Habermas e la ricerca della democrazia reale. Il grande filosofo tedesco, a 95 anni, pubblica un saggio dove torna alle origini del suo pensiero sull’agorà politica come spazio dell’«agire comunicativo», di Davide Gianluca Bianchi
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Davide Gianluca Bianchi, pubblicato il 14/5/2024. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (26/5/2024)
Esce in questi giorni in Italia un piccolo volume firmato da Jürgen Habermas – Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa (Cortina editore; pagine 120, euro 14) – mediante il quale il filosofo tedesco, alla soglia dei 95 anni, ritorna agli argomenti della sua tesi di dottorato, ultimata nel 1962, che hanno ispirato tutto il suo lavoro successivo, e che oggi sono di grande attualità in ragione del protagonismo dei social media nella comunicazione di massa.
Come è noto, Habermas si è formato nel clima della Scuola di Francoforte, dove aveva l’apprezzamento di Adorno soltanto e il disinteresse di Horkheimer in merito ai temi che voleva approfondire.
Scelse così di rivolgersi all’Università di Marburgo per la sua abilitazione all’insegnamento, trovando la disponibilità di Wolfgang Abendroth nel sovraintendere ai suoi studi storiografici e concettuali sulla “sfera pubblica” (Öffentlichkeit in tedesco).
Così come i suoi maestri, con Dialettica dell’Illuminismo (1947) avevano guardato al lato oscuro – se così vogliamo dire – dell’età dei lumi, Habermas con maggior ottimismo cercava nel razionalismo settecentesco e nella società “borghese” dell’epoca il contributo primigenio alla formazione della moderna opinione pubblica, intesa come uno spazio condiviso di discussione e formazione dei convincimenti individuali dei cittadini in una società libera e democratica.
La “sfera pubblica” di cui parla Habermas è senza dubbio una idealizzazione, che richiama alla mente un luogo aperto e partecipato, dove le idee circolano liberamente perché i cittadini animano attivamente il dibattito pubblico, in contrapposizione agli arcani imperii del potere assoluto, dove operava il principio in base al quale quanto più una questione politica era importante, quanto meno era lecito saperne.
Queste nozioni sono alla base della sua maggiore opera teorica – La teoria dell’agire comunicativo, uscita in più volumi nel 1981 – che per molti aspetti prende le distanze dalle tesi fondamentali della Scuola di Francoforte: l’agire comunicativo di Habermas è volto all’intesa e si distingue dall’agire strumentale negativamente connotato di Horkheimer e Adorno; in luogo della dialettica Stato-società civile di sapore ancora marxiano, Habermas distingue fra “mondo della vita” – da cui derivano le sue aperture nei confronti della spiritualità – e “sistema” e fa propria la più recente filosofia del linguaggio dove primeggia l’etica del discorso, in cui la parola è essa stessa un’azione volitiva, che solo in democrazia ha la possibilità d’essere libera.
Rimaneva solo un aspetto problematico tutt’altro che secondario: la “sfera pubblica” in cui si svolge il dibattito democratico, nell’epoca contemporanea, non può che essere affidata ai mezzi di comunicazione di massa con le loro logiche – non ultima quella del profitto che fa regredire il cittadino a mero consumatore – che non sono certo esenti dal produrre effetti sulla qualità del dibattito. La lucidità con cui Habermas aveva visto questi problemi già nei primi anni Sessanta del Novecento, lo pone in una posizione privilegiata per commentare le distorsioni che la digitalizzazione, e i social in particolare, producono oggi in molteplici direzioni. E proprio questo è il senso del libro ora proposto al lettore italiano.
A questo proposito si deve dire, in primo luogo, che Habermas coniuga la sua speculazione originaria sulla “sfera pubblica” con la più recente teorizzazione sulla democrazia deliberativa, che si deve naturalmente ad altri autori che tuttavia il filosofo tedesco sposa in termini politici. L’avvento di Internet e dei social media complica enormemente le cose rispetto alle idealizzazioni habermasiane: «I nuovi media – spiega efficacemente Marina Calloni nella sua Introduzione – hanno un impatto distorcente sulla comunicazione politica in quanto vengono a creare ristrette enclave di dibattito che impediscono una formazione più articolata del consenso secondo argomenti razionalmente motivati e condivisi».
La natura dei social media è ripetitiva perché sono concepiti come vettori di persuasione per finalità commerciali; di più: gli algoritmi fanno una selezione dello spettro delle opinioni presenti in rete e veicolano all’utente soltanto quelle più vicine alle sue, trasformando gli orientamenti politici in semplici preferenze del consumatore.
Vi è poi il tema della “disintermediazione”. Le informazioni che ritroviamo in rete, e suoi social in particolare, sono prive delle credenziali tecniche offerte dagli esperti che si riscontravano per esempio nell’editoria tradizionale (libri, giornali ecc.): assistiamo così al fenomeno della “postverità”, per cui la credibilità di una notizia o di una informazione dipende da fattori emozionali più che razionali, con ampia profusione così di fake news.
Nel saggio centrale di questo agile volume habermasiano e nell’intervista che lo chiude, infine, l’autore problematizza il concetto stesso di democrazia deliberativa, proponendo per la prima volta nei suoi scritti la distinzione fra “cittadino dello Stato” (Staatsbürger) e “cittadino della società” (Gesellschafts-bürger) […].
Vi è chi partecipa attivamente alla vita della società, contribuendo per esempio alla produzione di beni e servizi, ma, come nel caso dei migranti, resta privo di rappresentanza politica: nelle pagine conclusive sembra che il filosofo tedesco riponga delle speranze nel potenziale d’opposizione e di resistenza affidato a queste esistenze ingiustamente marginali e nell’associazionismo del terzo settore che lavora per la loro inclusione. Nella sua visione sono – o possono essere – forze propulsive per il miglioramento dello status quo nella direzione delle idealità che avevano ispirato la sua originaria riflessione sullo “spazio pubblico”, ispirazione che oggi non può che declinarsi in una lotta reale contro le risorgenti diseguaglianze che attraversano le nostre società.