[Teresa di Lisieux] Esortazione apostolica “C’est la confiance” di papa Francesco sulla fiducia nell’amore misericordioso di Dio in occasione del 150º anniversario della nascita di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo
Riprendiamo sul nostro sito l’Esortazione apostolica C’est la confiance di papa Francesco. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Maestri nello Spirito.
Il Centro culturale Gli scritti (29/10/2023)
1. « C’est la confiance et rien que la confiance qui doit nous conduire à l’Amour»: «È la fiducia e null’altro che la fiducia che deve condurci all’Amore!»[1].
2. Queste parole così incisive di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo dicono tutto, sintetizzano il genio della sua spiritualità e sarebbero sufficienti per giustificare il fatto che sia stata dichiarata Dottore della Chiesa. Soltanto la fiducia, “null’altro”, non c’è un’altra via da percorrere per essere condotti all’Amore che tutto dona. Con la fiducia, la sorgente della grazia trabocca nella nostra vita, il Vangelo si fa carne in noi e ci trasforma in canali di misericordia per i fratelli.
3. È la fiducia che ci sostiene ogni giorno e che ci manterrà in piedi davanti allo sguardo del Signore quando Egli ci chiamerà accanto a sé: «Alla sera di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote, perché non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere. Ogni nostra giustizia è imperfetta ai tuoi occhi. Voglio dunque rivestirmi della tua propria Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso»[2].
4. Teresina è una delle sante più conosciute e amate in tutto il mondo. Come succede con San Francesco di Assisi, è amata perfino da non cristiani e non credenti. È stata anche riconosciuta dall’UNESCO tra le figure più significative per l’umanità contemporanea[3]. Ci farà bene approfondire il suo messaggio commemorando il 150º anniversario della sua nascita, avvenuta ad Alençon il 2 gennaio 1873,e il centenario della sua beatificazione[4]. Ma non ho voluto pubblicare questa Esortazione in una di tali date, o nel giorno della sua memoria, perché il messaggio vada al di là delle ricorrenze e sia assunto come parte del tesoro spirituale della Chiesa. La data della pubblicazione, memoria di Santa Teresa d’Avila, vuole presentare Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo come frutto maturo della riforma del Carmelo e della spiritualità della grande Santa spagnola.
5. La sua vita terrena fu breve, appena ventiquattro anni, e semplice come qualunque altra, trascorsa prima in famiglia e poi nel Carmelo di Lisieux. La straordinaria carica di luce e di amore irradiata dalla sua persona si manifestò immediatamente dopo la sua morte, con la pubblicazione dei suoi scritti e con le innumerevoli grazie ottenute dai fedeli che la invocavano.
6. La Chiesa ha riconosciuto rapidamente il valore straordinario della sua testimonianza e l’originalità della sua spiritualità evangelica. Teresa incontrò Papa Leone XIII in occasione del pellegrinaggio a Roma nel 1887 e gli chiese il permesso di entrare nel Carmelo all’età di quindici anni. Poco dopo la sua morte, San Pio X si rese conto della sua enorme statura spirituale, tanto da affermare che sarebbe diventata la più grande Santa dei tempi moderni. Dichiarata venerabile nel 1921 da Benedetto XV, che elogiò le sue virtù focalizzandole nella “piccola via” dell’infanzia spirituale[5], fu beatificata cent’anni or sono e poi canonizzata il 17 maggio 1925 da Pio XI, il quale ringraziò il Signore per avergli permesso che Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo fosse «la prima beata da lui elevata agli onori degli altari e la prima santa da lui canonizzata»[6]. Lo stesso Papa la dichiarò patrona delle missioni nel 1927[7]. Fu annoverata tra le patrone di Francia nel 1944 dal Venerabile Pio XII[8], che in diverse occasioni approfondì il tema dell’infanzia spirituale[9]. San Paolo VI amava ricordare il proprio battesimo ricevuto il 30 settembre 1897, giorno della morte di Santa Teresina, nel cui centenario della nascita indirizzò al Vescovo di Bayeux e Lisieux uno scritto circa la sua dottrina[10]. Durante il suo primo viaggio apostolico in Francia, nel giugno 1980, San Giovanni Paolo II si recò alla basilica a lei dedicata, e nel 1997 la dichiarò Dottore della Chiesa[11], annoverandola poi «come esperta della scientia amoris»[12]. Benedetto XVI ha ripreso il tema della sua “ scienza dell’amore”, proponendola come «una guida per tutti, soprattutto per coloro che, nel Popolo di Dio, svolgono il ministero di teologi»[13]. Infine, ho avuto la gioia di canonizzare i suoi genitori Luigi e Zelia, nel 2015, durante il Sinodo sulla famiglia, e recentemente ho dedicato a lei una catechesi nella serie sullo zelo apostolico[14].
1. Gesù per gli altri
7. Nel nome che ella scelse come religiosa risalta Gesù: il “Bambino” che manifesta il mistero dell’Incarnazione e il “Volto Santo”, cioè il volto di Cristo che si dona fino alla fine sulla Croce. Lei è “Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo”.
8. Il Nome di Gesù è continuamente “respirato” da Teresa come atto di amore, fino all’ultimo soffio. Aveva anche inciso queste parole nella sua cella: “Gesù è il mio unico amore”. Era la sua interpretazione dell’affermazione culminante del Nuovo Testamento: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16).
