[L’attacco di Hamas a Israele e la guerra a Gaza] Due lettere aperte da Gerusalemme di don Filippo Morlacchi (Casa Filia Sion della diocesi di Roma a Gerusalemme)
1/ Lettera aperta da Gerusalemme
Riprendiamo sul nostro sito una lettera aperta scritta da Gerusalemme da don Filippo Morlacchi il 9/10/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Terra santa e Dialogo fra le religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (17/10/2023)
Lunedì 9 ottobre 2023
Poiché tante persone mi chiedono informazioni su quel che accade in queste ore, scrivo questa nota per comunicare fatti, valutazione e impressioni soggettive. Le fonti di informazione consentono oggi di raccogliere notizie in tempo reale, quindi mi soffermerò solo sui punti principali, suggerendo qualche riflessione.
Ciò che è accaduto in Israele sabato 7 ottobre 2023 è un evento tragico di portata storica, che non lascerà il mondo come prima. Correttamente osservatori politici parlano dell’“11 settembre di Israele” e qualcuno la ha definita “la giornata più sanguinosa per il popolo ebraico dai tempi dellaShoah”. Nonostante la superiore potenza militare israeliana e l’efficienza proverbiale dei suoi famosi servizi di intelligence, il braccio armato di Hamas e alcuni gruppi della Jihad islamica, approfittando di un mattino di shabbat e della conclusione delle feste di Sukkot, è riuscito a sorpresa a violare i confini e a penetrare nel territorio israeliano. Lo ha fatto via aria, con dei semplici parapendii amotore; via acqua, con ordinari gommoni; via terra, con pick-up, automobili civili e semplici motociclette. Il lancio di oltre 2.000 missili in poche ore ha saturato e reso inefficace il sistema di difesaisraeliano Iron dome, provocando vittime e danni, e soprattutto distogliendo l’attenzione delle forzearmate israeliane dalla difesa dei confini. Così in breve tempo, nonostante la strumentazione rudimentale a disposizione, molte centinaia di uomini armati hanno aggredito sul territorio israeliano ostazioni militari e abitazioni private, civili a passeggio e giovani in festa, uccidendo brutalmente molte centinaia di persone (oltre ottocento quelle registrate al momento [lunedì 9 alle ore 15] maprobabilmente molte di più) e deportando nella striscia di Gaza almeno un centinaio di persone, traprigionieri militari e ostaggi civili. I social media hanno trasmesso video raccapriccianti delle uccisioni a sangue freddo da parte degli uomini di Hamas, delle brutali efferatezze con cui si sono accaniti contro i cadaveri, e delle umiliazioni a cui sottoponevano i prigionieri. La strategia del terroreha funzionato: gli ebrei, che considerano lo Stato di Israele come “il rifugio sicuro” dalle persecuzioni e dall’odio antisemita, si sono trovati nuovamente vulnerabili e minacciati, stavolta in casapropria. Questo fenomeno avrà un impatto determinante sulle future politiche israeliane.
La risposta militare di Israele non è stata tempestiva, e ciò ha innescato anche polemiche interne sulle responsabilità della débacle, ma ovviamente non è mancata: massicci bombardamenti a Gaza hanno prodotto diverse centinaia di vittime, molte delle quali civili, donne e bambini; sono state trasferite truppe e carri armati al confine con la striscia di Gaza, in vista – forse – di un attacco da terra. Ma la presenza dei numerosi prigionieri rende più complessi i bombardamenti, anche quelli mirati, per timore di uccidere connazionali usati come scudi umani: Hamas ha già dichiarato che quattro ostaggi sarebbero morti sotto le bombe. Inoltre la cattura di ostaggi conferisce al governo di Gaza un potere assolutamente nuovo nelle trattative, come “merce di scambio” per ottenere il rilascio dei prigionieri palestinesi.
I media israeliani e occidentali definiscono “terroristi” i paramilitari di Hamas e della Jihad, e questo è innegabile, perché colpiscono brutalmente e deliberatamente civili inermi e soprattutto aspirano alla distruzione totale dello Stato di Israele. D’altronde, per la prima volta con questa efficacia, questi combattenti hanno colpito anche obiettivi militari israeliani, come caserme e stazioni di polizia, e ai civili rapiti, definiti giustamente “ostaggi”, si affiancano stavolta anche numerosi “prigionieri di guerra” militari. Questa strategia di guerra, che gli analisti faticano a comprendere se sia stata organizzata autonomamente a Gaza o con un più decisivo supporto dell’Iran, è un elemento nuovo. Ed è ciò che ha maggiormente sorpreso tutti. Nel contesto palestinese, l’operazione viene definita una “vittoria militare contro la potenza occupante”, cioè Israele. Ciò è inaccettabile e falso per Israele (ma direi anche oggettivamente falso...): Israele considera l’aggressione un vile atto di terrorismo generato dall’odio antisemita; ma la “narrazione” araba della “vittoria militare” non è priva di ragioni storiche. Mi spiego: ciò che da Israele viene percepito una “sleale incursione di terroristi” (e certamente si è trattato di un’azione militare senza previa dichiarazione di guerra, e con eccidio ingiustificabile di civili), riproduce specularmente, dal punto di vista arabo, ciò che i palestinesi percepiscono quando subiscono le sistematiche incursioni dei militari israeliani nei territori occupati, per compiere omicidi mirati di sospetti terroristi o per demolire abitazioni: la violazione violenta dei legittimi confini da parte di ingiusti aggressori. In pratica, Hamas ha voluto far sentire a Israele come ci si sente nel subire aggressioni “dentro casa”. Tuttavia ogni ipotesi di paragone o di corresponsabilità viene respinto con sdegno da parte israeliana, e anche questo punto di vista va compreso.
