Chi sono i copti colpiti dal vergognoso attentato della notte dell’ultimo dell’anno? Appunti sugli antichi discendenti degli egiziani che accolsero il cristianesimo fin dal I secolo d.C. e che hanno conservato da allora la fede
“Copto” significa semplicemente “egiziano”. Il vocabolo greco “Egyptos” (Egitto) si è evoluto foneticamente – si perdoni la semplificazione - con la caduta del suono “e” iniziale (Egyptos-Gyptos), con la mutazione del suono “g” in “c” (Gyptos-Cyptos) e del suono “y” in “o” (Cyptos-Coptos).
Copti sono semplicemente i discendenti degli antichi egiziani. Essi si convertirono progressivamente al cristianesimo nei primi secoli. Il patriarcato di Alessandria d’Egitto (l’odierna Al-Iskandariya) emerse fra i quattro grandi patriarcati d’Oriente insieme a Gerusalemme, Antiochia, Costantinopoli, vantando figure di primissimo rilievo come Atanasio e Cirillo.
I cristiani d’Egitto si separarono dalla piena comunione con Roma e Costantinopoli nel 451 al tempo del Concilio di Calcedonia, perché non accettarono le dichiarazioni cristologiche di quel concilio. Ma dichiarazioni cristologiche comuni avvenute nel XX secolo hanno dimostrato che, in realtà, la fede nel Cristo vero Dio e vero uomo è rimasta immutata e che furono equivoci superabili a causare la rottura.
Ancora oggi, comunque, la chiesa copta ortodossa non è in piena comunione né con la chiesa cattolica, né con quella ortodossa. Relazioni molto fraterne sono poi maturate soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II.
All’arrivo dell’islam, molti degli antichi egiziani conservarono la fede cristiana dei padri e l’hanno mantenuta inalterata fino ad oggi. La chiesa copta è la più numerosa comunità cristiana orientale ad essere sopravvissuta nei secoli una volta che l’islam ha assunto il potere. Mentre comunità cristiane un tempo importantissime, come quelle del nord Africa, sono quasi completamente scomparse, altre sono sopravvissute diminuendo numericamente nei secoli, come quelle sire, assire, persiane, armene (nei territori degli odierni stati della Siria, Iraq, Iran, Turchia, ecc.). Solo quella copta ha mantenuto una consistenza numerica rilevante. Si stima che i copti siano ancora un decimo della popolazione egiziana, forse 6 milioni di persone.
Queste comunità ricordano a tutti che “arabo” non significa “musulmano”, poiché esistono “arabi cristiani”. Il cristianesimo non nasce in occidente, ma in oriente e gli egiziani copti, così come gli altri arabi cristiani, sono storicamente i discendenti di coloro che hanno sempre abitato quelle terre. Gli arabi cristiani abitano tuttora quelle terre non come stranieri, bensì come cittadini di diritto, insieme agli arabi musulmani.
Copti sono oggi i “cristiani arabi d’Egitto” che hanno una tradizione propria con un rito peculiare, il “rito copto” appunto. La maggioranza di loro è di fede ortodossa, anche se – come si diceva – non in comunione con Costantinopoli, mentre una piccola minoranza è di fede cattolica.
Per comprendere qualcosa della difficile situazione attuale dei copti, proponiamo alcuni articoli ripresi dal web. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/1/2011)
1/ La comunità copta al Cairo (dalla rivista Oasis)
Dal tempo della predicazione dell’evangelista Marco, il Cristianesimo ha trovato casa lungo le rive del Nilo. A dar retta alle tradizioni locali, i primordi dell’evangelizzazione risalirebbero addirittura all’infanzia di Cristo, che durante la fuga in Egitto avrebbe percorso in lungo e in largo il paese.
I primi secoli furono segnati da una vivace fioritura che si espresse soprattutto nel movimento monastico; la comunità cristiana fu tuttavia dilaniata dalle controversie cristologiche che opposero le diverse fazioni in sanguinosi conflitti, di natura religiosa e politica al tempo stesso: il paese ne uscì indebolito e la conquista araba ne fu molto agevolata.
