Giuseppe Flavio, i luoghi romani da lui menzionati e le grandi figure del Nuovo Testamento, viste dai suoi occhi, da Erode il Grande ad Antipa, dal Battista a Gesù, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /12 /2023 - 21:38 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Sacra Scrittura e Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (11/12/2023)

Affresco di Apollo al Museo del Palatino. 
Nel Tempio di Apollo nel Palazzo imperiale a Roma
furono fatti re i figli di Erode, fra cui Antipa

Giuseppe Flavio nacque a Gerusalemme nel 37 o 38 d.C. da una importante famiglia sacerdotale. Era inoltre imparentato con la famiglia reale degli Asmonei.

Nel 64 giunse una prima volta a Roma, per difendere, presso l’imperatore Nerone, alcuni sacerdoti giudaici.

Fu poi protagonista, in Galilea, degli inizi della guerra giudaica contro i romani. È difficile comprendere fino in fondo la sua strategia di guerra. Infatti, nei suoi scritti che hanno anche la finalità apologetica di difendere il suo operato di quegli anni, Flavio Giuseppe dà interpretazioni diverse degli stessi fatti, a seconda delle accuse che gli sono rivolte.

Esiste, comunque, un accordo degli studiosi su alcune linee di massima: fu inviato, come stratega “moderato” a difendere sì la Galilea dal nuovo attacco romano, ma, insieme, ad opporsi agli Zeloti, molto più accesi di odio anti-romano ed ai “novatori” che si avviavano a diventare “briganti”, sotto la guida di Simone bar Giora, e dovette così tenere una posizione mediana all’interno dello stesso schieramento giudaico, prima di passare all’altro fronte, quello romano.

Nella Guerra Giudaica, scritta negli anni 75-79, Flavio Giuseppe riferisce degli avvenimenti bellici, soffermandosi soprattutto sul periodo che va dalla fine del 66 alla primavera del 67 d.C. Preso prigioniero da Vespasiano, dopo il lungo assedio di Iotpata, Giuseppe gli predisse la prossima elezione imperiale.

Liberato, seguì Tito, figlio di Vespasiano, nel seguito della Guerra e, alla fine di essa, divenuto cittadino romano, ebbe tutta una serie di privilegi fino a divenire “una sorta di portavoce ufficiale della dinastia dei Flavi” (così scrive G. Jossa, studioso di Flavio Giuseppe).

La “Guerra Giudaica” è appunto un’opera tesa a spiegare al pubblico romano i motivi dell’insurrezione giudaica, volta anche a dissuadere i Giudei da ogni futura ribellione, approntata, infine, a celebrare la grandezza bellica dei romani e a difendere il suo proprio operato, nel suo passaggio da capo dell’esercito dei rivoltosi a portavoce dell’esercito vincitore.

Alcuni anni dopo, nel 93-94, Flavio Giuseppe scrisse le Antichità giudaiche, raccontando l’intera storia del popolo ebraico, perché persone di cultura romana avessero modo di conoscere l’ebraismo, i suoi valori e la sua storia. La concluse con una Vita, negli anni 93-94, nuova difesa delle proprie scelte e del proprio operato.

Probabilmente una seconda edizione della Vita venne pubblicata dopo il 100, quando Giusto di Tiberiade scrisse una sua Storia della Guerra Giudaica, accusando Flavio Giuseppe di essere colpevole della sconfitta ebraica e infamandolo presso i romani.

1/ Erode il Grande in Giuseppe Flavio

Negli scritti di Giuseppe Flavio troviamo anzitutto menzione dell’elevazione a re di Erode il Grande proprio in Roma, nella Curia del Senato nei Fori Romani, ad opera dei triumviri Ottaviano e Antonio, quando Augusto non era ancora unico imperatore.

Erode giunse a Roma, avendo lasciato la famiglia a Masada, protetta dalle sue mura, in cerca di aiuto.