Il comunicato stampa dei Capi delle Chiese cristiane di Gerusalemmedel 7 ottobre, che voleva condannare la violenza e invitare alla pace, è stato duramente censuratodall’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede come “deludente, frustrante, ambiguo, arido...” perché condannando «ogni azione che colpisce civili, indipendentemente dalla nazionalità, razza o fede» e chiedendo «la cessazione di ogni attività violenta e militare a danno di civili Palestinesi e Israeliani» non fa capire “chi fossero gli aggressori e chi le vittime”. In breve: la situazione è estremamente complessa, e l’equilibrio pressoché impossibile.
Tuttavia la condanna senza appello degli atti terroristici di Hamas e della Jihad islamica, e l’indiscutibile diritto alla legittima difesa da parte di Israele, non dovrebbero far dimenticare che la pace si costruisce lentamente attraverso la giustizia, per tutti.
In sintesi, si sta creando in brevissimo tempo uno scenario nuovo, ben diverso anche da quello dell’ultima guerra di Gaza (2021). Si temono infatti nuove ondate di attentati da parte palestinese (i rabbini hanno consentito di celebrare i funerali in forma privata per evitare assembramenti), come pure reazioni violente contro “gli arabi” in generale da parte di settlers e civili israeliani, molti dei quali girano armati.
Anche l’agenda politica sarà verosimilmente presto scompigliata, dopo la fase di forzata “unità nazionale” – “am echad”, “un solo popolo” è la parola d’ordine – imposta dalla guerra. Gli attuali equilibri – e squilibri – interni di Israele saranno modificati, identificando i responsabili del fallimento politico dell’intelligence e forse anche valutando gli effetti nefasti del pressing che la destra estrema ha esercitato negli ultimi mesi contro i Palestinesi. Ma potrebbe accadere il contrario: le destre potrebbero soffiare sul fuoco della violenza antisemita e consolidarsi. Probabilmente la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita vedrà una battuta d’arresto. E così tanti altri elementi politici dovranno essere ripensati.
Venendo alle “cose di casa”, i pellegrini in Terrasanta stanno completando i loro pellegrinaggi prima di tornare a casa, quando i voli lo consentiranno. Visitano i santuari cercando di rispettare il programma di viaggio previsto, in cerca di normalità; ma è una normalità fittizia. Le strade di Gerusalemme sono deserte come ai tempi del Covid-19, sia nella parte ebraica che in quella araba, compresa la città vecchia. Sono rimaste aperte le farmacie, i supermercati e alcuni negozi: ma la tensione è palpabile nell’aria. Sono praticamente chiusi tutti i check-point di frontiera con la West Bank. Il traffico aereo internazionale è quasi del tutto cancellato, a parte alcuni voli per il rimpatrio degli stranieri; sono attive quasi esclusivamente le compagnie israeliane.
Da parte mia, sono relativamente tranquillo. A Gerusalemme, e in particolare nella zona di Porta di Damasco, dove si trova la Casa Filia Sion in cui abito, non si temono tanto i razzi (che pure hanno raggiunto alcuni sobborghi a sud e ovest della città santa), ma il possibile scoppio di attentati e violenze. Ieri doveva essere il primo giorno di scuola dopo le vacanze di Sukkot, ma tutte le scuole – ebraiche, musulmane e cristiane – sono chiuse. Le Università locali hanno posticipato l’inaugurazione dell’anno accademico al 22 ottobre, mentre le istituzioni cattoliche oggi hanno fatto lezione, talvolta in presenza, talvolta on-line. I festeggiamenti previsti per l’accoglienza del neo-cardinale Pizzaballa – rimasto bloccato in Italia, almeno fino adesso – sono stati rimandati a data da destinarsi: niente ingresso solenne e pontificale al S. Sepolcro, né a Betlemme, né a Nazaret, né in Giordania né a Cipro. Non si può festeggiare, anche perché non c’è proprio lo spirito per farlo. Alcuni giovani del Vicariato cattolico di lingua ebraica sono stati richiamati alle armi. L’incertezza è grande, perché non si riesce bene a valutare quali saranno le prossime mosse. È plausibile un prossimo attacco da terra da parte di Israele, ma si ignora quali contro-reazioni potrebbe suscitare da parte palestinese, non tanto nella Striscia di Gaza, che certamente soccomberebbe alla superiorità militare Israeliana, quanto soprattutto in Gerusalemme e Palestina. Del resto, l’operazione di Hamas è stata chiamata “pioggia di Al-Aqsa”, fatta cioè per vendicare “le profanazioni” commesse sulla spianata delle moschee. Gerusalemme rimane al centro del conflitto.