Anima missionaria
9. Come succede in ogni incontro autentico con Cristo, questa esperienza di fede la chiamava alla missione. Teresa ha potuto definire la sua missione con queste parole: «In Cielo desidererò la stessa cosa che in terra: amare Gesù e farlo amare»[15]. Ha scritto che era entrata nel Carmelo «per salvare le anime»[16]. Vale a dire che non concepiva la sua consacrazione a Dio senza la ricerca del bene dei fratelli. Lei condivideva l’amore misericordioso del Padre per il figlio peccatore e quello del Buon Pastore per le pecore perdute, lontane, ferite. Per questo è patrona delle missioni, maestra di evangelizzazione.
10. Le ultime pagine della Storia di un’anima[17] sono un testamento missionario, esprimono il suo modo di intendere l’evangelizzazione per attrazione[18], non per pressione o proselitismo. Vale la pena leggere come lo sintetizza lei stessa: «“Attirami, noi correremo all’effluvio dei tuoi profumi”. O Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: Attirando me, attira le anime che amo. Questa semplice parola: “Attirami” basta. Signore, lo capisco, quando un’anima si è lasciata avvincere dall’odore inebriante dei tuoi profumi, non potrebbe correre da sola, tutte le anime che ama vengono trascinate dietro di lei: questo avviene senza costrizione, senza sforzo, è una conseguenza naturale della sua attrazione verso di te. Come un torrente che si getta impetuoso nell’oceano trascina dietro di sé tutto ciò che ha incontrato al suo passaggio, così, o mio Gesù, l’anima che si immerge nell’oceano senza sponde del tuo amore attira con sé tutti i tesori che possiede… Signore, tu lo sai, io non ho altri tesori se non le anime che ti è piaciuto unire alla mia»[19].
11. Qui lei cita le parole che la sposa rivolge allo sposo nel Cantico dei Cantici (1,3-4), secondo l’interpretazione approfondita dai due Dottori del Carmelo, Santa Teresa di Gesù e San Giovanni della Croce. Lo Sposo è Gesù, il Figlio di Dio che si è unito alla nostra umanità nell’Incarnazione e l’ha redenta sulla Croce. Lì, dal suo costato aperto, ha dato alla luce la Chiesa, sua amata Sposa, per la quale ha donato la vita (cfr Ef 5,25). Ciò che colpisce è come Teresina, consapevole di essere vicina alla morte, non viva questo mistero rinchiusa in sé stessa, solo in senso consolatorio, ma con un fervente spirito apostolico.
La grazia che ci libera dall’autoreferenzialità
12. Qualcosa di simile accade quando si riferisce all’azione dello Spirito Santo, che acquista immediatamente un senso missionario: «Ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a Lui, che Egli viva ed agisca in me. Sento che quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò: Attirami, tanto più le anime che si avvicineranno a me (povero piccolo rottame di ferro inutile, se mi allontanassi dal braciere divino) correranno rapidamente all’effluvio dei profumi del loro Amato, perché un’anima infiammata di amore non può restare inattiva»[20].
13. Nel cuore di Teresina, la grazia del battesimo è diventata un torrente impetuoso che sfocia nell’oceano dell’amore di Cristo, trascinando con sé una moltitudine di sorelle e fratelli, ciò che è avvenuto specialmente dopo la sua morte. È stata la sua promessa «pioggia di rose»[21].
2. La piccola via della fiducia e dell’amore
14. Una delle scoperte più importanti di Teresina, per il bene di tutto il Popolo di Dio, è la sua “piccola via”, la via della fiducia e dell’amore, conosciuta anche come la via dell’infanzia spirituale. Tutti possono seguirla, in qualunque stato di vita, in ogni momento dell’esistenza. È la via che il Padre celeste rivela ai piccoli (cfr Mt 11,25).
15. Teresina racconta la scoperta della piccola via nella Storia di un’anima[22]: «Nonostante la mia piccolezza, posso aspirare alla santità. Farmi diversa da quel che sono, più grande, mi è impossibile: mi devo sopportare per quello che sono con tutte le mie imperfezioni; ma voglio cercare il modo di andare in Cielo per una piccola via bella dritta, molto corta, una piccola via tutta nuova»[23].
16. Per descriverla, usa l’immagine dell’ascensore: «L’ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo sono le tue braccia, o Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, anzi bisogna che io resti piccola, che lo diventi sempre di più»[24]. Piccola, incapace di fidarsi di sé stessa, anche se fermamente sicura della forza amorosa delle braccia del Signore.
17. È la “dolce via dell’Amore”[25], aperta da Gesù ai piccoli e ai poveri, a tutti. È la via della vera gioia. Di fronte a un’idea pelagiana di santità[26], individualista ed elitaria, più ascetica che mistica, che pone l’accento principalmente sullo sforzo umano, Teresina sottolinea sempre il primato dell’azione di Dio, della sua grazia. Così arriva a dire : «Sento sempre la stessa audace fiducia di diventare una grande Santa, perché non faccio affidamento sui miei meriti, visto che non ne ho nessuno, ma spero in Colui che è la Virtù, la Santità stessa: è Lui solo che, accontentandosi dei miei deboli sforzi, mi eleverà fino a Lui e, coprendomi dei suoi meriti infiniti, mi farà Santa»[27].