I due triumviri lo scelsero perché lo ritennero utile come longa manus del potere romano in Giudea e Galilea. Insieme a lui, salirono al Tempio della Triade Capitolina a sacrificare agli dèi di Roma.

Questo il testo:

«Antonio si fece avanti [nel Senato] e spiegò che anche ai fini della guerra contro i Parti era conveniente che Erode fosse re. Questa proposta fu accettata e votata da tutti [...] Terminata la riunione del senato, Antonio e Cesare [Ottaviano] uscirono avendo Erode in mezzo a loro, mentre i consoli precedevano gli altri magistrati, per andare a sacrificare ed esporre il decreto in Campidoglio. Così Antonio ospitò Erode nel suo primo giorno di regno, che egli ricevette nella centottantaquattresima olimpiade, sotto il consolato di Gneo Domizio Calvino, per la seconda volta, e di Gaio Asinio Pollione» (da Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 14, 385-389).

2/ Antipa e gli altri figli di Erode in Giuseppe Flavio

Alla morte di Erode il Grande si aprì la lotta fra i suoi figli per la successione. Ancora una volta è Giuseppe Flavio a raccontare che fu Roma a fare da arbitro. Tutti i figli vennero a Roma e Ottaviano, ormai da tempo imperatore, divise fra di loro il regno. Fu l’imperatore, insomma, a determinare, senza avere la minima idea che quei personaggi sarebbero poi stati decisivi negli eventi neotestamentari, che Erode Antipa divenisse re della Galilea e di alcune regioni al di là del Giordano e, conseguentemente decidesse della morte del Battista e intervenisse nel processo di Gesù in quanto questi era divenuto suo suddito, per decisione imperiale – e che Erode Filippo erigesse la città di Cesarea di Filippo dove poi Gesù stesso si recò. La spartizione del regno di Erode il Grande dinanzi ad Ottaviano Augusto avvenne al Tempio di Apollo, nel Palazzo Imperiale al Palatino. Così Giuseppe Flavio:

«Salpato Archelao alla volta di Roma… anche Antipa[tro] si mise in viaggio per sostenere le sue pretese al trono […]
In Roma si riversò su di lui la simpatia di tutti i parenti che non potevano sopportare Archelao… Cesare [Ottaviano Augusto] radunò il consiglio dei magistrati romani e dei suoi amici nel tempio di Apollo sul Palatino, che aveva fatto costruire egli stesso, adornandolo con splendida magnificenza [...]
Fra i presenti era anche Filippo, il fratello di Archelao, inviato amichevolmente da Varo col seguito di una scorta per due motivi: per appoggiare Archelao e per ottenere una parte del patrimonio di Erode nel caso che Cesare l’avesse ripartito fra tutti i suoi discendenti […]
Sentite le due parti, Cesare sciolse il consiglio, ma pochi giorni dopo assegnò la metà del regno ad Archelao col titolo di «etnarca», promettendogli di farlo re, qualora se ne fosse mostrato degno. L’altra metà la divise in due tetrarchie e le assegnò agli altri due figli di Erode: una a Filippo e l’altra ad Antipa che aveva conteso il trono ad Archelao. Antipa ottenne la Perea e la Galilea [...] mentre a Filippo furono attribuite la Batanea, la Traconitide, l’Auranitide [...] Dell’etnarchia di Archelao facevano parte l’Idumea, l’intera Giudea e la Samaria»
(da Giuseppe Flavio, La guerra giudaica 2,18-20; 80-98).

Da Archelao, la Giudea passò poi, sempre per decisione dell’imperatore, al diretto controllo di Roma, tramite la serie dei Prefetti che vennero poi, dopo Augusto, chiamati Procuratori – quindi anche a Ponzio Pilato.