Domenica il Salmo responsoriale (Sal 79/80) era di stringente attualità, e nell’omelia lo ho semplicemente letto e spiegato: «Hai sradicato una vite (il popolo di Israele) dall’Egitto, hai scacciato le genti (i popoli della Palestina) e l’hai trapiantata... Ha esteso i suoi tralci fino al mare (Mediterraneo), arrivavano al fiume (Giordano) i suoi germogli... Perché hai aperto brecce nella sua cinta (i muri costruiti da Israele...)? Dio degli eserciti, ritorna! ...proteggi quello che la tua destra ha piantato...». Possiamo e dobbiamo pregare per Israele, affinché questa cieca violenza contro il popolo della promessa cessi, unilateralmente e senza tentennamenti. Ma dobbiamo pregare anche per la Terrasanta, perché dalla ritorsione e dalla vendetta non nascerà mai la pace, e i popoli di questa Terra hanno bisogno di giustizia e pace. Gerusalemme ha bisogno di un nuovo impegno per la costruzione di una pace giusta e per la soluzione del conflitto mediorientale.
A noi cristiani, stretti nella morsa, rimane il dovere di intercedere, di mediare laddove possibile, di «consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (cfr 2Cor 1,4), di confidare in Dio, l’Unico, giusto e misericordioso, e di insegnare a farlo, anche nel nome di Gesù suo figlio. E di aspettare che il tempo guarisca le ferite dei cuori, e riporti pellegrini anche nella Gerusalemme terrena.
don Filippo Morlacchi
2/ Lettera aperta da Gerusalemme
Riprendiamo sul nostro sito una lettera aperta scritta da Gerusalemme da don Filippo Morlacchi il 13/10/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Terra santa e Dialogo fra le religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (17/10/2023)
Gerusalemme, venerdì 13 ottobre 2023
Sono a casa, a cento metri scarsi dalla porta di Damasco. Ieri sera mentre cenavo ho sentito un furore di sirene e massicci movimenti di militari e poliziotti. Mi sono affacciato, e ho visto decine di uomini e donne con le armi puntate verso qualunque cosa si muovesse. Ho intuito che c’era stato un attentato nei pressi. E infatti davanti alla porta di Erode – cinquecento metri da casa – un palestinese con una rudimentale arma da fuoco aveva aggredito i poliziotti all’uscita del commissariato locale, ferendone due, prima di essere a sua volta crivellato di colpi.
La chiazza del suo sangue, stamattina, è ancora là per terra. Ma temo che quel sangue sia meno di una goccia, rispetto a quello che sta per essere versato, copiosamente, altrove. In risposta al brutale, violento, osceno, inumano assalto di sabato scorso, che ha visto barbaramente trucidati oltre mille innocenti civili ebrei, Israele ha dichiarato una guerra senza limiti ad Hamas. Da alcuni giorni i bombardamenti su Gaza non sono più effettuati “con precisione chirurgica”, cioè cercando di ridurre il “danno collaterale” (la morte dei civili innocenti), ma sono finalizzati – è lo stesso esercito israeliano a dichiararlo – alla distruzione di Hamas, “costi quel che costi”.
Le autorità militari israeliane ieri hanno ordinato di sfollare la popolazione civile in 24 ore da tutto il nord della striscia. Si attende un attacco via terra, evidentemente con carri armati, forse protetti dai droni e dall’aviazione. Ma come può un milione e passa di persone evacuare da un territorio già devastato in una sola giornata, senza benzina e senza mezzi? E per andare dove, poi?
L’intera popolazione di Gaza è sotto assedio, e non riceve più acqua, elettricità, medicine né altri rifornimenti ormai da giorni. Si contano già più di 1500 morti sotto le bombe: terroristi di Hamas, certo. Ma anche bambini, donne, vecchi... che probabilmente non si riconoscevano affatto nelle deliranti aspirazioni di Hamas. Eppure, sono morti.