Al di là di ogni merito
18. Questo modo di pensare non contrasta con il tradizionale insegnamento cattolico circa la crescita della grazia, cioè che, giustificati gratuitamente dalla grazia santificante, siamo trasformati e resi capaci di cooperare con le nostre buone opere in un cammino di crescita nella santità. In tal modo veniamo elevati, così da poter aver reali meriti in ordine allo sviluppo della grazia ricevuta.
19. Teresina tuttavia preferisce mettere in risalto il primato dell’azione divina e invitare alla fiducia piena guardando l’amore di Cristo donatoci fino alla fine. In fondo, il suo insegnamento è che, dal momento che non possiamo avere alcuna certezza guardando a noi stessi[28], nemmeno possiamo esser certi di possedere meriti propri. Pertanto non è possibile confidare in questi sforzi o adempimenti. Il Catechismo ha voluto citare le parole di Santa Teresina quando dice al Signore: «Comparirò davanti a te con le mani vuote»[29], per esprimere che «i santi hanno sempre avuto una viva consapevolezza che i loro meriti erano pura grazia»[30]. Questa convinzione suscita una gioiosa e tenera gratitudine.
20. Quindi, l’atteggiamento più adeguato è riporre la fiducia del cuore fuori di noi stessi: nell’infinita misericordia di un Dio che ama senza limiti e che ha dato tutto nella Croce di Gesù[31]. Per questa ragione Teresa mai usa l’espressione, frequente al suo tempo, “mi farò santa”.
21. Tuttavia, la sua fiducia senza limiti incoraggia coloro che si sentono fragili, limitati, peccatori, a lasciarsi portare e trasformare per arrivare in alto: «Ah, se tutte le anime deboli e imperfette sentissero ciò che sente la più piccola tra tutte le anime, l’anima della sua piccola Teresa, non una sola di esse dispererebbe di giungere in cima alla montagna dell’amore! Infatti Gesù non chiede grandi azioni, ma soltanto l’abbandono e la riconoscenza»[32].
22. Questa stessa insistenza di Teresina sull’iniziativa divina fa sì che, quando parla dell’Eucaristia, non ponga in primo piano il suo desiderio di ricevere Gesù nella santa Comunione, ma il desiderio di Gesù che vuole unirsi a noi e abitare nei nostri cuori[33]. Nell’Offerta all’Amore Misericordioso, soffrendo per non potere ricevere la Comunione tutti giorni, dice a Gesù: «Resta in me, come nel tabernacolo»[34]. Il centro e l’oggetto del suo sguardo non è lei stessa con i suoi bisogni, ma Cristo che ama, che cerca, che desidera, che dimora nell’anima.
L’abbandono quotidiano
23. La fiducia che Teresina promuove non va intesa soltanto in riferimento alla propria santificazione e salvezza. Ha un senso integrale, che abbraccia l’insieme dell’esistenza concreta e si applica a tutta la nostra vita, dove molte volte ci sopraffanno le paure, il desiderio di sicurezze umane, il bisogno di avere tutto sotto controllo. È qui che compare l’invito al santo “abbandono”.
24. La fiducia piena, che diventa abbandono all’Amore, ci libera dai calcoli ossessivi, dalla costante preoccupazione per il futuro, dai timori che tolgono la pace. Nei suoi ultimi giorni Teresina insisteva su questo: «Noi, che corriamo nella via dell’Amore, trovo che non dobbiamo pensare a ciò che ci può capitare di doloroso nell’avvenire, perché allora è mancare di fiducia»[35]. Se siamo nelle mani di un Padre che ci ama senza limiti, questo sarà vero qualunque circostanza accada, potremo andare avanti qualsiasi cosa succeda e, in un modo o nell’altro, si compirà nella nostra vita il suo progetto di amore e di pienezza.
Un fuoco in mezzo alla notte
25. Teresina viveva la fede più forte e sicura nel buio della notte e addirittura nell’oscurità del Calvario. La sua testimonianza ha raggiunto il punto culminante nell’ultimo periodo della vita, nella grande «prova contro la fede»[36], che cominciò nella Pasqua del 1896. Nel suo racconto[37], ella pone questa prova in relazione diretta con la dolorosa realtà dell’ateismo del suo tempo. È vissuta infatti alla fine del XIX secolo, cioè nell’“età d’oro” dell’ateismo moderno, come sistema filosofico e ideologico. Quando scriveva che Gesù aveva permesso che la sua anima «fosse invasa dalle tenebre più fitte»[38], stava a indicare l’oscurità dell’ateismo e il rifiuto della fede cristiana. In unione con Gesù, che accolse in sé tutta l’oscurità del peccato del mondo quando accettò di bere il calice della Passione, Teresina coglie in quel buio tenebroso la disperazione, il vuoto del nulla[39].
26. Ma l’oscurità non può estinguere la luce: ella è stata conquistata da Colui che come luce è venuto nel mondo (cfr Gv 12,46)[40]. Il racconto di Teresina manifesta il carattere eroico della sua fede, la sua vittoria nel combattimento spirituale, di fronte alle tentazioni più forti. Si sente sorella degli atei e seduta, come Gesù, alla mensa con i peccatori (cfr Mt 9,10-13). Intercede per loro, mentre rinnova continuamente il suo atto di fede, sempre in comunione amorosa con il Signore: «Corro verso il mio Gesù, gli dico che sono pronta a versare fino all’ultima goccia il mio sangue per testimoniare che esiste un Cielo. Gli dico che sono felice di non godere quel bel Cielo sulla terra, affinché Egli lo apra per l’eternità ai poveri increduli»[41].
