«Eliminate tutte le Scritture, che nella notte di questo secolo sono state accese per noi come lucerne, venuti meno anche gli stessi uomini di Dio che ne furono i ministri, che cosa resterà?». Il vero senso della Sacra Scrittura e della Chiesa in relazione alla visione di Dio in un meraviglioso testo di sant’Agostino, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Sacra Scrittura, Dei Verbum e Esegesi odierna e patristica.
Il Centro culturale Gli scritti (11/12/2023)
Verrà un giorno in «cui saranno eliminate tutte le Scritture, che nella notte di questo secolo venivano accese per noi come lucerne, perché non restassimo nelle tenebre». In quel giorno «verranno meno anche gli stessi uomini di Dio che ne furono i ministri, perché anch’essi vedranno con noi quella luce di verità in tutta la sua chiarezza» e saranno insomma «messi da parte insomma tutti questi mezzi sussidiari».
Incredibile è il coraggio che ha Agostino, proprio in chiusura del suo commento a Giovanni, proprio in conclusione del suo servizio della Scrittura come ministro, di dichiarare che né la Scrittura, né il proprio commento ad essa, sono il fine della vita.
In altre religioni, il Libro è eterno e non avrà fine, è tutto ed è la pienezza. La Parola di Dio, in esse, viene cosificata e il Libro eretto a luogo della presenza permanente, prima della creazione e al termine dei tempi, della rivelazione stessa di Dio.
Non così nel cristianesimo dove la domanda è che cosa vedremo, cosa contempleremo, in comunione con chi saremo.
Così, infatti, domanda Agostino nella stessa pagina: «Che cosa vedremo? Di che cosa si pascerà la nostra mente? Di che cosa si delizierà la nostra vista? Da dove verrà quella gioia che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore d’uomo? (cfr. 1 Cor 2, 9)».
La sua risposta è netta, così come lo è la sua domanda.
«Verrai alla sorgente, da cui ti sono giunte poche stille di rugiada. Vedrai palesemente quella luce, di cui solo un raggio, per vie indirette e oblique, ha raggiunto il tuo cuore, ancora avvolto dalle tenebre e che ha ancora bisogno di purificazione. Allora potrai vederla quella luce e sostenerne il fulgore».
Ecco la visione sapientemente cristiana a cui ha attinto Dei Verbum. La rivelazione di Dio è la “sorgente”, è la “fonte”, non la Scrittura e nemmeno la Tradizione. Esse non sono fonti, ma sono rivoli della Parola di Dio piena e definitiva che è il Cristo stesso.
Mai la tradizione patristica avrebbe chiamato la Scrittura “Parola di Dio”, non per diffidenza verso di essa, ma per la chiarissima consapevolezza che era il Figlio stesso la Parola ed era la rivelazione tutta intera a compiersi in Lui.
La Scrittura diviene così via indiretta ed obliqua, perché mai deve dimenticare di rimandare alla vera fonte, alla vera sorgente, alla Parola che è Cristo stesso, da cui essa dipende e da cui è illuminata.
Per questo, alla fine, la Scrittura non servirà più a “niente”, e nemmeno la Chiesa con i suoi ministri, perché non avranno più quel ruolo di mediazione: alla parousia, tutti saranno dinanzi all’unico mediatore, il Cristo Gesù, e saranno pienamente abitati dallo Spirito che fa entrare nella piena comunione con il Padre.
Agostino può allora serenamente chiudere la sua predicazione sul Vangelo di Giovanni con queste parole:
«Ecco che io sto per deporre questo libro e voi per tornarvene ciascuno a casa sua. Ci siamo trovati assai bene sotto questa luce comune, ne abbiamo davvero gioito, ne abbiamo davvero esultato: ma, mentre ci separiamo gli uni dagli altri, badiamo bene a non allontanarci da lui». Da lui, il Cristo, non semplicemente dal libro che di lui parla.
Questo il brano finale del commento a Giovanni di Agostino:
Dai «Trattati su Giovanni» di sant’Agostino, vescovo (Tratt. 35, 8-9; CCL 36, 321-323)
A paragone degli infedeli, noi cristiani siamo ormai luce. Perciò dice l’Apostolo: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore; comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5, 8). E altrove disse: «La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno» (Rm 13, 12-13).
Ma poiché, in confronto di quella luce alla quale stiamo per giungere, anche il giorno in cui ci troviamo è quasi notte, ascoltiamo l’apostolo Pietro. Egli ci dice che a Cristo Signore dalla divina maestà fu rivolta questa parola: «Tu sei il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Questa voce, prosegue, noi l’abbiamo udita scendere dal cielo, mentre eravamo con lui sul santo monte» (2 Pt 1, 17-18). Noi però non c’eravamo sul monte e non abbiamo udito questa voce scendere dal cielo e perciò lo stesso Pietro soggiunge: Noi abbiamo una conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino non si levi nei vostri cuori (cfr. 2 Pt 1, 19).
Quando dunque verrà nostro Signore Gesù Cristo e, come dice l’apostolo Paolo, «metterà in luce i segreti delle tenebre, e manifesterà le intenzioni dei cuori: allora ciascuno avrà la sua lode da Dio» (1 Cor 4, 5).
Allora, essendo un tal giorno così luminoso, non saranno più necessarie le lucerne. Non ci verrà più letto il profeta, non si aprirà più il libro dell’Apostolo; non andremo più a cercare la testimonianza di Giovanni, non avremo più bisogno del vangelo stesso. Saranno perciò eliminate tutte le Scritture, che nella notte di questo secolo venivano accese per noi come lucerne, perché non restassimo nelle tenebre.
Eliminate tutte queste cose, giacché non avremo più bisogno della loro luce e, venuti meno anche gli stessi uomini di Dio che ne furono i ministri, perché anch’essi vedranno con noi quella luce di verità in tutta la sua chiarezza, messi da parte insomma tutti questi mezzi sussidiari, che cosa vedremo? Di che cosa si pascerà la nostra mente? Di che cosa si delizierà la nostra vista? Da dove verrà quella gioia che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore d’uomo? (cfr. 1 Cor 2, 9). Che cosa vedremo?
Vi scongiuro, amate con me, correte con me saldi nella fede: aneliamo alla patria del cielo, sospiriamo alla patria di lassù; consideriamoci quali semplici pellegrini quaggiù. Che vedremo allora? Ce lo dica ora il vangelo: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). Verrai alla sorgente, da cui ti sono giunte poche stille di rugiada. Vedrai palesemente quella luce, di cui solo un raggio, per vie indirette e oblique, ha raggiunto il tuo cuore, ancora avvolto dalle tenebre e che ha ancora bisogno di purificazione. Allora potrai vederla quella luce e sostenerne il fulgore.
«Carissimi, dice lo stesso san Giovanni, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2).
Mi accorgo che i vostri affetti si levano con me verso l’alto; ma «un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente dai molti pensieri» (Sap 9, 15). Ecco che io sto per deporre questo libro e voi per tornarvene ciascuno a casa sua. Ci siamo trovati assai bene sotto questa luce comune, ne abbiamo davvero gioito, ne abbiamo davvero esultato: ma, mentre ci separiamo gli uni dagli altri, badiamo bene a non allontanarci da lui.