Dopo una storia ricca di luci e ombre nel rapporto con l’Islam, oggi i cristiani costituiscono probabilmente un decimo della popolazione egiziana, circa sei milioni su un totale di sessanta. La maggior parte appartiene alla confessione nota come copto-ortodossa. La storica apertura di Paolo VI ha portato ad un riavvicinamento dottrinale con la Chiesa Cattolica, anche se il cammino verso l’unità è ancora molto lungo.
I copti (parola derivata dal greco aigyptios, egiziano) sono concentrati principalmente nell’Alto Egitto, ad Alessandria e nella megalopoli del Cairo.
Nella capitale abitano soprattutto alcuni quartieri, tra cui quello storico del Vecchio Cairo che sorge sulle rovine della città romana di Babylon. Due torri romane sorreggono infatti la famosa chiesa Mu‘allaqa (letteralmente: “la sospesa”), in faccia al Nilo, uno dei maggiori monumenti del Cairo. Al centro della vita della comunità copta stanno comunque i numerosi monasteri che sorgono in zone desertiche (come quello celeberrimo di Sant’Antonio) o semi-desertiche, come Wadi Natrun.
I copti conservano tradizioni antichissime nella liturgia e vantano una cospicua letteratura sacra, espressa in una lingua che, pur utilizzando caratteri greci parzialmente adattati, rappresenta l’ultimo stadio evolutivo dell’idioma dei Faraoni. I copti costituiscono una realtà di popolo tangibile all’interno della società egiziana ed hanno contribuito attivamente allo sviluppo del paese, anche grazie ai rapporti preferenziali che molti di loro intrattengono con la potente comunità emigrata negli Stati Uniti.
L’avanzata dei fondamentalisti all’interno della società egiziana negli ultimi anni li ha sottoposti a forti pressioni. In alcuni villaggi dell’Alto Egitto si è arrivati perfino a scontri aperti, anche se fortunatamente la popolazione non si è lasciata coinvolgere nella spirale della violenza. [...]
2/ «Boicottiamo i prodotti cristiani», ‘ordine di scuderia’ per i siti internet islamici?, di Camille Eid (da Avvenire del 20 ottobre 2009)
Egitto - È una vera e propria “ lista nera” quella che circola da alcuni mesi su centinaia di siti islamici per invitare i musulmani egiziani a boicottare le società di proprietà dei copti.
La “Campagna di boicottaggio dei prodotti copti” fornisce un elenco lunghissimo di aziende che farebbero parte dell’“ Impero del male” in Egitto. La lista comprende Huyndai, Orascom per i servizi alberghieri, Orascom per la tecnologia, Mobinil per la telefonia mobile, Elguna per il trasporto terrestre, Delmar per i prodotti farmaceutici, Abela per gli alimentari, Avon per i cosmetici, LinkdotNet per le telecomunicazioni, e molte altre compagnie.
La campagna si accanisce soprattutto contro sette ditte farmaceutiche di cui fornisce un elenco dettagliato dei medicinali con, a fianco di ciascuno, il suo “alternativo” prodotto in ditte musulmane. Si raccomanda ai giovani musulmani egiziani di non rivolgersi ai gioiellieri copti per l’acquisto degli anelli di fidanzamento o di matrimonio. «Verificate i nomi prima di entrare in negozio. Oppure fissate l’interno dei negozi se ci sono appese croci», si legge nell’avvertimento.
Il perché di tanta ostilità? Una reazione alla segregazione, secondo i promotori, di alcune ragazze copte desiderose di convertirsi all’islam nei monasteri della Chiesa. I video citano i nomi di Marianne, Teresa, Abir, Rabab e altre «martiri dell’odio crociato», detenute da anni per farle desistere dal loro proposito. In realtà, del problema di scomparsa o rapimento di ragazze cristiane si sono sempre lamentati i copti. Il Consiglio nazionale per i diritti dell’uomo ha riferito nel suo ultimo rapporto di aver ricevuto 35 reclami in proposito da famiglie copte. Il ministero dell’Interno aveva allora replicato che le ragazze erano semplicemente fuggite di propria volontà con uomini musulmani e che si erano convertite «liberamente» all’islam.
