1/ Elogio della lezione frontale. Il multimediale, le parole e il gesso, di Roberto Contu 2/ Ancora sulla lezione frontale, di Roberto Contu

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /11 /2023 - 22:57 pm | Permalink | Homepage
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1/ Elogio della lezione frontale. Il multimediale, le parole e il gesso, di Roberto Contu 

Riprendiamo dal blog La letteratura e noi un articolo di Roberto Contu pubblicato l’/8/2017. Avevamo già pubblicato sul nostro sito tale testo, ma ora lo riprendiamo insieme ad Ancora sulla lezione frontale, dello stesso autore. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi le sezioni Letteratura e Educazione e scuola.

Il Centro culturale Gli scritti (20/11/2023)

So utilizzare bene il pc

Lo so usare perché mi è sempre piaciuto farlo o semplicemente perché appartengo a una delle prime generazioni che l’ha usato sin dall’infanzia. A sette anni digitavo load/return su un Commodore 16 ma avevo già messo le mani su un Vic 20. A dieci anni iniziavo a scrivere linee di Basic con il Commodore 64. Arrivato al liceo mi sono fatto regalare un Amiga 2000 per la possibilità di fare programmazione e utilizzare Workbench e non solo giocarci a SWOS. Ho visto, utilizzato e smontato tutte le versioni di Windows: dal primo a Win 95 per passare al 97, dal 2000-XP-Vista-7-8 fino a Win 10. Ho sperimentato tante macchine, sono partito con un 286 e 20 mb di hard disk per arrivare a un 486 e un Monkey Island 2 che girasse fluido. Ho passato in rassegna i Pentium fino ad arrivare all’i7 con 1 tb di disco fisso che sto usando ora per scrivere queste parole. Abito la rete da sempre, ho iniziato a spedire mail dalla fine degli anni Novanta. Nel frattempo ho scoperto il mondo open source, Linux, ho imparato ad aprire Terminal ma conosco bene anche il mondo Apple. So montare e smontare file, creare archivi, database, gestire software e far funzionare al meglio gli hardware. Ho lavorato sugli ipertesti, so costruire un sito web, gestire un blog, abito quotidianamente il mondo social. Mi tengo aggiornato, sto di fronte a un monitor molte ore al giorno. Insomma posso dire di usare il pc bene. Non al livello di qualcuno che ora mi viene in mente, ma so utilizzare il pc bene. Da sempre un portatile collegato alla rete è a scuola con me, i miei alunni sono in rete con me, grazie alla rete ho conosciuto molti insegnanti eccezionali, in Italia e nel mondo, divenuti termini abituali di confronto per la mia prassi scolastica. Mi sono sempre interessato ai nuovi approcci didattici, possibili e immaginabili, che integrassero in modo intelligente passione per l’insegnamento, solidità degli obbiettivi e nuove tecnologie. Ho sempre cercato e continuo a cercare online tutto ciò che possa darmi sentore di una ulteriore possibilità, sfrutto le potenzialità dell’e-learning, comprendo l’essenziale patrimonio culturale del mondo dei videogiochi. Ovviamente sono un sostenitore dell’utilizzo felice del registro elettronico, benedico la comodità e l’infinito risparmio di tempo che consente. Con il pc integro senza problemi la lim sfruttandone le potenzialità, metto in condivisione i lavori, utilizzo mappe, linee del tempo e questionari completamente interattivi. Uso Moodle e tante altre piattaforme, cloud vari, organizzo abitualmente il lavoro quotidiano attraverso la classe virtuale che implemento con software di ogni tipo, dai più comuni (suite varie, Office, Prezi e simili) fino a quelli per l’elaborazione grafica (Gimp, Photoshop), video (Premiere Pro) e audio (Cubase, Pro tools, Reaper). Ma interessante o meno cosa sappia fare o non fare il sottoscritto con aggeggi di sorta, la premessa serve solo a introdurre ciò che potrebbe apparire, e forse lo è davvero, una provocazione. Tutto questo per affermare insomma che, nonostante il mio profilo sembrerebbe essere quello del cosiddetto docente 2.0/3.0/4.0/5.0 etc., continuo a considerare la lezione frontale come la pietra angolare su cui si fonda il mio mestiere di insegnante.

