Ma ubriacarsi può veramente essere considerato un diritto?, di Massimo Calvi
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Massimo Calvi pubblicato il 13/9/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Educare e Diritti.
Il Centro culturale Gli scritti (24/9/2023)
Di recente sulla pagina di un sito di informazione è apparso questo titolo: «Noi donne abbiamo il diritto di ubriacarci e mettere la minigonna». La dichiarazione è stata rilasciata da una persona famosa abbastanza da meritarsi lo spazio di una notizia. Apparentemente in questa frase non c’è nulla di sbagliato, negli ultimi giorni abbiamo ascoltato molte affermazioni di questo tipo discutendo di abusi e violenze e di cosa sia giusto o sbagliato dire in pubblico, tra tensioni educative, spinte legislative o gaffes televisive.
È evidente che una donna, come chiunque, debba poter vivere la propria vita serenamente, senza che lo stile o il comportamento inducano qualcuno a ritenere di poter limitare questa libertà. Tuttavia un’affermazione pensata in difesa del diritto all’emancipazione può scivolare nel paradosso nel momento in cui si trasforma nella tutela di un aspetto un po’ più controverso, ovvero il “diritto” all’ubriacatura.
Pensiamoci bene: ubriacarsi – e che si tratti di uomini o donne non fa alcuna differenza – è veramente un diritto? È corretto e conveniente, cioè, diffondere e propagandare l’idea che bere fino a perdere il controllo di sé sia un diritto, e non invece una semplice possibilità? Esiste il diritto di divertirsi, di stare con gli amici e le amiche, di uscire fino a notte fonda, di bere o fumare. Ma ubriacarsi, fino a non sapere più chi si è e dove ci si trova, è la conseguenza di una libertà che sconfina nell’autolesionismo, è la deriva tossica e la manifestazione di un disagio, un comportamento che può generare conseguenze gravi per sé e per gli altri.
Tra giovani e giovanissimi l’abuso di alcool rappresenta da tempo un’emergenza. Ci sono ragazzi e ragazze, e tra loro moltissimi minorenni, che ogni fine settimana “azzerano le tensioni” sfidando il coma etilico: vengono soccorsi dai volontari delle ambulanze, sono aiutati a rimettersi insieme dagli autisti degli autobus notturni, trascinati a casa dagli amici, oppure si risvegliano la mattina in un’aiuola. I maggiorenni che riescono a tenere gli occhi aperti spesso si mettono al volante, e può andare tragicamente peggio. Vivere, questo sì, è un diritto.
Ma se non si può proibire a nessuno di ubriacarsi, pensare che sia un comportamento da tutelare socialmente, quasi una frontiera di progresso e libertà per uomini e donne, equivale a incoraggiare una pratica che non è mai priva di conseguenze, pure se i “lupi” sono stati tutti addomesticati. L’abitudine a ubriacarsi fino a perdere ogni controllo e ogni freno è rivelatore di un malessere e di una solitudine. Non si dice a un giovane: hai tutto il diritto di farti del male. Se c’è un diritto che in questo caso avrebbe invece senso rivendicare, è quello a essere aiutati. In una fase storica in cui si presta attenzione a ogni parola detta e a ogni lettera stampata, potrebbe essere importante considerare il dovere di utilizzare un linguaggio capace anche di educare.