3/ Giovanni Battista in Giuseppe Flavio

Nelle “Antichità giudaiche” troviamo riferimenti importanti a ciò che è narrato nel Nuovo Testamento. Giuseppe Flavio ci descrive la vicenda di Giovanni Battista con queste parole (le parole fra parentesi quadre, che aiutano a contestualizzare il brano, appartengono al commento del biblista Romano Penna ai testi flaviani):

Nel frattempo vennero in conflitto Areta, re di Petra, ed Erode [Antipa]. Il tetrarca Erode aveva sposato la figlia di Areta ed era unito a lei già da molto tempo. In procinto di partire per Roma, egli prese alloggio da Erode [Filippo, nominato in Mc 6,17], suo fratello, essendo di diversa madre; infatti questo Erode era nato dalla figlia del sommo sacerdote Simone.
Innamoratosi di Erodiade, sua moglie, che era figlia del loro fratello Aristobulo e sorella di Agrippa il Grande [=Erode Agrippa I, nominato in At 12], cominciò impudentemente a parlarle di matrimonio.
Avendo ella accettato, convennero che lei si sarebbe trasferita a casa di lui, appena fosse tornato da Roma. Nei patti c’era che egli doveva ripudiare la figlia del re Areta. Trovatisi d’accordo su queste cose, egli s’imbarcò per Roma.
Al ritorno, dopo aver sbrigato le sue faccende a Roma, sua moglie, venuta a conoscenza dei contatti con Erodiade e prima ancora di informarlo che sapeva ogni cosa, chiese di essere inviata a Macheronte, che era ai confini dei domini di Areta e di Erode, senza dare alcuna spiegazione delle sue intenzioni. Ed Erode la lasciò andare, senza sospettare cosa la donna tramasse. Ma questa aveva già mandato dei messaggeri a Macheronte, che allora era soggetto a suo padre, in modo che il governatore [della fortezza] potesse preparare tutto per il viaggio.
Appena giunta, ella partì per l’Arabia, pensando i vari governatori al trasporto, finché giunse velocemente dal padre e gli rivelò il progetto di Erode. Quegli [=Areta] fece di ciò un motivo di inimicizia, in aggiunta alla questione dei confini nella regione della Gabalitide.
Raccolte truppe da ambedue le parti in vista della guerra, designarono dei comandanti invece di prendere essi stessi il comando. Data battaglia, l’intero esercito di Erode fu distrutto, in seguito al tradimento di alcuni rifugiati, che provenivano dalla tetrarchia di Filippo e si erano uniti alle forze di Erode.
Erode scrisse queste cose a Tiberio. Questi, adiratosi perché Areta aveva cominciato le ostilità, scrisse a Vitellio [Legato in Siria negli anni 35-37: cfr. Tacito, Ann 6, 32] di dichiarargli guerra e di condurre a lui Areta in catene, se l’avesse catturato vivo, o di mandargli la testa, se fosse stato ucciso. Queste cose Tiberio ordinò al governatore di Siria.
Ma ad alcuni giudei sembrò che l’esercito di Erode fosse stato distrutto da Dio, e del tutto giustamente, per punire il suo trattamento di Giovanni soprannominato “battista”.
Erode, infatti, aveva ucciso quest’uomo buono, che esortava i giudei a condurre una vita virtuosa e a praticare la giustizia vicendevole e la pietà verso Dio, invitandoli ad accostarsi insieme al battesimo.
In ciò, infatti, il battesimo doveva risultare secondo lui accetto [a Dio]: non come richiesta di perdono per eventuali peccati commessi, ma come consacrazione del corpo, poiché l’anima era già tutta purificata con la pratica della giustizia.
Ma quando altri si unirono alla folla, poiché erano cresciuti in grandissimo numero al sentire le sue parole, Erode cominciò a temere che l’effetto di una tale eloquenza sugli uomini portasse a qualche sollevazione, dato che sembrava che essi facessero qualunque cosa per decisione di lui.
Ritenne perciò molto meglio prendere l’iniziativa e sbarazzarsene, prima che da parte sue si provocasse qualche subbuglio, piuttosto che, creatasi una sollevazione e trovandosi in un brutto affare, doversene poi pentire.
Perciò [Giovanni], per il sospetto di Erode, fu inviato in catene a Macheronte, la fortezza di cui abbiamo già parlato, e là fu ucciso.
Ma l’opinione dei giudei fu che la rovina dell’esercito venne da Dio, che volle punire Erode per averlo condannato”
(da Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 18, 109-119).