27. Insieme alla fede, Teresa vive intensamente una fiducia illimitata nell’infinita misericordia di Dio: «La fiducia che deve condurci all’Amore»[42]. Vive, anche nell’oscurità, la fiducia totale del bambino che si abbandona senza paura tra le braccia del padre e della madre. Per Teresina, infatti, Dio risplende prima di tutto attraverso la sua misericordia, chiave di comprensione di qualunque altra cosa che si dica di Lui: «A me Egli ha donato la sua Misericordia infinita ed è attraverso essa che contemplo e adoro le altre perfezioni Divine! Allora tutte mi appaiono raggianti d’ amore, perfino la Giustizia (e forse anche più di ogni altra) mi sembra rivestita d’ amore»[43]. Questa è una delle scoperte più importanti di Teresina, uno dei più grandi contributi che ha offerto a tutto il Popolo di Dio. In modo straordinario ha penetrato le profondità della misericordia divina e di là ha attinto la luce della sua illimitata speranza.
Una fermissima speranza
28. Prima del suo ingresso nel Carmelo, Teresina aveva sperimentato una singolare vicinanza spirituale a una persona tra le più sventurate, il criminale Henri Pranzini, condannato a morte per triplice omicidio e non pentito[44]. Offrendo la Messa per lui e pregando con totale fiducia per la sua salvezza, è sicura di metterlo in contatto con il Sangue di Gesù e dice a Dio di essere sicurissima che nel momento finale Lui lo avrebbe perdonato e che lei ci avrebbe creduto «anche se non si fosse confessato e non avesse dato alcun segno di pentimento». Dà la ragione della sua certezza: «Tanto avevo fiducia nella misericordia infinita di Gesù»[45]. Quale emozione, poi, nello scoprire che Pranzini, salito sul patibolo, «a un tratto, colto da una ispirazione improvvisa, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presenta e bacia per tre volte le sante piaghe!»[46]. Questa esperienza così intensa di sperare contro ogni speranza è stata per lei fondamentale: «Ah, dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare le anime crebbe ogni giorno!»[47].
29. Teresa è consapevole del dramma del peccato, benché la vediamo sempre immersa nel mistero di Cristo, con la certezza che «laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20). Il peccato del mondo è immenso, ma non è infinito. Invece, l’amore misericordioso del Redentore, questo sì, è infinito. Teresina è testimone della vittoria definitiva di Gesù su tutte le forze del male attraverso la sua passione, morte e risurrezione. Mossa dalla fiducia, osa affermare: «Gesù, fa’ che io salvi molte anime: che oggi non ce ne sia una sola dannata! […] Gesù, perdonami se dico cose che non bisogna dire: io voglio solo rallegrarti e consolarti»[48]. Questo ci permette di passare a un altro aspetto di quell’aria fresca che è il messaggio di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo.
3. Sarò l’amore
30. “Più grande” della fede e della speranza, la carità non avrà mai fine (cfr 1 Cor 13,8-13). È il più grande dono dello Spirito Santo ed è «madre e radice di ogni virtù»[49].
La carità come atteggiamento personale d’amore
31. La Storia di un’anima è una testimonianza di carità, in cui Teresina ci offre un commentario circa il comandamento nuovo di Gesù: «Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15,12)[50]. Gesù ha sete di questa risposta al suo amore. Infatti, «non ha esitato a mendicare un po’ d’acqua dalla Samaritana. Aveva sete… Ma dicendo: “dammi da bere” era l’amore della sua povera creatura che il Creatore dell’universo invocava. Aveva sete d’amore!»[51]. Teresina vuole corrispondere all’amore di Gesù, rendergli amore per amore[52].
32. La simbologia dell’amore sponsale esprime la reciprocità del dono di sé tra lo sposo e la sposa. Così, ispirata dal Cantico dei Cantici (2,16), scrive: «Penso che il cuore del mio sposo è solo mio, così come il mio appartiene solo a lui, e allora nella solitudine gli parlo di questo delizioso cuore a cuore, aspettando di contemplarlo un giorno a faccia a faccia!»[53]. Benché il Signore ci ami insieme come Popolo, allo stesso tempo la carità agisce in modo personalissimo, “da cuore a cuore”.
33. Teresina ha la viva certezza che Gesù l’ha amata e conosciuta personalmente nella sua Passione: «Mi ha amato e ha dato sé stesso per me» (Gal 2,20). Contemplando Gesù nella sua agonia, lei gli dice: «Tu m’hai vista sempre»[54]. Allo stesso modo dice a Gesù Bambino tra le braccia di sua Madre: «Con la tua mano carezzando Maria, tu reggevi il mondo e gli davi vita. E a me già pensavi»[55]. Così, anche all’inizio della Storia di un’anima, ella contempla l’amore di Gesù per tutti e per ognuno come se fosse unico al mondo[56].
