Del maschile e del femminile nella storia evolutiva del genere umano, di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /06 /2024 - 23:55 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un testo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Famiglia, affettività e sessualità, omosessualità e gender e Educare all'affettività e preparazione al matrimonio.

Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2024)

Quando si discute di “gender” e della sua mutevolezza, tutto diviene confuso se si ipostatizza l’individuo e lo si separa dalle generazioni precedenti, a partire dalle quali l’evoluzione della specie ha individuato la rilevanza del maschile del femminile per la sopravvivenza della specie, e da quelle future che potranno nascere.

Se si pone mente, invece, allo sviluppo della specie umana – che si fa iniziare circa 2 milioni di anni fa con l’homo habilis[1] -, divengono immediatamente evidenti aspetti che altrimenti sfuggirebbero a chi invece ragiona in maniera razionalista e astratta, separando l’uomo dalla sua concreta evoluzione così come si è determinata nella realtà studiata dalle scienze.

La donna si è differenziata dall’uomo nella sua evoluzione e ciò è evidente innanzitutto dal fatto che essa si sviluppa sessualmente prima del maschio: i bambini sono in ritardo e solo più tardi divengono capaci di generare a differenza delle bambine che possono concepire anni prima dei maschi.

Ma, ancor più, la donna ha fin dal momento in cui diviene fertile tutta la sua dotazione di ovuli: non li genera ogni volta di nuovo, come fa il maschio con i gameti maschili.

Il maschio, invece, è in grado di generare gameti maschili fino in tarda età.

Questo comporta che la donna abbia un termine più breve, assegnatole dall’evoluzione, per la sua capacità riproduttiva e che possa generare solo una creatura per volta e solo a distanza di più di nove mesi una seconda: l’uomo, invece, ha un apparato riproduttivo che lo può portare a concepire più creature a brevissima distanza e anche con donne diverse.

Ma comporta anche, appunto, che la donna entri nella menopausa che le impedisce nuove procreazioni a partire da un’età molto più bassa dell’uomo che rimane invece fertile ben oltre l’età corrispettiva della donna.

La donna, poi, sviluppa - man mano che il concepimento viene portati avanti - la capacità di allattare che è invece preclusa all’uomo[2].

L’attaccamento del bambino alla donna è così primario, innanzitutto perché è lei a portarlo nel grembo, di modo che il feto si abitua a percepire le emozioni della madre e i suoni della sua voce ben prima della nascita, in maniera da costituire un’unione con lei che è, nei primi mesi, simbiotica.

Il maschio ha, invece, in questa prima fase di sviluppo, un ruolo molto minore.

Man mano che, invece, il/la bambino/a cresce, ecco che il ruolo maschile diviene più determinante ed esso è stato individuato, dalla psicologia, non solo come protettivo, ma ancor più come generante, ad un determinato momento, il “distacco” dalla presenza “unica” della madre, di modo che venga rotta la “simbiosi”.

Il “taglio del cordone ombelicale “psicologico è esattamente quell’intervento progressivo, per cui l’uomo, permette alla creatura di “comprendere” – a tempo opportuno - che la madre non è la “donna” del bambino, poiché essa è invece amata e amante del padre: è proprio la presenza del padre ad interdire alla creatura, dopo la fase simbiotica, il rapporto totalizzante che altrimenti avrebbe con la madre.

È appunto l’evoluzione della specie che ha permesso l’elaborazione di uno sviluppo interno al rapporto fra genitori e figlio/a, con un ruolo inizialmente assolutamente preponderante della madre e un crescente ruolo paterno[3].

In sintesi, è possibile trascurare le precise differenze esistenti evolutivamente fra maschile e femminile solo se si prescinde dalle possibilità riproduttive e si ragiona sugli individui in astratto, come è abituata a fare la pubblicistica che spesso non è concreta e storica. Non appena, invece, esse vengono incluse nella riflessione sul gender, ecco che si precisano ed appaiono evidenti le caratteristiche proprie dei due sessi.

Il maschile e il femminile appaiono le due modalità “originarie” che sono necessarie da un punto di vista evolutivo, poche sono esse a dettare i procedimenti della nascita di nuovi individui della specie che possono poi essere omosessuali o transessuali, ma, per essere generati, hanno bisogno dell’intervento originario del maschile del femminile che sono imprescindibili e costitutivi.

Il compito degli altri “generi” appare anch’esso come “positivo”, nel senso che scombussola una troppo facile ordinarietà: ma tale intervento “rivoluzionario” non elimina l’imprescindibile presenza del maschile e del femminile come elemento originante di qualsiasi differenza che ne possa conseguire[4]. Gli altri generi sono “secondari”, cioè successivi rispetto ai due che generano tutti gli altri.



[1] Così In principio un solo uomo, di Fiorenzo Facchini, a partire dai ritrovamenti di Dmanisi in Georgia.