È innanzitutto da rilevare come solo Giuseppe Flavio faccia conoscere degli aspetti della storia di Erode Antipa non descritti dalle fonti evangeliche. Si viene così a sapere che era sposato con la figlia di Areta IV, re dei Nabatei, che regnò dal 9 a.C. al 40 d.C., avendo come capitale Petra - è il periodo del massimo splendore di Petra, quello nabateo; il predecessore di Areta IV è Obodas, colui che fece erigere la famosa Khazneh, il “Tesoro”, all’ingresso della città.

Il dominio di Areta si estendeva fino a Damasco (anche se, forse, non in maniera diretta) ed è da lui che l’apostolo Paolo fuggì, facendosi calare in una cesta dalle mura di Damasco (cfr. 2Cor 11, 32-33 e At 9, 23-25).

Il testo di Flavio Giuseppe conferma le nozze di Erode Antipa con la cognata (e nipote) Erodiade, che già aveva una figlia, Salomé (Ant. Giud. 18, 136 ss.). Conferma altresì il grandissimo seguito di popolo che aveva il Battista.

La motivazione che Giuseppe Flavio dà dell’uccisione di Giovanni è, invece, quella della paura di una rivolta, proprio a motivo del successo della sua predicazione.

Questa affermazione non deve essere preferita necessariamente alla motivazione evangelica del rifiuto del Battista di approvare le seconde nozze di Erode fino alla pubblica condanna di esse.

Entrambe le motivazioni, quella dello storico Flavio Giuseppe e quella neotestamentaria, potrebbero aver indotto, insieme, alla decisione sulla condanna, presa da Erode.

Infine, il testo flaviano sembra sottovalutare la motivazione del battesimo di Giovanni, inteso solo come penitenza per il perdono dei peccati. Bisogna però considerare che Giuseppe Flavio era di discendenza asmoneo-sacerdotale e potrebbe aver voluto riservare all’efficacia dei sacrifici del Tempio il potere del perdono.

4/ Gesù in Giuseppe Flavio

Il testo greco di Giuseppe Flavio che ci è pervenuto, appoggiato dalla citazione che fa di esso Eusebio di Cesarea che sembrerebbe a prima vista confermarlo, conserva un breve passo su Gesù:

«Verso questo tempo visse Gesù, uomo saggio, se pur conviene chiamarlo uomo; infatti egli compiva opere straordinarie, ammaestrava gli uomini che con gioia accolgono la verità, e convinse molti giudei e greci. Egli era il Cristo. E dopo che Pilato, dietro accusa dei maggiori responsabili del nostro popolo, lo condannò alla croce, non vennero meno coloro che fin dall'inizio lo amarono. Infatti apparve loro il terzo giorno di nuovo vivo, avendo i divini profeti detto queste cose su di lui e moltissime altre meraviglie. E ancora fino ad oggi non è scomparsa la tribù dei cristiani che da lui prende nome» (da Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche 18, 63-64).

Il passo è, però, giustamente sempre apparso sospetto agli studiosi. Infatti, già Origene precisava che Giuseppe Flavio non era certamente cristiano e che non credeva alla messianicità di Gesù.

Nel 1971 è stata pubblicata dallo studioso israeliano S. Pinès una versione araba, risalente al X secolo, della “Storia universale” di Agapio, vescovo di Hierapolis in Siria, che citando lo stesso brano flaviano, così mostra di conoscerlo:

«In quel tempo ci fu un uomo saggio che era chiamato Gesù. La sua condotta era buona ed (egli) era noto per essere virtuoso. E molti fra i giudei e fra le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò ad essere crocifisso e a morire. Ma quelli che erano diventati suoi discepoli non abbandonarono il suo discepolato. Essi raccontarono che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo; forse, perciò, era il Messia, del quale i profeti hanno raccontato meraviglie».