34. L’atto di amore “Gesù, ti amo”, continuamente vissuto da Teresa come il respiro, è la sua chiave di lettura del Vangelo. Con questo amore s’immerge in tutti i misteri della vita di Cristo, dei quali si fa contemporanea, abitando il Vangelo insieme a Maria e Giuseppe, Maria di Magdala e gli Apostoli. Insieme a loro penetra le profondità dell’amore del Cuore di Gesù. Vediamo un esempio: «Quando vedo Maddalena avanzare in mezzo ai numerosi convitati, bagnare con le sue lacrime i piedi del suo Maestro adorato, che lei tocca per la prima volta, sento che il suo cuore ha compreso gli abissi d’amore e di misericordia del Cuore di Gesù e che, per quanto peccatrice sia, questo Cuore d’amore non solo è disposto a perdonarla, ma anche a prodigarle i benefici della sua intimità divina, ad elevarla fino alle più alte cime della contemplazione»[57].
L’amore più grande nella più grande semplicità
35. Alla fine della Storia di un’anima, Teresina ci regala la sua Offerta come Vittima d’Olocausto all’Amore Misericordioso[58]. Quando lei si è consegnata pienamente all’azione dello Spirito ha ricevuto, senza clamori né segni vistosi, la sovrabbondanza dell’acqua viva: «I fiumi o meglio gli oceani di grazie che sono venuti a inondare la mia anima»[59]. È la vita mistica che, anche priva di fenomeni straordinari, si propone a tutti i fedeli come esperienza quotidiana di amore.
36. Teresina vive la carità nella piccolezza, nelle cose più semplici dell’esistenza di ogni giorno, e lo fa in compagnia della Vergine Maria, imparando da lei che «amare è dare tutto e donar se stessi»[60]. Infatti, mentre i predicatori del suo tempo parlavano spesso della grandezza di Maria in maniera trionfalistica, come lontana da noi, Teresina mostra, a partire dal Vangelo, che Maria è la più grande del Regno dei Cieli perché è la più piccola (cfr Mt 18,4), la più vicina a Gesù nella sua umiliazione. Lei vede che, se i racconti apocrifi sono pieni di episodi appariscenti e meravigliosi, i Vangeli ci mostrano una vita umile e povera, trascorsa nella semplicità della fede. Gesù stesso vuole che Maria sia l’esempio dell’anima che lo cerca con una fede spoglia[61]. Maria è stata la prima a vivere la “piccola via” in pura fede e umiltà; così che Teresa non esita a scrivere:
«So che a Nazareth, Madre di grazia piena,
povera tu eri e nulla più volevi:
non miracoli o estasi o rapimenti
t’adornan la vita, Regina dei Santi!
In terra è grande il numero dei piccoli
che guardarti possono senza tremare.
La via comune, Madre incomparabile,
percorrere tu vuoi e guidarli al Cielo»[62].
37. Teresina ci ha offerto anche racconti che testimoniano alcuni momenti di grazia vissuti in mezzo alla semplicità di ogni giorno, come la sua repentina ispirazione mentre accompagnava una suora malata con un temperamento difficile. Ma sempre si tratta di esperienze di una carità più intensa vissuta nelle situazioni più ordinarie: «Una sera d’inverno compivo come al solito il mio piccolo servizio, faceva freddo, era buio… A un tratto udii in lontananza il suono armonioso di uno strumento musicale: allora mi immaginai un salone ben illuminato tutto splendente di ori, ragazze elegantemente vestite che si facevano a vicenda complimenti e convenevoli mondani; poi il mio sguardo cadde sulla povera malata che sostenevo; invece di una melodia udivo ogni tanto i suoi gemiti lamentosi, invece degli ori, vedevo i mattoni del nostro chiostro austero, rischiarato a malapena da una debole luce. Non posso esprimere ciò che accadde nella mia anima, quello che so è che il Signore la illuminò con i raggi della verità che superano altamente lo splendore tenebroso delle feste della terra, che non potevo credere alla mia felicità… Ah, per godere mille anni di feste mondane, non avrei dato i dieci minuti impiegati a compiere il mio umile ufficio di carità»[63].
Nel cuore della Chiesa
38. Teresina ha ereditato da Santa Teresa d’Avila un grande amore per la Chiesa ed è potuta arrivare alla profondità di questo mistero. Lo vediamo nella sua scoperta del “cuore della Chiesa”. In una lunga preghiera a Gesù[64], scritta l’8 settembre 1896, sesto anniversario della sua professione religiosa, la Santa confida al Signore che si sentiva animata da un immenso desiderio, da una passione per il Vangelo che nessuna vocazione da sola poteva soddisfare. E così, cercando il suo “posto” nella Chiesa, aveva riletto i capitoli 12 e 13 della Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi.
39. Nel capitolo 12 l’Apostolo utilizza la metafora del corpo e delle sue membra per spiegare che la Chiesa porta in sé una gran varietà di carismi composti secondo un ordine gerarchico. Ma questa descrizione non è sufficiente per Teresina. Ella prosegue la sua indagine, legge l’“inno alla carità” del capitolo 13, là trova la grande risposta e scrive questa pagina memorabile: «Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in nessuno dei membri descritti da San Paolo: o meglio, volevo riconoscermi in tutti!... La Carità mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava: capii che la Chiesa aveva un Cuore, e che questo Cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue… Capii che l’ Amore racchiudeva tutte le Vocazioni, che l’Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi!… Insomma che è Eterno!… Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore…, la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore!… Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto, o mio Dio, sei tu che me l’hai dato: nel Cuore della Chiesa, mia Madre, sarò l’Amore!… Così sarò tutto… Così il mio sogno sarà realizzato!!!»[65].