Anche la piccola comunità cristiana di Gaza, composta da un migliaio di cristiani, di cui poco più di 150 cattolici, è gravemente minacciata, anche se del tutto innocente. Da una suora amica ho saputo che alcune religiose lì presenti, che accudiscono anche alcune famiglie musulmane bisognose, hanno detto: “non possiamo abbandonare i nostri bambini”. Che coraggio. Che amore!
Oggi è venerdì. Hamas ha convocato il mondo arabo e islamico ad una giornata di rabbia e manifestazioni contro Israele, e contro l’assedio e i bombardamenti di Gaza. Non sappiamo cosa potrà succedere, né qui a Gerusalemme, né in Israele o nel resto del mondo.
Siamo in attesa degli eventi, cercando di scongiurare il peggio. Possiamo farlo con la preghiera, tutti; e dobbiamo farlo. Chi può ed ha una voce più autorevole, lo fa mediante interventi diplomatici, colloqui, appelli, implorazioni alla ragionevolezza. Umilmente, come posso, lo faccio anch’io.
Cari fratelli ebrei, mi rivolgo in primo luogo a voi. Ricordatevi la “legge del taglione”, scritta nella Torah, la vostra legge: «occhio per occhio, dente per dente... bruciatura per bruciatura, ferita per ferita» (Es 21,24s). Sì, è vero noi cristiani siamo quelli che “porgono l’altra guancia” (cfr Mt 5,39), e voi no: lo sappiamo. È stato il nostro maestro – era vostro, però! – ad averci insegnato ad andare oltre, a perdonare fino a “settanta volte sette” (cfr Mt 18,21). Ma voi, voi che non accettate l’insegnamento del perdono cristiano, rispettate almeno la legge del taglione: uno a uno, non di più. Non ritornate alla violenza brutale di Lamec: «Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gen 4,23s).
Avete diritto di difendervi, nessuno può negarlo: ma non fatelo in maniera sproporzionata ed eccessiva, sterminando decine di migliaia di innocenti per raggiungere i terroristi nemici. Ricordatevi di Abramo, vostro padre: «Abramo si avvicinò [al Signore] e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio...» (Gen 18,23-25). È la Torah, la vostra legge che lo insegna. Ascoltatela! «Ascolta, Israele!...».
E voi, musulmani, seguaci del Profeta, che pure siete nostri fratelli: perché continuate a praticare la violenza in nome di Dio? Perché molti di voi non vogliono riconoscere il sacrosanto diritto all’esistenza dello Stato di Israele? Perché invece di lottare audacemente con gli strumenti della diplomazia e della ragione per difendere il vostro diritto – altrettanto sacrosanto – ad un’esistenza serena e pacifica in Palestina, vi siete accaniti brutalmente contro vittime innocenti, alimentando la spirale del terrore e dell’orrore? Possibile che l’unico modo di promuovere la vostra causa sia l’attentato, l’omicidio, la violenza cieca, e adesso anche una violenza efferata e deliberatamente rivolta a singole persone innocenti? Così anche una giusta causa viene difesa in modo sbagliato e diventa ingiusta! Perché, delle vostre Sacre Scritture, ritenete solo i versetti che inneggiano alla guerra, e non quelli che esprimono il desiderio di pace, che pure sono presenti nel Corano? E soprattutto: perché non ascoltate la voce di tanti di voi, la gente semplice del popolo che, pur soffrendo, non vuole odio e vendetta, ma solo pace e giustizia?
Questi sono i pensieri che mi agitano la mente e il cuore. È passata l’ora della preghiera alla Moschea. I tanti giornalisti che si erano assiepati nei pressi della Porta di Damasco sono andati via.
Sembrano quasi delusi, perché non ci sono stati scontri violenti da documentare. Le forze dell’ordine, infatti, hanno impedito ai fedeli islamici di avvicinarsi alle mura della città vecchia e alla Spianata delle moschee, fermando a distanza quasi tutti, tranne i più anziani. Non so cosa sia stato detto nel sermone ad Al-Aqsa, il primo pronunciato dopo l’eccidio di sabato scorso. Spero non siano state parole di odio: non ne abbiamo bisogno. E come Abramo, «saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18) spero che il terrore degli abitanti di Gaza, impotenti dinanzi alle bombe e ai carrarmati, non diventi presto il flebile lamento dei superstiti, se ce ne saranno.
Signore, pietà. Già troppi fratelli ebrei hanno sperimentato l’insensata e tragica routine della morte: violenza e rumore di armi; poi grida e terrore; poi silenzio agghiacciante; poi gemiti e pianto disperato. E così pure tanti, troppi fratelli arabi, a Gaza e altrove: esplosioni, urla, silenzio e pianto.
La spirale della morte è identica ovunque, e va fermata. Basta. La gente vuole solo vivere in pace.
Domine, dona nobis pacem.
don Filippo Morlacchi