La campagna non fa tuttavia l’unanimità del mondo accademico e religioso in Egitto. Interrogato sulla questione, il professore di teologia e filosofia islamica presso l’università di al- Azhar, Ahmed as- Sayeh, ha puntualizzato che «ci si ricorre al boicottaggio per colpire un nemico e non i propri concittadini». Un leader dei Fratelli musulmani, Issam al- Erian, ha invece sottolineato come una simile campagna sia «controproducente e nociva per i musulmani».
3/ I copti nel mirino, di Camille Eid (da Avvenire del 15 aprile 2006)
Quello dei copti d'Egitto è un martirio in silenzio. L'episodio di ieri [l’attacco contro tre chiese nel Venerdì Santo del 2006] è l'ennesimo di una lunga catena di aggressioni che risale almeno a 25 anni fa. Il 1981, infatti, ha visto i gravi attentati di al-Zawiya al-Hamra, alla periferia del Cairo, in cui hanno perso la vita 25 copti, e l'attentato dinamitardo contro una chiesa di Shubra che ha provocato 5 morti e decine di feriti tra i fedeli.
L'offensiva anti-cristiana è poi ripresa in grande stile negli anni '90. Secondo una Ong egiziana, solo tra il 1994 e il 1999 ci sono stati ben 591 atti di violenza contro i copti. Alcuni episodi: nel 1990, un uomo armato ha aperto il fuoco contro i fedeli riuniti all'interno di una chiesa di Alessandria uccidendone cinque, tra cui il prete. Nel 1991 un anziano sacerdote di 86 anni è stato pugnalato a morte vicino ad Assiut e il suo corpo cosparso di benzina e incendiato. Nel 1992, una "spedizione punitiva" è stata lanciata dal gruppo radicale Gamaa Islamiya contro i copti di Manshiyat Nasr uccidendo 13 persone. Nel 1994, una raffica contro l'ingresso del monastero al-Muharraq ha fatto cinque vittime, tra cui due monaci. Nel 1997, quattro estremisti hanno fatto irruzione nella chiesa di Abu Qurqas, dove era in corso il catechismo per ragazzi, uccidendo dodici persone. Di nuovo, e mentre il mondo celebrava l'arrivo del duemila, in un piccolo villaggio dell'Alto Egitto, al-Kosheh, venivano massacrati 21 copti in un assalto pianificato che si è protratto per tre giorni. L'atteggiamento delle autorità è stato scioccante. Al processo, le sentenze sono state, infatti, miti: qualche anno di carcere per una novantina di imputati. Quasi come se l'assassinio dei cristiani non fosse un crimine.
Se, fino all'anno scorso, gli episodi di violenza erano per lo più limitati all'Alto Egitto, zona di maggiore concentrazione dei copti, oggi si denota invece un progressivo coinvolgimento delle aree urbane. Quasi a marcare un clima di tensione generalizzata. La città di Alessandria, cosmopolita fino a mezzo secolo fa, ha assistito l'anno scorso a delle violenti manifestazioni, con saccheggi di negozi copti, contro la presentazione di un'opera teatrale cristiana ritenuta offensiva per l'islam.