40. Non è il cuore di una Chiesa trionfalistica, è il cuore di una Chiesa amante, umile e misericordiosa. Teresina mai si mette al di sopra degli altri, ma all’ultimo posto con il Figlio di Dio, che per noi è diventato servo e si è umiliato, facendosi obbediente fino alla morte su una croce (cfr Fil 2,7-8).
41. Tale scoperta del cuore della Chiesa è una grande luce anche per noi oggi, per non scandalizzarci a causa dei limiti e delle debolezze dell’istituzione ecclesiastica, segnata da oscurità e peccati, ed entrare nel suo cuore ardente d’amore, che si è incendiato nella Pentecoste grazie al dono dello Spirito Santo. È il cuore il cui fuoco si ravviva ancora con ogni nostro atto di carità. “Io sarò l’amore”: questa è l’opzione radicale di Teresina, la sua sintesi definitiva, la sua identità spirituale più personale.
Pioggia di rose
42. Dopo molti secoli in cui schiere di santi hanno espresso con tanto fervore e bellezza le loro aspirazioni ad “andare in cielo”, Santa Teresina riconosce, con grande sincerità: «Allora avevo grandi prove interiori di ogni genere (fino a chiedermi talvolta se c’era un Cielo)»[66]. In un altro momento dice: «Quando canto la felicità del Cielo, il possesso eterno di Dio, non provo alcuna gioia, perché canto semplicemente ciò che voglio credere»[67]. Cosa è successo? Che lei stava ascoltando la chiamata di Dio a mettere fuoco nel cuore della Chiesa più di quanto sognasse la propria felicità.
43. La trasformazione che avvenne in lei le permise di passare da un fervido desiderio del Cielo a un costante e ardente desiderio del bene di tutti, culminante nel sogno di continuare in Cielo la sua missione di amare Gesù e di farlo amare. In questo senso, in una delle ultime lettere scrisse: «Conto proprio di non restare inattiva in Cielo: il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime»[68]. E in quegli stessi giorni, in modo più diretto, disse: «Il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra»[69].
44. Così Teresina esprimeva la sua risposta più convinta al dono unico che il Signore le stava regalando, alla luce sorprendente che Dio stava riversando in lei. In tal modo giungeva all’ultima sintesi personale del Vangelo, che partiva dalla piena fiducia per culminare nel dono totale agli altri. Ella non dubitava della fecondità di questa dedizione: «Penso a tutto il bene che potrò fare dopo la mia morte»[70]. «Il buon Dio non mi darebbe questo desiderio di fare del bene sulla terra dopo la morte, se non volesse realizzarlo»[71]. «Sarà come una pioggia di rose»[72].
45. Si chiude il cerchio. «C’est la confiance». È la fiducia che ci conduce all’Amore e così ci libera dal timore, è la fiducia che ci aiuta a togliere lo sguardo da noi stessi, è la fiducia che permette di porre nelle mani di Dio ciò che soltanto Lui può fare. Questo ci lascia un immenso torrente d’amore e di energie disponibili per cercare il bene dei fratelli. E così, in mezzo alla sofferenza dei suoi ultimi giorni, Teresa poteva dire: « Non conto più che sull’amore»[73]. Alla fine conta soltanto l’amore. La fiducia fa sbocciare le rose e le sparge come un traboccare della sovrabbondanza dell’amore divino. Chiediamola come dono gratuito, come regalo prezioso della grazia, perché si aprano nella nostra vita le vie del Vangelo.
4. Nel cuore del Vangelo
46. Nella Evangelii gaudium ho insistito sull’invito a ritornare alla freschezza della sorgente, per porre l’accento su ciò che è essenziale e indispensabile. Ritengo opportuno riprendere e proporre nuovamente quell’invito.
Il Dottore della sintesi
47. Questa Esortazione su Santa Teresina mi consente di ricordare che in una Chiesa missionaria «l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa»[74]. Il nucleo luminoso è «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto»[75].
48. Non tutto è ugualmente centrale, perché c’è un ordine o gerarchia tra le verità della Chiesa, e «questo vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale»[76]. Il centro della morale cristiana è la carità, che è la risposta all’amore incondizionato della Trinità, per cui «le opere di amore al prossimo sono la manifestazione esterna più perfetta della grazia interiore dello Spirito»[77]. Alla fine conta solo l’amore.
49. Precisamente, il contributo specifico che Teresina ci regala come Santa e come Dottore della Chiesa non è analitico, come potrebbe essere, per esempio, quello di San Tommaso d’Aquino. Il suo contributo è piuttosto sintetico, perché il suo genio consiste nel portarci al centro, a ciò che è essenziale, a ciò che è indispensabile. Ella, con le sue parole e con il suo personale percorso, mostra che, benché tutti gli insegnamenti e le norme della Chiesa abbiano la loro importanza, il loro valore, la loro luce, alcuni sono più urgenti e più costitutivi per la vita cristiana. È lì che Teresa ha fissato lo sguardo e il cuore.
