendo fissi su Cristo, che è la via, la verità e la vita».

«Come non dimenticarlo?». Nonostante l’enorme contributo di Jean Daniélou alla teologia e alla Chiesa, sembra che a cinquant’anni dalla sua morte ci sia ancora una volontà diffusa di dimenticarlo. L’ombra di Rue Dulong, 56, e la campagna diffamatoria che seguì alla sua morte, rischiano di pesare – ingiustamente! – come una pietra tombale sulla sua memoria.

3/ “Veniva per portarmi dei soldi per aiutarmi a pagare l’avvocato di mio marito, che era stato imprigionato”. La testimonainza di Mimì Santoni, dal Blog di Luigi Accattoli

Riprendiamo dal Blog di Luigi Accattoli una citazione dalla testimonianza di Mimì Santoni sulla morte del cardinal Danielou pubblicata su tale sito il 20/5/2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Cristianesimo.

Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2024)

Mimì Santoni sulla morte del cardinale in casa sua:

“Veniva per portarmi dei soldi per aiutarmi a pagare l’avvocato di mio marito, che era stato imprigionato. Era bianco come un lenzuolo. Mi ha guardato e mi ha domandato di aprire la finestra, esclamando: “Che caldo che fa qui” È caduto in ginocchio. La sua testa si è schiantata sul pavimento. Un ultimo respiro e poi niente. Molto tempo dopo, mi sono detta: che bella morte per un cardinale cadere in ginocchio” [parole di Mimì Santoni riferite da Emmanuelle De Boysson nel volume “Le cardinal et l’hindouiste”, Editore Presses De La Renaissance, Paris 2008].