«Per quanto dicano di essere democratici, i giornali non si occupano che delle minoranze». Breve nota di Andrea Lonardo su di un brano di G.K. Chesterton sul giornalismo e sull’esibizione del male nei media
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Educazione e media.
Il Centro culturale Gli scritti (13/2/2024)
In La sfera e la croce G.K. Chesterton afferma con la sua abituale acutezza:
«Una delle grandi debolezze del giornalismo, che riflette comunque la nostra esistenza moderna, è che un’immagine o un fatto devono essere composti solamente da eccezioni.
Ad esempio, annunciamo con squilli di tromba sui manifesti che un uomo è caduto da un’impalcatura, ma non facciamo altrettanto se un uomo non è caduto da un’impalcatura.
Eppure quest’ultimo fatto è fondamentalmente più eccitante, perché ci segnala che questa torre viva, ricca di terrore e di mistero - l’uomo - è ancora in giro sulla terra. Che l’uomo non sia caduto da un’impalcatura è realmente più sensazionale ed è anche qualche migliaio di volte più frequente.
Ma non ci si può ragionevolmente aspettare dal giornalismo che insista nello scrivere di miracoli permanenti.
Non si può pretendere dagli occupatissimi redattori dei giornali di mettere sulle loro locandine titoli come “Il signor Wilkinson è ancora illeso”, oppure “Il signor Jones, di Worthing, non è ancora morto”.
Non possiamo annunciare la felicità di tutta l’umanità. Non possiamo descrivere tutte le forchette che non sono state rubate, o tutti i matrimoni che non si sono perdutamente sciolti.
Da questo consegue che il quadro completo che pretendono di darci della vita è necessariamente falso, poiché essi sono in grado di presentarci solo l’insolito. Per quanto dicano di essere democratici, i giornali non si occupano che delle minoranze» (da G.K. Chesterton, The Ball and the Cross).
La genialità di questa riflessione è sconvolgente e mostra la parzialità di qualsivoglia mezzo di informazione che non sia attento al bene che è così diffuso.
Ricordo un passaggio geniale di un giornalista che, offrendo la sua testimonianza ad un’enorme gruppo di giovani radunato nella Basilica di San Francesco ad Assisi per uno degli incontri di Giovani verso Assisi, così spiegava loro:
«Il male è molto più televisivo del bene. È più appariscente, perché è rapido. Se io distruggo le Torri Gemelle con attacchi suicidi, ciò avviene in pochissimi secondi e basta che qualcuno abbia ripreso l’attacco perché esso divenga virale e in un istante il video sia visto da miliardi di persone nel mondo. All’opposto, io non potrei mai titolare un articolo – e men che meno girare un video – affermando: “Oggi milioni di mamme e padri hanno amato i loro figli, li hanno accompagnati a scuola e hanno preparato il cibo per loro. Che notizia sarebbe? Nessuno la leggerebbe.
Ma se una mamma uccide il suo bambino, ecco che questa notizia finisce su tutti quotidiani e su tutti i social.
Il bene non è televisivo, perché è lento. Per educare un figlio ci vogliono venti anni, per ammazzarlo, basta un secondo. Il male è rapido e televisivo, ma non è più vero e frequente del bene».
Chi scrive o realizza video o rilancia notizie sui social decida allora da che parte stare, se da quella del bene o se da quella della continua diffamazione della creazione.