50. Come teologi, moralisti, studiosi di spiritualità, come pastori e come credenti, ciascuno nel proprio ambito, abbiamo ancora bisogno di recepire questa intuizione geniale di Teresina e di trarne le conseguenze teoriche e pratiche, dottrinali e pastorali, personali e comunitarie. Servono audacia e libertà interiore per poterlo fare.
51. Talvolta di questa Santa si citano soltanto espressioni che sono secondarie, o si menzionano temi che lei può avere in comune con qualunque altro santo: la preghiera, il sacrificio, la pietà eucaristica, e tante altre belle testimonianze, ma in questo modo potremmo privarci di ciò che vi è di più specifico nel dono da lei fatto alla Chiesa, dimenticando che «ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo»[78]. Pertanto, «per riconoscere quale sia quella parola che il Signore vuole dire mediante un santo, non conviene soffermarsi sui particolari […]. Ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il senso della totalità della sua persona»[79]. Questo vale a maggior ragione per Santa Teresina, essendo lei un “Dottore della sintesi”.
52. Dal cielo alla terra, l’attualità di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo rimane in tutta la sua “piccola grandezza”.
In un tempo che invita a chiudersi nei propri interessi, Teresina ci mostra la bellezza di fare della vita un dono.
In un momento nel quale prevalgono i bisogni più superficiali, lei è testimone della radicalità evangelica.
In un tempo di individualismo, lei ci fa scoprire il valore dell’amore che diventa intercessione.
In un momento nel quale l’essere umano è ossessionato dalla grandezza e da nuove forme di potere, lei indica la via della piccolezza.
In un tempo nel quale si scartano tanti esseri umani, lei ci insegna la bellezza della cura, di farsi carico dell’altro.
In un momento di complessità, lei può aiutarci a riscoprire la semplicità, il primato assoluto dell’amore, della fiducia e dell’abbandono, superando una logica legalista ed eticista che riempie la vita cristiana di obblighi e precetti e congela la gioia del Vangelo.
In un tempo di ripiegamenti e chiusure, Teresina ci invita all’uscita missionaria, conquistati dall’attrazione di Gesù Cristo e del Vangelo.
53. Un secolo e mezzo dopo la sua nascita, Teresina è più viva che mai in mezzo alla Chiesa in cammino, nel cuore del Popolo di Dio. Sta pellegrinando con noi, facendo il bene sulla terra, come ha tanto desiderato. Il segno più bello della sua vitalità spirituale sono le innumerevoli “rose” che va spargendo, cioè le grazie che Dio ci dona per la sua intercessione piena d’amore, per sostenerci nel percorso della vita.
Cara Santa Teresina,
la Chiesa ha bisogno di far risplendere
il colore, il profumo, la gioia del Vangelo.
Mandaci le tue rose!
Aiutaci ad avere fiducia sempre,
come hai fatto tu,
nel grande amore che Dio ha per noi,
perché possiamo imitare ogni giorno
la tua piccola via di santità.
Amen.
Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 15 ottobre, memoria di Santa Teresa d’Avila, dell’anno 2023, undicesimo del mio Pontificato.
FRANCESCO
Note al testo
[1] Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Opere Complete. Scritti e ultime parole, LT 197, A suor Maria del Sacro Cuore (17 settembre 1896), Roma 1997, 538.
Per la versione italiana degli scritti della Santa si fa sempre riferimento a tale edizione, che utilizza le seguenti sigle: Ms A: Manoscritto “A”; Ms B: Manoscritto “B”; Ms C: Manoscritto “C”; LT: Lettere; P: Poesie; Pr: Preghiere; PR: Pie Ricreazioni; QG: Quaderno giallo di Madre Agnese; UC: Ultimi Colloqui.
[2] Pr 6, Offerta di me stessa come Vittima d’Olocausto all’Amore Misericordioso del Buon Dio (9 giugno 1895): 943.
[3] Per il biennio 2022-2023, l’UNESCO ha inserito Santa Teresa di Gesù Bambino tra le personalità da celebrare, in occasione del 150º anniversario della nascita.
[4] 29 aprile 1923.
[5] Cfr Decreto di Virtù, 14 agosto 1921: AAS 13 (1921), 449-452.
[6] Omelia per la canonizzazione (17 maggio 1925): AAS 17 (1925), 211. Testo italiano in Discorsi di Pio XI, a cura di D. Bertetto, vol. I, Torino 1959, 383-384.
[7] Cfr AAS 20 (1928), 147-148.
[8] Cfr AAS 36 (1944), 329-330.
[9] Cfr Lettera a Mons. François-Marie Picaud, Vescovo di Bayeux y Lisieux (7 agosto 1947). Testo francese in Analecta OCD 19 (1947), 168-171. Testo italiano nella traduzione di Rivista di Vita Spirituale 1 (1947), 444-448. Radiomessaggio per la consacrazione della Basilica di Lisieux (11 luglio 1954): AAS 46 (1954), 404-407.
[10] Cfr Lettera a Mons. Jean-Marie-Clément Badré, Vescovo di Bayeux y Lisieux, in occasione del centenario della nascita di Santa Teresa del Bambino Gesù (2 gennaio 1973): AAS 65 (1973), 12-15.
[11] Cfr AAS 90 (1998), 409-413, 930-944.