[2] Per ulteriori precisazioni sulle differenze fra maschile e femminile dal punto di vista riproduttivo, cfr. la comunicazione di C. Nesi, in una breve comunicazione tenuta presso la parrocchia di San Tommaso Moro – disponibile in forma audio on-line al link https://soundcloud.com/gliscritti/220329_0834a dal minuto 8.40. La dott.ssa ha ricordato in quella sede come i cromosomi X e Y siano presenti fin dal concepimento.
Come alla sesta settimana di gravidanza cominci già la differenziazione.
Come questa si velocizzi con la pubertà: le bambine sono più precoci e si sviluppano intorno ai 10 anni, i bambini maschi più tardi, intorno ai 12 anni.
Come le bambine raggiungano così la maturità, intesa come capacità riproduttiva, prima dei maschi. Come sviluppino così non solo i cosiddetti caratteri sessuali secondari – cioè i genitali esterni e le altre differenziazioni esternamente visibili – ma tutto l’organismo in funzione riproduttiva.
Come i maschi sviluppino ossa e muscoli in media più pesanti, con più forza e più altezza, al di là degli organi sessuali.
Come nella donna il bacino abbia una forma diversa e così la schiena: il bacino è, infatti, più basso e questo, ovviamente, perché la specie lo ha sviluppato in vista della gestazione e del parto
Come l’utero non abbia solo una determinata ampiezza, ma sia anche “grasso” – anche la localizzazione del grasso differenzia l’uomo dalla donna e questa posizione del grasso è in vista dell’accoglienza del nascituro.
Come il “grasso” sia essenziale per il futuro bambino: se non c’è grasso non ci sarà vita e il grasso si concentra sulle mammelle, sul bacino e intorno all’utero. È noto che le persone di peso molto basso, perdono le mestruazioni e con livelli bassi di grasso, poiché non possono garantire il mantenimento della gravidanza e l’allattamento, non sono in grado di concepire – è il caso di forme serie di anoressia, ad esempio.
Inoltre come l’uomo abbia un torace più grande, con funzioni respiratorie più ampie.
Soprattutto come sia diverso il “tempo” della fecondità per le donne e per gli uomini. Le donne hanno un “tempo” più limitato, perché nascono già con un determinato bagaglio di ovociti che non si accresce. Il corpo femminile porta a maturità un ovocita al mese, una “unità di vita” - si potrebbe dire – al mese e, se questa non viene fecondata, l’ovocita viene espulso.
Come le donne perdano intorno ai 45/50 anni, con la menopausa, questa capacità riproduttiva. Non solo, dunque, hanno un tempo più breve per la riproduzione, ma anche la qualità della vita che possono generare dipende dall’età. Questo perché gli ovociti sono lì fin dalla nascita e lentamente possono deteriorarsi. Per questo aumenta il rischio al concepimento.
Come il maschio, invece, sia fecondo fino a 70 anni d’età circa. Perché ha un ciclo completo che produce spermatozoi ogni 15 giorni circa.
Come la gravidanza, comunque, sia per la legge evolutiva sempre a carico della donna.
Come non appena lo zigote si localizza, tutto nella donna si modifichi.
Come si sviluppi una connessione sanguigna, si assista ad un aumento di peso fino a 15 chili, come si spostino i visceri, cioè gli organi interni, e si assista a tantissime variazioni interne e non solo esterne.
Come il pompaggio del cuore quasi raddoppi – aumenta del 40% per l’esigenza di pompare il sangue anche nella creatura nuova che è nel grembo, perché esso deve bastare per due esseri.
Come anche il seno non solo aumenti di dimensioni, ma anche cambi caratteristiche e colore, perché il bambino è ipovedente alla nascita e quindi deve essere più facile localizzarlo. Come solo dopo il parto si sviluppi l’“oro liquido”, il latte della madre che protegge madre e bambino.
Come l’allattamento impedisca che il ciclo mestruale ricominci, lasciando così alla donna un certo periodo di non fertilità, come un lasso di tempo di riposo inviolabile da nuove gravidanze.

[3] Per approfondimenti, cfr. gli studi di Nicolais che ha rivolto i suoi studi nell’ambito della psicologia dello sviluppo:
-Alcune riflessioni sul maschile e femminile nella psicologia dello sviluppo, di Giampaolo Nicolais.
Estremamente interessante è poi il versante degli studi neurologici che cercano di determinare come si strutturi e come funzioni il cervello maschile e quello femminile, una volta date le differenze oggettive riscontrabili ad una prima analisi (cfr. su questo, solo per un primo orientamento:
-Recenti studi sulla differenza fra il cervello maschile e quello femminile: le diverse sinapsi – connessioni – tra i 2 sessi (da un articolo di Sara Gandolfi e Chiara Mariani)
-Intervista a Paolo Pancheri a cura di Arianna Gasparini, Supplemento Corriere Salute al Corriere della sera del 21 maggio 2000
-Gender & neuroscienze: la differenza esiste, di Alberto Oliverio).