Questo testo è, probabilmente, molto simile al tenore originario del passo come uscì dalla “penna” di Flavio Giuseppe ed il testo che ci è giunto in greco deve ritenersi interpolato da un autore cristiano e non della mano diretta dell'autore.

In Giuseppe Flavio si raccontano molti altri episodi di personaggi citati nel Nuovo Testamento – si pensi solo a Ponzio Pilato – ma tali eventi sono più noti e questo breve articolo si è soffermato solo sugli episodi meno noti.

5/ Giacomo il Minore in Flavio Giuseppe

Del martirio di Giacomo il Minore abbiamo notizia, oltre che in Flavio Giuseppe, anche in Egesippo, autore cristiano del II secolo, del quale Eusebio di Cesarea ci conserva un frammento che afferma che Giacomo il Minore fu prima precipitato dal pinnacolo del Tempio, poi lapidato ed infine finito con un bastone.

Giacomo il Minore è chiamato nel NT ed anche in Flavio Giuseppe il “fratello del Signore”, da non confondere sicuramente con Giacomo il Maggiore, l’apostolo fratello di Giovanni e, nemmeno, probabilmente, con Giacomo di Alfeo, altro apostolo.

L’espressione “fratello” è interpretata nella Chiesa ortodossa (a partire da alcuni testi apocrifi) come riferimento ad un vero fratello di Gesù, nato da un primo matrimonio di Giuseppe rimasto poi vedovo e risposatosi con Maria.

Nella Chiesa Cattolica, a partire dalla frequenza con cui i parenti di primo grado vengono definiti “fratelli” in ambiente biblico (così, ad esempio, dei cugini Abramo e Lot, nella Genesi), viene invece più comunemente interpretata come riferimento ad un parente stretto del Signore.

Dopo la partenza di Pietro da Gerusalemme (At 12, 17) Giacomo il Minore vi esercitò la presidenza della comunità gerosolimitana, fino al suo martirio, avvenuto nel 62 d.C.

Di questa morte dà appunto testimonianza Flavio Giuseppe, raccontando come il sommo sacerdote Anano approfittò della vacanza di autorità romana tra la morte di Festo e l’arrivo di Albino, per poter eliminare Giacomo:

«Venuto a sapere della morte di Festo, Cesare [Nerone] mandò in Giudea come procuratore Albino. Il re [=Erode Agrippa II] depose Giuseppe dal sommo sacerdozio e ne affidò la successione al figlio di Anano, anch’egli chiamato Anano. Dicono che Anano il Vecchio [=lo Annas dei vangeli, suocero di Caifa] sia stato sommamente fortunato; infatti egli ebbe cinque figli e tutti divennero sommi sacerdoti di Dio, dopo che egli stesso per primo occupò questo ufficio per lungo tempo: cosa che non capitò mai a nessuno dei nostri sommi sacerdoti.
Anano il giovane, di cui abbiamo detto che ottenne il sommo sacerdozio, era di carattere avventato e insolitamente audace; faceva parte del gruppo dei sadducei, i quali, come abbiamo già mostrato, quando siedono in giudizio sono sconsiderati più di tutti gli altri giudei.
Essendo dunque di tal fatta, Anano, pensando di avere dalla sua un momento favorevole, dato che Festo era morto e Albino era ancora in viaggio, fece radunare il sinedrio per un giudizio, conducendo davanti ad esso il fratello di Gesù detto Cristo, chiamato Giacomo, ed alcuni altri, accusandoli di trasgressione della Legge e condannandoli ad essere lapidati
» (da Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche 20, 197-203).

L’epistola neotestamentaria di Giacomo si presenta come opera di Giacomo il Minore.

6/ I luoghi della residenza romana di Giuseppe Flavio

È ovvio che è possibile immaginare Giuseppe Flavio in ognuno dei luoghi dove transitarono e abitarono i diversi imperatori Flavi in Roma.