[12] Lett. ap. Novo millennio ineunte, 42: AAS 93 (2001), 296.
[13] Catechesi (6 aprile 2011): L’Osservatore Romano (7 aprile 2011), 8.
[14] Catechesi (7 giugno 2023): L’Osservatore Romano (7 giugno 2023), 2-3.
[15] LT 220, Al reverendo M. Bellière (24 febbraio 1897): 561.
[16] Ms A, 69vº: 187.
[17] Cfr Ms C, 33vº-37rº: 274-279.
[18] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 14; 264: AAS 105 (2013), 1025-1026.
[19] Ms C, 34rº: 275.
[20] Ibid., 36rº: 277-278.
[21] QG, 9 giugno 1897, 3: 991.
[22] Cfr Ms C, 2vº-3rº: 235-236.
[23] Ibid., 2vº: 235.
[24] Ibid., 3rº: 236.
[25] Cfr Ms A, 84vº: 210.
[26] Cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 47-62: AAS 110 (2018), 1124-1129.
[27] Ms A, 32rº: 124.
[28] Lo ha spiegato il Concilio di Trento: «Così ciascuno nel considerare se stesso, la propria debolezza e le cattive disposizioni, ha motivo di avere paura e di temere circa la propria grazia» ( Decreto sulla giustificazione, IX: DS, 1534). Lo riprende il Catechismo della Chiesa Cattolica quando insegna che è impossibile avere certezza guardando a sé stessi o alle proprie azioni (cfr n. 2005). La certezza della fiducia non si trova in sé stessi, il proprio io non offre basi per questa sicurezza, che non si fonda sull’introspezione. In qualche modo lo esprimeva San Paolo: «Io neppure giudico me stesso, perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!» (1 Cor 4,3-4). San Tommaso d’Aquino lo spiegava nel modo seguente: visto che la grazia «non risana l’uomo totalmente» (Summa Theologiae, I-II, q. 109, art. 9, ad 1), «rimane una certa ombra d’ignoranza nell’intelletto» (ibid., co).
[29] Pr 6: 943.
[30] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2011.
[31] Lo afferma anche con chiarezza il Concilio di Trento: «Nessun uomo pio può dubitare della misericordia di Dio» (Decreto sulla giustificazione, IX: DS 1534). «Tutti debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio» (Ibid., XIII: DS 1541).
[32] Ms B, 1vº: 218.
[33] Cfr Ms A, 48vº: 151; LT 92, A Maria Guérin (30 maggio 1889): 384-385.
[34] Pr 6: 941.
[35] QG, 23 luglio 1897, 3: 1032.
[36] Ms C, 31rº: 271.
[37] Cfr ibid., 5rº-7vº: 238-241.
[38] Ibid., 5vº: 239.
[39] Cfr ibid., 6vº: 240.
[40] Cfr Lett. enc. Lumen fidei (29 giugno 2013), 17: AAS 105 (2013), 564-565.
[41] Ms C, 7rº: 240-241.
[42] LT 197, A suor Maria del Sacro Cuore (17 settembre 1896): 538.
[43] Ms A, 83vº: 209.
[44] Cfr ibid., 45vº-46vº: 146-147.
[45] Ibid., 46rº: 146.
[46] Ibid., 46rº: 146-147.
[47] Ibid., 46vº: 147.
[48] Pr 2: 937.
[49] Summa Theologiae, I-II, q. 62, art. 4.
[50] Cfr Ms C, 11vº-31rº: 256-271.
[51] Ms B, 1vº: 218.
[52] Cfr ibid., 4rº: 224.
[53] LT 122, A Celina (14 ottobre 1890): 421.
[54] P 24, 21: 674.
[55] Ibid., 6: 670.
[56] Cfr Ms A, 3rº: 80-81.
[57] LT 247, Al reverendo M. Bellière (21 giugno 1897): 587.
[58] Cfr Pr 6: 941-943.
[59] Ms A, 84r: 210.
[60] P 54, 22: 726.
[61] Cfr ibid., 15: 725.
[62] Ibid., 17: 725.
[63] Ms C, 29vº-30rº: 269.
[64] Cfr Ms B, 2r°-5v°: 219-229.
[65] Ibid., 3vº: 223.
[66] Ms A, 80vº: 204. Non era una mancanza di fede. San Tommaso insegna che nella fede operano la volontà e l’intelligenza. L’adesione della volontà può essere molto solida e radicata, mentre l’intelligenza può essere oscurata. Cfr De Veritate 14, 1.
[67] Ms C, 7vº: 241.
[68] LT 254, A padre A. Roulland (14 luglio 1897): 593.
[69] QG, 17 luglio 1897: 1028.
[70] Ibid., 13 luglio 1897, 17: 1020.
[71] Ibid., 18 luglio 1897, 1: 1028.
[72] UC, 9 giugno 1897: 1158.
[73] LT 242, A suor Maria della Trinità (6 giugno 1897): 582.
[74] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 35: AAS 105 (2013), 1034.
[75] Ibid., 36: AAS 105 (2013), 1035.
[76] Ibid.
[77] Ibid., 37: AAS 105 (2013), 1035.
[78] Esort. ap. Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 19: AAS 110 (2018), 1117.
[79] Ibid., 22: AAS 110 (2018), 1117.