Le timide misure del governo per alleviare le discriminazioni contro i copti vengono così ridotte a meri premi di consolazione. Dalla decisione di riconoscere giorno festivo nazionale il Natale, a quella recentissima di semplificare il tortuoso iter burocratico per la costruzione o restauro delle chiese. Decisione, quest'ultima, che non ha incontrato ovviamente il favore dei radicali, visto che non sono state poche le segnalazioni di assalti contro "illegali" luoghi di culto cristiani. Di sicuro avrà scatenato l'ira dei radicali anche la voce circolata due settimane fa circa un accordo tra la prestigiosa università islamica di al-Azhar e la Chiesa copta per consentire la libertà di conversione al cristianesimo. I Fratelli musulmani hanno infatti chiesto chiarimenti al premier Ahmed Nadif. «L'evangelizzazione non è accettabile», ha tuonato Mohammed Said al-Katatini, capogruppo dei Fratelli al Parlamento. «Se fosse vero, questo atto aprirà le porte a una sedizione religiosa tra musulmani e cristiani».
«La sopravvivenza cristiana in Egitto è un enigma», scriveva qualche anno fa Péroncel-Hugoz. «L'ostinazione di questa popolazione a rimanere copta, quando il passaggio all'islam semplifica così tanto la vita nell'Oriente arabo, non può analizzarsi se non alla luce della fedeltà alle origini di cui certi popoli possiedono il segreto. I copti d'Egitto devono la loro sopravvivenza solo a sé stessi. Ciò è ammirevole, ma non spiegabile».
4/ Dal Medio Oriente un secolo di diaspora in tutto il mondo, di Camille Eid (da Avvenire del 16/10/2010)
Sono greco-cattolici come John Sununu e Amine Maalouf, maroniti come Carlos Slim Helù, copti come Onsi Sawiris, protestanti come Edward Said, siro-ortodossi come Paul Anka, armeni come Charles Aznavour e Henri Verneuil. I discendenti dei cristiani orientali noti in Occidente non si contano più. C’è chi ha fatto carriera in politica, chi nell’arte o in letteratura e chi, ovviamente, negli affari. Tuttavia dietro la loro emigrazione non c’era la volontà di perseguire il successo, bensì di sfuggire a condizioni di vita diventate insopportabili. Le ondate migratorie che si sono susseguite da oltre un secolo ne sono la prova. La primissima, avvenuta alla fine dell’Ottocento verso le due Americhe, interessava coloro che volevano liberarsi dell’oppressione ottomana. Fu presto seguita dalla violenta cacciata di armeni e greci dalla Turchia, poi dal massacro degli iracheni assiri negli anni Trenta, quindi dall’espatrio dei palestinesi, poi ancora dall’ondata migratoria dei cristiani durante e dopo la guerra libanese e ora dalla fuga di massa degli iracheni.
Le Chiese orientali sono ancora "orientali", viene da chiedersi? La quantificazione dell’emigrazione – di cui tutti ammettono la consistenza – rimane assai complessa. Di sicuro, contro i dodici milioni cristiani che ancora vivono in Medio Oriente (dall’Egitto all’Iran e dalla Turchia alla Palestina) circa sette milioni vivono ormai fuori. Alcune Chiese orientali, come quella armena e assira, contano già da decenni più fedeli nella "diaspora" che nelle loro terre d’origine. Secondo le statistiche rese note dall’Arab American Institute – diretto dal cristiano libanese James Zogby – gli arabo-americani sono al 63 per cento cristiani, vale a dire circa due milioni 300 mila, cui vanno aggiunti 400 mila armeni.
La crescente emigrazione dei cristiani è attestata anche dalla moltiplicazione delle circoscrizioni ecclesiali e dei luoghi di culto di rito orientale in Occidente. La Chiesa maronita, ad esempio, conta due diocesi negli Stati Uniti con un’ottantina di parrocchie, una diocesi nel Canada con 80 mila fedeli e una in Australia con oltre 160 mila persone. Ma il "bacino storico" dei maroniti rimane l’America Latina, dove si contano tre diocesi (Brasile, Argentina e Messico) che totalizzano diverse centinaia di migliaia di fedeli.