Per capire

Sì, proprio la lezione frontale, docente di fronte agli alunni, messi all’antica: l’uno in cattedra, gli altri seduti dietro i banchi a due, il libro o una fotocopia, nient’altro che voce e gessetto. Per scelta e aspirazione. Sebbene personalmente in grado di capire e mettere a sistema quanto di meglio le nuove tecnologie ma soprattutto le nuove metodologie possano offrire.

Al netto dei fiumi di parole spese negli ultimi anni sulla didattica innovativa. Consapevole di tutti i processi sommari di ogni grado a un sistema d’istruzione unidirezionale considerato obsoleto e improduttivo. Io so che, per quanto mi riguarda e per via del tutto induttiva, i risultati migliori a scuola li ho ottenuti e li ottengo tuttora con lezioni frontali.

Con una precisazione essenziale: a oggi, dopo diciassette anni di insegnamento, un dottorato e un impegno attivo nella ricerca letteraria e didattica, posso dire di saper fare lezione frontale, per come la intendo, solo su alcuni argomenti: quelli che conosco molto bene.

Porto alcuni esempi. Negli ultimi anni ho studiato a lungo alcuni autori della nostra letteratura moderna e contemporanea. Contestualmente ho insegnato in diverse quinte classi di istituti tecnici dove, ma tu guarda, ho fatto lezioni frontali ad esempio su Pasolini e Calvino, della durata anche di due ore, con un piccolo intervallo nel mezzo, senza problemi di cali di attenzione e con risultati ottimi alle verifiche.

Ho letto passi da Che cos’è questo golpe o L’antitesi operaia e gli alunni non si sono annoiati: ne sono testimoni gli insegnanti di sostegno presenti. Gli studenti hanno capito, sì, hanno capito lo snodo dei Settanta e la perdita di centro della riflessione sul reale di fine anni Cinquanta.

Ne hanno tratto beneficio all’Esame di Stato: sono testimoni i commissari esterni presenti alle tornate di esami. Alunni che studiavano Meccanica e Sistemi, Economia aziendale e Informatica.

Sempre in questi anni, ad esempio, ho dato da leggere a delle seconde Il sentiero dei nidi di ragno e Una questione privata e poi fatto lezioni frontali sul punto di vista dei personaggi attraverso il rapporto con le armi da fuoco: gli alunni non si sono annoiati e i risultati sono stati altrettanto confortanti, pur trattandosi di un contesto più complesso, quello del primo biennio.

Potrei fare altri esempi, su Petrarca o Manzoni, sulla seconda rivoluzione industriale o le due guerre mondiali per quanto concerne l’insegnamento della Storia, ma dovrebbe essere ormai chiaro dove voglio andare a parare: se l’insegnante è depositario di un’esperienza culturale compresa realmente e profondamente, la trasmissione di un tale tesoro non sarà mai troppo complicata.

Occorreranno i ferri del mestiere, che sono tanti e andranno conosciuti e gestiti, ma se l’esperienza del docente è vera, questa non potrà non diventare vera anche per gli alunni. È questo a mio giudizio il grado zero della trasmissione didattica: sentire e sperimentare che tutto ciò che si conosce realmente e seriamente passi e arrivi senza troppo faticare, quasi per osmosi verbale.

Sì, però

Ma allora, alla luce di quanto affermato, sarebbe possibile fare lezioni convincenti solo su argomenti su cui ci siamo laureati o addottorati? Certo che no, ed è qui che viene il bello o il brutto, a seconda di come la si voglia vedere.