Nell’Autobiografia queste parole lasciano intendere l’intimità che Giuseppe Flavio ebbe con la famiglia imperiale nell’urbe:

«Quando arrivammo a Roma, ricevetti molte attenzioni da parte di Vespasiano; mi dette infatti alloggio nella casa che era stata sua prima di diventare imperatore, mi onorò della cittadinanza Romana, mi dette uno stipendio in denaro e continuò a onorarmi fino al passaggio da questa vita, senza mai venir meno alla sua benevolenza verso di me; il che mi arrecò pericolo a causa dell’invidia. […]
Da parte degli Imperatori la mia considerazione è rimasta eguale. Morto infatti Vespasiano, Tito, succedutogli all’Impero, mi conservò lo stesso onore del padre e, pur essendo io stato spesso accusato, non vi prestò fede.
Succeduto a Tito, Domiziano accrebbe ancora gli onori nei miei confronti. Punì infatti i Giudei che mi avevano accusato e in particolare ordinò di punire uno schiavo eunuco, pedagogo di mio figlio, che mi aveva accusato e la moglie di Cesare, Domizia, continuò a farmi molti benefici»
(da Giuseppe Flavio, Autobiografia, 423-429).

Sia il Contra Apione. In difesa degli ebrei, sia l’Autobiografia, si rivolgono ad un tal “illustre e potente Epafrodito” che si ritiene possa essere identificato o con un liberto di Nerone che ebbe grande autorità in Roma e che venne fatto poi uccidere da Domiziano nel 95 d.C. o con un grammatico di Chersonea che portò lo stesso nome, studioso dei poemi omerici che ebbe nell’urbe una grande biblioteca e che era ancora vivo certamente nel 95 e forse fino ancora al 98 d.C. – la cosa è discussa dagli storici (cfr. su questo Flavio Giuseppe, In difesa degli ebrei (contro Apione), F. Calabi (a cura di), Venezia, Marsilio, 1993, p. 243 in nota.

Per una localizzazione più precisa è possibile ipotizzare che la residenza originaria di Vespasiano fosse quella poi divenuta Tempio della Gens Flavia che recenti ricerche (cfr. E. La Rocca, Il Templum Gentis Flaviae, in F. Coarelli, Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi, Milano, Electa, 2009, pp. 224-233) portano a localizzare, tramite resti rinvenuti sotto le Terme di Diocleziano, tra l’Aula ottagona e l’odierna chiesa di San Bernardo alle Terme.

Il Tempio sarebbe stato eliminato in occasione della costruzione del complesso termale che ne avrebbe conservato solo l’edificio centrale. Ne sarebbero testimoni la testa colossale di Tito, oggi al Museo archeologico nazionale di Napoli, rinvenuta nelle vicinanze (cfr. E. La Rocca, Ritratto colossale di Tito, in F. Coarelli, Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi, Milano, Electa, 2009, pp. 496-497) e i frammenti di rilievi del cosiddetto “Dono Hartwig”, rinvenuti durante la costruzione dei portici dell’attuale piazza della Repubblica che ripetono la pianta della grande esedra delle terme di Diocleziano (cfr. su questo R. Paris, Sculture dal Templum Gentis Flaviae, in F. Coarelli, Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi, Milano, Electa, 2009, pp. 460-461).

Una diversa ubicazione dell’originaria residenza dei Flavi era stata precedentemente ipotizzata nei pressi dell’attuale Caserma dei Corazzieri, lungo via XX Settembre, dove, oltre a resti delle Mura Serviane e a un grande podio, venne ritrovato un ninfeo che si propose facesse parte della casa di Flavio Sabino, fratello dell’imperatore Vespasiano, a motivo di una fistula che reca il suo nome ritrovata nelle vicinanze – il podio avrebbe potuto essere parte, allora, del Tempio della Gens Flavia.

Ma potrebbe anche essere che la residenza di cui parla lo stesso Giuseppe Flavio fosse una precedente dimora di Vespasiano da non identificare con la domus che venne poi trasformato in Tempio dinastico.