[Alle origini della formazione della luna dopo una collisione planetaria] Tracce di Theia nel mantello terrestre. L’indizio è una presenza di ferro insolitamente elevata, di Federica Loiacono
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Federica Loiacono, pubblicato il 2/11/2023 sul sito MediaInaf (https://www.media.inaf.it/2023/11/02/theia-mantello-terrestre/). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Università e Fede e scienza.
Il Centro culturale Gli scritti (20/11/2023)
Ricostruzione artistica che mostra l’impatto fra Theia e la Terra
in formazione. Alcune parti del mantello di Theia potrebbero
essere penetrate nel mantello terrestre, accumulandosi
verso il nucleo del nostro pianeta. Crediti: Hernán Cañellas
Una delle teorie più accreditate sulla formazione della Luna ritiene che il nostro satellite sia stato generato durante una violenta collisione fra la Terra in formazione e un altro corpo celeste, denominato Theia, avente una stazza simile a quella di Marte.
L’evento sarebbe avvenuto circa quattro miliardi e mezzo di anni fa e, dall’agglomerarsi dei detriti sprigionati dall’impatto, sarebbe nata la nostra Luna. Le simulazioni di questo evento riproducono in maniera efficace il momento angolare del sistema Terra-Luna e le piccole dimensioni del nucleo lunare.
Tuttavia, evidenze dirette dell’esistenza di Theia attualmente latitano, ammantando questo corpo celeste di non poco mistero e relegando la teoria annessa al regno delle ipotesi.
Eppure, un’indicazione importante su questo misterioso pianeta potrebbe trovarsi sepolta qualche chilometro sotto i nostri piedi, ovvero nel mantello terrestre, quell’involucro che si estende per circa 2900 km fra la crosta e il nucleo.
Negli anni ’80 sono state infatti rinvenute due regioni anomale all’interno di questa struttura, aventi le dimensioni di due continenti, collocate al di sotto dell’Africa e dell’Oceano Pacifico. Esse si contraddistinguono per delle anomalie nella velocità di propagazione delle onde sismiche, che risultano più lente del previsto.
A questo corrisponderebbe un incremento della densità tra il 2 e il 3.5 per cento nelle zone interessate rispetto a quelle circostanti. Il tutto a 2900 km di profondità, ovvero nello strato più profondo del mantello, praticamente al confine con il nucleo del nostro pianeta.
Uno studio pubblicato ieri su Nature ritiene di aver scoperto la natura di queste due regioni. Facendo ricorso a delle simulazioni al computer, il team, guidato da Qian Yuan dell’Arizona State University e del California Institute of Technology, suggerisce che queste zone del mantello terrestre siano in realtà strati del mantello di Theia, rimasti imprigionati nella regione più bassa del mantello del nostro pianeta durante la collisione.
Si pensa che questi relitti fossero lunghi diverse decine di chilometri e che siano pian piano affondati nella regione più bassa del mantello, formando degli accumuli di materiale tuttora presenti al di sopra del nucleo terrestre. Le regioni si contraddistinguono per un insolito contenuto di ferro, più elevato rispetto alle regioni circostanti.
«Ho provato una sorta di ‘Eureka!’ quando ho realizzato che il corpo celeste ricco di ferro responsabile dell’impatto potesse essersi trasformato in questi rigonfiamenti del mantello», dice Yuan, rievocando un seminario sull’argomento e realizzando quanto pure la Luna sia insolitamente ricca di ferro, a differenza della Terra.
Queste regioni estremamente ferrose sarebbero dunque la diretta conseguenza dell’impatto tra la Terra in formazione e Theia. Poiché si ritiene che le collisioni fra pianeti siano un fenomeno piuttosto comune nelle ultime fasi di formazione dei sistemi planetari, è possibile che tali anomalie del mantello siano presenti anche in altri oggetti.
Alcuni sviluppi possibili di questo studio consisteranno nell’esaminare quanto il materiale proveniente da Theia abbia influenzato la vita geologica del nostro pianeta e macrostrutture come le placche, i continenti e i più antichi minerali. Questo lavoro aiuta a comprendere meglio la formazione della Terra e della Luna e fornisce elementi ulteriori a favore dell’impatto fra la proto-Terra e un altro corpo celeste durante la formazione del Sistema solare.
Per saperne di più:
Leggi su Nature l’articolo “Moon-forming impactor as a source of Earth’s basal mantle anomalies“, di Qian Yuan, Mingming Li, Steven J. Desch, Byeongkwan Ko, Hongping Deng, Edward J. Garnero, Travis S. J. Gabriel, Jacob A. Kegerreis, Yoshinori Miyazaki, Vincent Eke e Paul D. Asimow