Sono convinto che l’insegnante sia per definizione un essere che accetta di passare la vita a studiare ininterrottamente e in modo forsennato. È quello che ho sperimentato e che continuo a verificare ogni anno che passa, da diciassette che sono in cattedra, con un pizzico di timore di reggere alla lunga ai miei pomeriggi cinque giorni su sette, dalle tre alle sei chino sui libri, dopo le cinque ore mattutine di scuola.

Insegnando prevalentemente al triennio mi occupo di letteratura italiana dalle origini a oggi e della storia medievale fino a quella contemporanea. Ogni giorno mi trovo, oltre all’ordinario, nella necessità di studiare sempre più approfonditamente argomenti che continuamente mi sfuggono o che si complicano.

Non parlo delle strategie di come comunicarli, no, parlo dell’argomento in sé, delle tanto vituperate conoscenze che ogni anno si ridefiniscono anzitutto per me stesso. Per riportare tutto in classe? Certo che no. Per sapere mille per poter trasmettere dieci, questo sì.

Ogni anno che passa si amplia il ventaglio delle mie lezioni frontali che so arriveranno al traguardo. Ho in mente la mia personale lista di argomenti, autori e passi, per i quali so di avere bisogno giusto di un libro o di una fotocopia e una lavagna per portare a casa una lezione ben fatta: il nostro Novecento letterario ad esempio mi è sempre più semplice da trasmettere.

Ma ho in mente anche la mia personale lista nera di argomenti e autori rispetto ai quali so di aver bisogno di molti più strumenti per ottenere lo stesso risultato: quelle poche volte che ho dovuto insegnare storia antica ho vissuto veri e propri calvari didattici a fronte della mia preparazione meno qualificata. Del resto non è esperienza di ogni docente quella di conoscere e accrescere il numero delle proprie carte vincenti e dei propri argomenti a prova di classe, nonché quella di sanare i propri buchi formativi?

So bene che il mio traguardo ideale, magari a fine carriera, dovrebbe essere quello di potermi muovere con sicurezza in tutto il panorama curricolare delle mie discipline. Così bene da poter sostenere, nel mio caso, anche una riuscitissima lezione frontale sulla cultura sumerica.

Concludendo

Mi rendo conto di come il discorso sia semplificatorio e forzato, ma forse ciò è inevitabile al fine di suscitare un confronto. Del resto l’ho presentata come provocazione e a questo punto mi rendo conto che di questo si tratta.

Ho in mente le possibili obiezioni a una riduzione di questo tipo; occorrerebbe ad esempio specificare ed entrare nel merito di cosa significhi condurre con la parola e qualche colpo di gesso un’ora di lezione frontale. Occorrerebbe chiarire come la lezione frontale non implichi la passività, tantomeno verbale, dello studente e la sua esclusione dall’interazione con il docente.

Occorrerebbe affrontare il tema dell’autorevolezza del docente e della sua costruzione al fine di consentire la prassi comunque forzata dell’ascolto unidirezionale.

Concordo sul ritenere la pratica didattica migliore quella che integra in modo intelligente ogni risorsa spendibile in classe.

Ma – inutile nascondermi – mi interessa anzitutto porre la questione con una presa di posizione chiara: ribadire la centralità dell’insegnante e del suo bagaglio insostituibile di conoscenza.

Sì, la conoscenza, parola a quanto pare sempre più soggetta a un equivoco sottile, quasi fosse la conoscenza pietra d’inciampo nel percorso verso una formazione di tipo moderno, quella conoscenza che a mio giudizio resta invece alla base della trasmissione e della condivisione del sapere.

2/ Ancora sulla lezione frontale, di Roberto Contu 

Riprendiamo dal blog La letteratura e noi un articolo di Roberto Contu pubblicato il 6/11/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi le sezioni Letteratura e Educazione e scuola.

Il Centro culturale Gli scritti (20/11/2023)

Il racconto di una propria esperienza in classe, per intervenire nel discorso pubblico sulla scuola, è sempre un porsi in posizione debole.

Lo è perché si assume il rischio della parzialità del proprio particolare per dire dell’universale, perché vanno tenute a bada le insidie dell’individualismo (a partire dalla tentazione dei narcisismi), perché in fondo resterà sempre un’approssimazione dell’esperienza vissuta.

