Tolkien: la vita, l’eredità e le celebrazioni a 50 anni dalla morte. L’autore del Signore degli Anelli, morto il 2 settembre 1973, è stato fedele a un ideale estetico che lo ha portato a individuare nel mito la via privilegiata per osservare la realtà. Senza ideologia, di Francesco Marzella
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Francesco Marzella pubblicato l’1/9/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Letteratura; cfr. in particolare la sezione J.R.R. Tolkien e lo studio J.R.R. Tolkien ed il cattolicesimo, a partire dal suo epistolario. Il cristianesimo come chiave interpretativa de Il Signore degli Anelli, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2024)
Cinquant’anni fa, il 2 settembre 1973, moriva nella città costiera di Bournemouth, nel Dorset, John Ronald Reuel Tolkien. Tanto si è detto e scritto sull'autore del Signore degli Anelli, il geniale creatore dell’universo di Arda, ma oggi si può forse ricordare Tolkien semplicemente e prima di tutto come un uomo profondamente fedele a un ideale estetico che lo ha portato a individuare nel mito la via poetica privilegiata per osservare la realtà in maniera più autentica e piena.
La sub-creazione di mondi fantastici come istinto innato dell’uomo, che Tolkien ha assecondato rimanendo perfettamente refrattario alle mode culturali e indifferente alle critiche mosse alle sue opere quando era ancora in vita. L’accusa di escapismo non fu rispedita al mittente: piuttosto, fu trasformata in una medaglia al valore, con la celeberrima immagine della fuga dalle prigioni di un’esistenza vissuta tutta in superficie.
E questa tensione estetizzante, ben ancorata, però, alla complessità del reale, fa di Tolkien un sublime conoscitore dei pensieri che scuotono l’animo umano e un cantore della bellezza di cui l’uomo è capace e da cui è circondato, come emerge nei suoi romanzi e forse ancor di più dalle pagine del suo legendarium, a partire dal Silmarillion che ne è il frutto più maturo. In fondo alle lunghe liste di nomi, fra le righe delle cronache scandite dal ritmo regolare tipico degli annali – scritte in uno stile asciutto, solenne, quasi ieratico –, nelle storie intrise di epos e tragedia di eroi straordinari e contradditori – su tutti, l’elfo Fingolfin – ritroviamo certamente l’uomo, con le sue ombre e la sua nostalgica ricerca della luce. Ed è proprio la centralità delle cose che sono “più permanenti e fondamentali” che permette all’opera di Tolkien di resistere brillantemente alla prova del tempo.
E del resto di tempo ne è passato a sufficienza per non aver dubbi, come pure ci ricorda questo importante anniversario, che non mancherà di essere celebrato con iniziative di prestigio. Sul fronte editoriale, c’è grande attesa per una nuova edizione delle lettere del Professore, che sarà pubblicata, come di consueto, dalla casa editrice HarperCollins in autunno. Non una semplice riedizione, visto che la raccolta, pubblicata per la prima volta nel 1981 da Christopher Tolkien, figlio ed esecutore letterario dello scrittore, e dal biografo Humphrey Carpenter, è stata rivista e ampliata con ben 150 lettere inedite, inizialmente scartate perché ritenute troppo lunghe, e promette di gettare nuova luce sul pensiero e l’opera del Professore.
Oggi e domani, invece, si terrà a Oxford – dove Tolkien insegnò Inglese Antico al Pembroke College e poi Letteratura Inglese al Merton College – il convegno intitolato Tolkien’s Words and Worlds, un consueto gioco paronomastico che ben riassume due concetti fondamentali della riflessione tolkieniana: la potenza evocativa della parola e la chiamata dell’uomo a farsi creatore di mondi e di storie che li raccontino. Un connubio inscindibile che il Professore propose tanto nella prassi didattica e nei contributi critici – in cui la linguistica andava di pari passo con la letteratura, e l’analisi storica non sostituiva affatto quella stilistica – quanto, ovviamente, nelle sue creazioni letterarie.
Si tratta, sorprendentemente dopo così tanti anni, del primo evento oxoniense su Tolkien di natura puramente accademica, che si pone, attraverso gli interventi di alcuni fra i più apprezzati esperti della materia, anche l’obiettivo di riflettere sulle diverse prospettive metodologiche e sugli approcci critici con cui ci si è accostati all’opera tolkieniana. Fra gli organizzatori anche l’italiano Giuseppe Pezzini, Fellow del Corpus Christi College ed editore del Journal of Inklings Studies.
Gode pure degli auspici oxoniensi la mostra "Tolkien. Uomo, professore, autore" ospitata dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna a Roma dal novembre 2023 al gennaio 2024. È stata curata da Oronzo Cilli, apprezzato biografo di Tolkien, e Alessandro Nicosia, e intende illustrare, fra le altre cose, anche l’interesse del Professore per l’Italia e per la lingua e la cultura italiana. Non sarà una celebrazione politica, anche se non è un mistero che sia stata fortemente voluta dal ministero della Cultura e presentata in occasione di un convegno di giovani di FdI.
Cosa che potrebbe riportare al paradosso tutto italiano (o quasi) per cui la Terra di Mezzo è divenuta il campo di battaglia di uno scontro ideologico. Di qui la destra di matrice missina, sempre in affannosa ricerca di riferimenti ed “eroi” culturali, che si è infatuata del Professore già a partire dagli anni '70. Un Tolkien tagliato su misura, s’intende: il conservatore, il tradizionalista, l’antimoderno. Dal versante opposto si è levata la schiera dei difensori della Terra di Mezzo, ben determinati a non lasciare in pasto proprio a quella destra l’anticapitalista, il pacifista e il proto-ecologista (e, a proposito di “difensori”, in questi giorni Bompiani pubblica una nuova edizione di Difendere la Terra di Mezzo di Wu Ming 4, una risposta all’approccio “simbolista” e “tradizionalista” a Tolkien). Letture parziali, che a colpi di etichette finiscono per ridurre Tolkien a un vessillo, facendone una figura divisiva.
In un fortunato saggio sul poema anglo-sassone Beowulf, il Professore mise in guardia sui rischi che comporta una certa insistenza analitica, invitando a gustare in primo luogo i racconti per quello che sono, lasciandosi “commuovere” dalla potenza del mito, che resta “qualcosa di vivo nel suo insieme e in tutte le sue parti, e che muore prima di poter essere dissezionato”. Non c’è miglior successo auspicabile per queste iniziative, allora, che quello di riuscire ad accantonare una volta per tutte pregiudizi e forzature interpretative per riportarci ancora all’ombra ristoratrice dell’“Albero dei Racconti”: ai miti, dunque, e al loro miglior fabbro.