Dalla Siria l’emigrazione dei fedeli cristiani (principalmente melchiti – cattolici e ortodossi – e siriaci) ha toccato all’inizio l’Argentina dove, nel 1905, è sorta a Córdoba la prima chiesa melchita cattolica del Paese. Oggi si trovano cristiani siriani un po’ ovunque, come nel Brasile, Canada, Stati Uniti, Venezuela e Australia. Più euro-orientata appare l’emigrazione dei fedeli siriaci (di nazionalità siriana, ma anche turca), che si trovano concentrati tra la Svezia (la diocesi siro-ortodossa conta una cinquantina di sacerdoti), la Germania (oltre 70 mila fedeli) e i Paesi Bassi.
Anche i fedeli cristiani palestinesi (melchiti e latini) hanno favorito inizialmente l’America. L’area di Detroit per i cristiani di Ramallah, il Cile per quelli di Betlemme. Un aneddoto afferma che «in ogni villaggio cileno si incontrano inevitabilmente tre personaggi: un prete, un poliziotto e un palestinese». L’ex presidente del Salvador, Elías Antonio Saca, è figlio di immigrati di Betlemme, come pure l’ex presidente honduregno Carlos Roberto Flores.
Da qualche anno ha cominciato a vacillare anche la storica resistenza dei cristiani egiziani alla tentazione dell’esodo. Oggi si calcola che circa due milioni di copti vivano in 55 Paesi fuori dall’Egitto. Un dato indicativo di questa emigrazione è la zona di Los Angeles dove, al posto dell’unica chiesa aperta nel 1970, se ne contano oggi una trentina, come pure l’Europa dove si moltiplicano diocesi e monasteri.
Ma la vera emorragia riguarda oggi la Chiesa irachena. La Chaldean Town dell’area metropolitana di Detroit è diventata una moderna Babilonia, con chiese sempre stracolme alla domenica e in cerca continuamente di nuovi spazi per rispondere alla crescita della comunità: 170 mila persone solo nel Michigan. I nuovi arrivi seguono un percorso già battuto da migliaia di loro predecessori, arrivati da Mosul, Baghdad e Telkaif. I caldei rimasti in quest’ultima località sono probabilmente il 2 per cento di quelli chi vi abitavano e se ne sono andati.
5/ Quanti martiri sotto il minareto, di Giorgio Paolucci (da Avvenire, del 15 aprile 2004)
"Certamente non è bene che si eserciti una pressione in materia di religione, ma bisogna riconoscere che la spada o la frusta sono talvolta più utili della filosofia o della convinzione. E, se la prima generazione non aderisce all'islam che con la lingua, la seconda aderirà anche con il cuore e la terza si considererà come musulmana da sempre". Nel XII secolo così scriveva al-Ghazali, uno dei massimi pensatori musulmani, a proposito delle conversioni di cristiani all'islam in Maghreb, una terra dove nel 650 (all'inizio della conquista islamica), la popolazione cristiana era stimata in un milione e mezzo su due milioni di abitanti con 470 vescovi, mentre 600 anni più tardi non ve n'era più traccia, in ragione delle conversioni di massa indotte dal processo di islamizzazione, della fuga di molti cristiani e dell'eliminazione fisica di altri.
Nella travolgente espansione dell'islam dalla penisola arabica al Nordafrica e all'Asia le ragioni di carattere militare, economico e politico si fondono con quelle di tipo religioso e spirituale, come era del resto accaduto fin dai tempi di Medina, quando l'iniziale caratterizzazione in senso mistico ed etico della predicazione fatta da Maometto alla Mecca aveva assunto la natura di un progetto globale che riuniva in sé religione, società e Stato. Un progetto che per essere attuato aveva dovuto sottomettere una presenza cristiana preesistente (come appunto in Nordafrica), nei confronti della quale l' "offerta" di un regime di protezione come quello dei «dhimmi» configurava in termini giuridici una realtà che di fatto sanciva una subordinazione: la possibilità concessa ai cristiani, in origine maggioranza su un territorio ormai conquistato, di esercitare alcuni diritti religiosi in cambio della sottomissione al potere islamico e del pagamento di una tassa.