Ma per quanto vada dichiarato il limite di tale punto di vista, con la stessa onestà andrebbe detto quanto sia esperienza comune, nel tempo dei grandi proclami e delle grandi semplificazioni, il percepire da chi è dentro la classe l’irrealtà di troppi universali nel discorso pubblico sulla scuola; il verificare, pure nel limite dichiarato della propria esperienza, come la singola ora di lezione, quotidianamente, denunci la distanza spesso siderale tra quanto avviene e quanto avverrebbe, tra ciò che è e ciò che sembrerebbe, tra il discorso pubblico sulla scuola e le mattinate dentro la scuola.

Tra le questioni ad alta capienza simbolica, la lezione frontale resta una di quelle dove tale scollamento pare spesso assoluto. Alcune esperienze di questi primi mesi in classe (ma eccomi già nelle sabbie mobili del referto personale) mi hanno spinto alla condivisione del racconto, per tentare di mettere a fuoco una delle etichette più opache, appiccicate, usate a sproposito nel dibattito pubblico sulla scuola: la lezione frontale.

Affrontarsi

«Adesso mi ascolterete per un po’, una decina di minuti, forse venti. Foglio, penna, io scrivo sulla lavagna ogni tanto, ma ora ascolterete, per poi intervenire voi. Vi introdurrò l’idea di straniamento, di uno russo con il nome strano e poi leggeremo insieme le prime righe di Rosso Malpelo. Datemi fiducia, vedrete che ci riguarderà, si tratta dell’automatismo di certe percezioni. Io parlo e poi voi interverrete, iniziamo».

«Adesso mi ascolterete per un po’, una decina di minuti, forse venti. Foglio, penna, io scrivo sulla lavagna ogni tanto, ma ora ascolterete, per intervenire voi. Vi racconterò dell’incantesimo di Atlante, dell’Ecclesiaste e delle vanità, e poi leggeremo qualche ottava. Datemi fiducia, vedrete che ci riguarderà, si tratta delle illusioni che sono gabbie. Io parlo e poi voi interverrete, iniziamo».

«Adesso mi ascolterete per un po’, una decina di minuti, forse venti. Foglio, penna, io scrivo sulla lavagna ogni tanto, ma ora ascolterete, per poi intervenire voi. Vi dirò del carnevale, di uno che si chiama Bachtin, di che c’entra Cecco Angiolieri e poi leggeremo un sonetto di Dante che non vi aspettereste. Datemi fiducia, vedrete che ci riguarderà, si tratta di avvertire i contrari. Io parlo e poi voi interverrete, iniziamo».

«Adesso mi ascolterete per un po’»: una quinta, una quarta e una terza, tre argomenti avviati naturalmente in tre classi diverse, messi a sistema con la lezione frontale.  

Frontale dice della fronte, del guardarsi in faccia, ma dice anche dell’affrontarsi, dello scontrarsi, addirittura militarmente dell’attaccare e del difendere. Già questo scandalizzerebbe, chiuderebbe il discorso, a ragione di un luogo, la scuola, che chiamerebbe alla postura opposta.

Eppure, c’è un momento in classe in cui si sta legittimamente di fronte, il docente e la classe si fronteggiano, l’adulto sta di fronte all’adolescente.

Questo accade perché il docente apre una nuova porta, dopo essersi chiuso dietro quella della classe, una nuova porta attraverso la quale passano gli studenti che ascoltano, pensano e vedono, che sono traghettati nel nuovo, che sono costretti a muoversi nel nuovo, mentre ascoltano, pensano e vedono, per ritrovarsi poi in relazione, ma sul nuovo.

Un frangente, calibrato, organizzato, commisurato al contesto, in cui chiusa la porta della classe il docente dirà «ora ascoltatemi», prenderà un pennarello, si saprà conquistare l’attenzione di chi gli è davanti, metterà a disposizione del sistema classe di cui lui è parte il tempo, lo spazio, l’oggetto della conoscenza che lui solo preliminarmente può introdurre il quel contesto.

