Segno di credibilità per la fede non è solo la storicità di Cristo, ma prima ancora la salvezza operata da Dio nella chiesa e nella vita di colui che crede. Breve nota di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Cristianesimo.
Il Centro culturale Gli scritti (1/4/2024)
I Salmi e gli altri scritti che nascono dalla preghiera di chi crede invitano a rendere grazie al Signore perché egli ha salvato la nostra vita, perché l’ha trasformata, perché noi abbiamo visto la sua presenza e la sua azione oggi e non ieri, cioè ai nostri giorni e non solo nella storia degli antichi patriarchi e profeti.
Dice, ad esempio il Sal 44 (43), 7-8:
«Nel mio arco infatti non ho confidato,
la mia spada non mi ha salvato,
ma tu ci hai salvati dai nostri avversari,
hai confuso i nostri nemici».
Allo stesso modo recita il Sal 118 (117), 13-18:
«Mi avevano spinto con forza per farmi cadere,
ma il Signore è stato il mio aiuto.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
Grida di giubilo e di vittoria
nelle tende dei giusti:
la destra del Signore ha fatto prodezze,
la destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.
Il Signore mi ha castigato duramente,
ma non mi ha consegnato alla morte».
O ancora il Sal 65 (66), 16, quando afferma:
«Narrerò quanto per me ha fatto [il Signore]».
Anche i Padri della Chiesa, quando intendono fornire “prove” della verità della fede, non si rifanno solo alla Scrittura, ma chiamano in causa la vita dell’uomo che è cambiata[1].
È la vita del credente stesso ad essere la prova dell’opera di Dio: è il Signore che lo ha chiamato, ha convertito il suo cuore, lo ha reso capace di vita nuova, in maniera tale che egli è persuaso che ciò non avrebbe mai potuto essere senza l’intervento di Dio.
Tale opera è già quella della creazione, come afferma Balthasar quando dice con espressione di una profondità sconvolgente:
«Cerchi una prova, e sei tu stesso la prova»[2].
Ma ciò è ancora più vero nell’opera di salvezza quando ognuno di noi diventa “creatura nuova” senza averlo minimamente immaginato prima di diventarlo[3].
Anche il contrario lo prova. È segno e prova della verità della fede che il peccato indicato da Dio conduca alla morte e ad una menomazione dell’uomo. Avviene nel peccare esattamente ciò che il Signore ha indicato: c’è sempre la morte – anche se parziale - ogni volta che c’è il peccato! Anche questo è segno che indica la verità di Dio.
Insomma l’io del credente stesso è segno della verità di Cristo e del Padre suo, è segno di credibilità.
La teologia fondamentale non si volge solo alla storicità di Cristo, alla verità dei Vangeli e alla sua storia, ma anche presenta la vita del credente stesso, quando egli riconosce che la fede è stata operata proprio da Dio stesso, in maniera sorprendente e inaspettata.
E perché ciò non diventi soggettivismo, la credibilità passa prima ancora tramite la verità della storia dei santi e dei mariti. Il credente si rende conto che nessuna forza umana, da sola e senza la grazia, avrebbe potuto far diventare così come sono stati nella storia Benedetto e Agostino, Francesco d’Assisi e Chiara, Tommaso d’Aquino e Ildegarda, Ignazio di Loyola, Filippo Neri e Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux e i suoi genitori, fratel Carlo de Foucauld e Madeleine Delbrel, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
E ciò è altrettanto vero dei martiri. I martiri sono segno e prova: solo Lui poteva fare in loro ciò che essi hanno vissuto.
Da Pietro e Paolo ai Protomartiri Romani, a Agnese e Cecilia, a Lorenzo e Sisto, ai martiri sotto l’Islam, ai martiri del Giappone o dell’Uganda e così via.
Si noti bene: non si tratta tanto di credere “nella” fede degli altri[4]. No, qui la questione è più radicale e profonda: si tratta di “vedere” l’opera di Dio da lui compiuta negli altri, in maniera tale da mostrare che essi stessi non sarebbero stati in grado di essere ciò che sono stati.
In questo senso è assolutamente vero che l’opera di Dio non si arresta con l’Antico testamento e con la venuta di Cristo. La Chiesa è esattamente e propriamente la continuazione dell’opera di Dio già operante nell’antico Israele. In essa si vede l’opera di Dio esattamente - e anzi più profondamente - che nei racconti biblici veterotestamentari.
Se essi possono essere messi storicamente in dubbio in alcuni loro eventi, non così della vita di santità e dell’accettazione del martirio di tanti. La vita dei santi e dei martiri è ancora più convincente dell’opera di Dio realizzatasi nell’antica alleanza e attestata nei racconti veterotestamentari.
In questo senso anche adesso noi “vediamo” l’opera di Dio e non solo la crediamo.
E la vediamo, come ha insegnato Boccaccio, anche nel cammino della Chiesa che prosegue nonostante il peccato umano: la Chiesa continua ad esistere non solo per la santità degli uomini, ma anche nella loro deficienza che fa apparire ancor più la provvidenza che la guida ben al di là delle forze umane (cfr. su questo Il peccato nella chiesa motivo del diventare cristiani nel Decamerone: la seconda novella della prima giornata di Giovanni Boccaccio).
[1] Solo per citare uno degli infiniti esempi, cfr. Giovanni Crisostomo che dice: «I Giudei videro dei miracoli. Anche tu ne vedrai di maggiori e di più famosi di quelli che essi videro all’uscita dall’Egitto. Tu non hai visto il faraone sommerso con il suo esercito, ma hai visto il diavolo affondare con le sue schiere. I Giudei attraversarono il mare, tu hai sorpassato la morte. Essi furono liberati dagli Egiziani, tu dai demoni. Essi lasciarono una schiavitù barbara, tu la schiavitù molto più triste del peccato» (dalle «Catechesi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo, Catech. 3, 24-27; SC 50 bis, 165-167).
[2] Hans Urs von Balthasar, Il cuore del mondo, Casale Monferrato, Piemme, 1994, p. 17.
[3] Nella mia stessa vita, chi avrebbe mai immaginato la “fioritura” al tempo del campo di Ollomont del 1978: quam mutatus ab illo, cioè dal giovane precedente.
[4] Nel film di Bergman, Il settimo sigillo, una delle domande provocatorie e quasi accusatorie del protagonista che cerca una prova della fede è: «Perché debbo credere nella fede degli altri?».