C'è una dimensione di esplicita violenza, assai meno nota, che ha accompagnato l'espansione islamica, che prende le forme del martirio subito da tanti cristiani "irriducibili" nella professione della fede in Gesù. Oltre 500 sono i casi (spesso riguardanti più di una persona) riesumati dal silenzio della storia per opera di Camille Eid nel libro "A morte in nome di Allah. I martiri cristiani dalle origini dell'islam a oggi" (Piemme, pagine 224, euro 12,50), un viaggio tanto essenziale nell'esposizione quanto documentato nelle fonti attraverso 14 secoli di espansione islamica.
Risultano piuttosto note grazie a recenti saggi - anche se spesso neglette dai mass media e in fondo sottovalutate nella mentalità dominante - le vicende dei martiri del XX secolo: da quelli del genocidio armeno ai monaci d'Algeria, dai cristiani perseguitati in Sudan a quelli massacrati nelle Molucche e a Timor Est. Assai meno conosciuti i casi che Eid riporta alla luce dopo un lungo oblio e che hanno accompagnato la diffusione dell'islam nel mondo.
Qualche esempio: nel 641, all'inizio della conquista dell'Egitto, il corpo del monaco copto Mena viene tagliato a pezzi e gettato nel Nilo dopo una disputa con il comandante arabo della provincia di al-Minya a proposito della natura di Cristo. E nel 780 il monaco siriano Romano, dopo essere stato catturato nel corso di un'incursione in territorio bizantino e trasferito a Baghdad, riesce ad essere assolto dall'accusa di spionaggio ma non sfugge a un'altra ritenuta più grave e che gli costa la vita: quella di avere ricondotto al cristianesimo alcuni prigionieri bizantini convertiti all'islam. Il primo martire in terra russa è Ibrahim il Bulgaro, un mercante musulmano passato al cristianesimo e che nel corso dei suoi viaggi di lavoro aveva cercato di operare altre conversioni: nel 1229 viene appeso per i piedi e poi decapitato, e dal sedicesimo secolo è proclamato patrono della città di Kazan e protettore di tutti i convertiti dall'islam. Pochi anni prima avevano conosciuto la morte i primi cinque martiri francescani, arrivati in Marocco dopo la decisione del Poverello d'Assisi di far conoscere il Vangelo anche ai musulmani. I cinque, senza tenere conto dei consigli alla prudenza elargiti da Don Pedro, fratello del re portoghese Alfonso II, predicano per le vie di Marrakesh incappando nelle ire del sultano che ne ordina la decapitazione il 16 gennaio del 1219.
Anche se la comprensione adeguata di ogni singolo episodio richiede un'adeguata collocazione nel contesto storico in cui è avvenuto, Eid evidenzia le due principali e ricorrenti accuse che nei secoli hanno "giustificato" islamicamente la soppressione dei cristiani: lesa religione e apostasia. La prima è suscettibile di interpretazioni alquanto labili: è offesa alla religione confutare un precetto musulmano in un dibattito ospitato in un Paese islamico? E lo è, ad esempio, la disapprovazione di un comportamento ammesso come la poligamia? Interrogativi che permangono, come dimostra il caso del Pakistan dove la cosiddetta legge sulla blasfemia prevede la pena di morte per chi offende Maometto e l'ergastolo per quanti offendono il Corano.
L'apostasia viene ritenuta inammissibile in quanto l'islam è il compimento delle profezie che l'hanno preceduto, compreso il cristianesimo, e dunque una religione nella quale si può entrare ma dalla quale non è lecito uscire. Anche se, sui 14 versetti coranici che sanzionano l'apostasia, 13 prevedono una "punizione molto dolorosa nell'aldilà" e soltanto uno parla di "punizione in questo mondo e nell'altro", nella storia dell'islam è sovente prevalsa l'interpretazione più radicale basata anche su un ‘hadith' in cui Maometto afferma: "Chi cambia religione, uccidetelo". E non è un caso che ancora oggi in alcuni Paesi islamici l'apostasia venga sanzionata con la pena capitale o sia comunque considerata un reato penalmente perseguibile.
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