Perché serve una terra nuova dove muoversi, perché in quella terra nuova, nel primo momento ci si accede realmente solo grazie a chi c’è già stato, s’è preso la briga, da anni, di esplorarla, di capirla, di studiarla a fondo e incessantemente, ed è per questo la scelta più sensata decidere di andare dietro, seguire, fare memoria di un «allor si mosse, e io li tenni dietro», per muovere i primi passi adulti là dentro.

Senza infingimenti

Lo può fare lo studente, lo può fare la classe, loro devono aprire quella porta, si dirà; non è più il tempo dello stare in cattedra, si dirà; ma si annoiano, si dirà. Non è vero, stiamo esattamente e senza infingimenti muovendoci perché loro sappiano aprirla quella porta, perché poi non è la noia che ci spaventa, che anzi è anch’essa una delle esperienze che la scuola dovrebbe sapere rendere adulte.

Io dico invece, ribadendo la parzialità dell’osservatorio personale e quindi a fronte dell’esperienza avuta in questi venti anni in istituti professionali, nei tecnici e nei licei, che l’attacco a quel fantasma senza contorni che sarebbe la lezione frontale di cui si parla spesso nel discorso pubblico, sia uno dei grandi equivoci del nostro tempo, perché alla luce di una immaginazione spesso grottesca (il docente che per un’ora, monotono, reciterebbe il manuale), si va a minare l’assunzione della responsabilità educativa, che è la necessità preliminare della consegna del conoscere, del non indietreggiare mai su quel diritto al crescere dovuto alle ragazze e ai ragazzi, per mettere tutti in condizione da adulti di aprire l’ennesima porta.

Ma ciò che per le scienze dette dure, la fisica, la matematica, la chimica, parrebbe naturale – chi potrebbe portare in classe se non il docente e anzitutto frontalmente un teorema, un processo, una reazione – non lo sarebbe per chi conosce il mondo con le parole, con le idee, non lo sarebbe per lo straniamento verghiano, per l’allegoria del palazzo di Atlante, per la controcultura del Duecento.

Di fronte, di lato, dietro la classe

A riguardo, nel caso delle discipline umanistiche, e in quello specifico dell’insegnamento della letteratura, non sembrerebbe nemmeno sufficiente ribadire la naturalezza dell’esperienza di ogni giorno, per la quale chiunque sia in classe sa che la frontalità è anzitutto necessaria anche e proprio per mettersi poi di lato agli studenti quando, una volta preso possesso di una terra nuova, avverrà l’incontro sui testi, alunni e docente, in un dialogo fondato e quindi credibile, ma proprio per la responsabilità assunta dal docente di dire, «dobbiamo arrivare laggiù per essere pari, e lì discutere».

Tanto meno sembrerebbe sufficiente dire come proprio in virtù di ciò arrivi anche il momento in cui – ed è veramente uno dei motivi per continuare a rimanere a scuola – raggiunta quella terra, negoziati onestamente e fondatamente i suoi significati sulle conoscenze nuove che la abitano, arriverà anche il momento per il docente di mettersi dietro alla classe, libera a quel punto di farsi comunità intellettuale, interpretante, autonoma, sì, la classe come comunità ermeneutica, anche la mia classe dei meccatronici, del corso informatici, dei liceali di questa mattina.

Parrebbe oggi e invece naturale sancire che, dietro paraventi vuoti di vero contenuto (noia, dogma dell’innovazione, assolutizzazione del principio del piacere), il solo ipotizzare l’assunzione di responsabilità che l’avvio del processo educativo comporta attraverso la lezione frontale, sia resistenza al nuovo, mancanza dell’idea di futuro, abbandono della presa sulle nuove generazioni. Non è così per quanto ci riguarda, e forse oggi è il tempo di ridirlo, come quando si inizia la più bella delle lezioni.