Janine Di Giovanni narra il calvario dei cristiani in Medio Oriente. La giornalista racconta in modo partecipe la situazione dei fedeli nella morsa dello Stato islamico. Ma anche là dove la persecuzione è più sottile e strisciante, di Roberto Righetto
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Roberto Righetto, pubblicato il 31/7/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Islam: la questione della libertà religiosa, dei diritti e della violenza.
Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2023)
Un gruppo di donne cristiane in preghiera
a Baghdad - Ansa/Odd Andersen
Giustamente nel Rapporto 2023 di Aiuto alla Chiesa che soffre sulla libertà religiosa nel mondo, diffuso nel giugno scorso, oltre a fare il punto sulle tante forme di violenza contro la fede in atto nel globo, si accenna alle «persecuzioni educate» che colpiscono il cristianesimo in Europa. Si tratta di persecuzioni di tipo culturale, che si rivolgono ai simboli della fede cristiana e non risparmiano le chiese, che vengono deturpate o saccheggiate, ma pure persone e comunità che non accettano il pensiero dominante – vedi il discorso del gender e l’ingiusta accusa di omofobia a chi sostiene che esiste ancora una differenza fra maschile e femminile.
È la cancel culture, che arriva a denigrare persino la Bibbia per le sue pagine in cui si dà spazio a episodi di violenza.
Ma nel Rapporto impressiona ancora una volta la condizione di vessazione in cui vivono i cristiani del Sahel, così come lo stato di emarginazione in Medio Oriente. Ed è a questa situazione che è dedicato un corposo volume di Janine di Giovanni, storica inviata di guerra per le principali testate americane, dal titolo La fede scomparsa. Il tramonto del cristianesimo nella terra dei profeti (La nave di Teseo, pagine 380, euro 22,00). «Un ritratto tragico di un mondo che sta scomparendo», l’ha definito Salman Rushdie, ed effettivamente il libro è una descrizione drammatica e desolante della realtà di minoranza dei fedeli in Cristo in Iraq, Egitto, Siria e Palestina, con cifre ridotte sempre più al lumicino a causa dei conflitti che hanno imperversato in quelle terre, e in alcuni casi sono ancora in corso.
Ecco la sintesi dell’autrice: «Più del 93 per cento delle persone che vivono nel Medio Oriente oggi si dichiarano musulmane. I gruppi fondamentalisti islamici, in particolare l’Isis, hanno devastato parti dell’Iraq e della Siria e hanno condotto la già decimata popolazione cristiana di quei paesi sull’orlo dell’estinzione. In Egitto i cristiani copti affrontano discriminazioni giuridiche e sociali. A Gaza, che nel IV secolo era interamente cristiana, restano meno di mille cristiani».
Non a caso, dopo aver visitato per lunghi anni quell’area del pianeta, la giornalista, che racconta di essere lei stessa tornata alla fede cattolica dopo anni di agnosticismo, attratta dalla bellezza dei riti e dal senso di appartenenza a qualcosa di più grande , arriva a chiedersi: «Non posso non pensare alla fede senza pensare a come le persone sopravvivono quando non hanno alcuna idea di speranza; come fa a sussistere la fede in tempi e luoghi in cui c’è un vortice infinito, una tempesta di male?».
Il male assoluto pareva essersi manifestato nel 2014 con la creazione dello Stato islamico fra Iraq e Siria: il califfato volle cancellare ogni traccia di presenza cristiana, sterminando interi nuclei famigliari oppure costringendoli alla conversione forzata.
Città come Mosul e Qaraqosh, Erbil e Kirkuk, Homs e Maalula – cittadina in cui si parla ancora l’aramaico – furono saccheggiate, le chiese distrutte, le popolazioni massacrate o deportate. Fu davvero «il punto di non ritorno, forse la fine del cristianesimo in Medio Oriente».
Più che le analisi, sono le testimonianze dei cristiani che di Giovanni ha incontrato prima e dopo, molti dei quali salvatisi perché fuggiti all’estero, in America e in Europa, ad emozionare. Come nel racconto di Sara Bahodij, ventitreenne di Mosul, che parla dei primi giorni dopo l’arrivo dei miliziani dell’Isis: «Andavano a cercare i cristiani casa per casa», segnando le porte con la lettera N, riferita a Gesù il Nazareno.
Di lì la decisione di scappare, così come Nazar Esa, che abitava a Qaraqosh. Col crollo dell’Isis, nel 2017, assieme alle loro famiglie sono tornati, «ma la vita adesso è difficile come vivere in esilio. Riceviamo solo promesse. Promesse di una nuova casa, di lavori. Promesse che vivremo in pace». L’alternativa è la fuga all’estero, in Canada o negli Usa, ma «la vita a Istanbul sarebbe stata migliore?».
Commenta padre Isaac Royel, prete ortodosso che vive nel monastero di Rabban Ormisda, dalle parti dell’antica Ninive: «Questo paese è la nostra radice. Per chi da Oriente si trasferisce in Occidente è molto difficile, perché si viene assimilati. Noi quindi scompariremo del tutto. L’Occidente è tecnologia, conoscenza. L’Oriente ha un che di più tradizionale. Se qualcosa viene distrutto, non lo si può più ricostruire».
Anche l’invasione americana in Iraq, nel 2003, così come poi le primavere arabe, hanno avuto conseguenze negative per la vita dei cristiani in Medio Oriente, finendo per compromettere la sicurezza di innumerevoli comunità non solo in Iraq, ma in Siria, Egitto e persino in Libano.
Queste ultime due sono le nazioni in cui la presenza cristiana resiste, ma è comunque sempre più in calo. Situazione aggravata dal fondamentalismo islamico e dalla crisi economica. E da una violenza a volte strisciante, che fa sì che i cristiani siano esplicitamente invitati ad andarsene, o a convertirsi.
Ciò vuol dire che i cristiani stavano meglio quando c’erano i dittatori come Saddam, Mubarak o Assad? Ne è convinto Khalil Jouayed, cristiano di Aleppo che ora vive a Los Angeles.
Se le prime proteste contro il regime siriano avevano visto partecipare anche i cristiani, che chiedevano maggiore libertà assieme ai musulmani che scendevano in piazza, a poco a poco l’ondata islamista ha prevalso. Se avessero vinto la guerra, inevitabili sarebbero stati «massacri, addirittura genocidi verso i cristiani. Gli islamisti, una volta che hanno preso il potere, non credono nella democrazia. Per loro la sharia e il Corano sono le uniche leggi. Di fronte a due opzioni cattive, si sceglie la meno peggio». Ad Aleppo, oltre il 75 per cento dei cristiani sono fuggiti e non pensano di tornare anche dopo che l’esercito regolare siriano l’ha riconquistata.
Così a Gaza, i pochi cristiani rimasti vivono schiacciati fra i fondamentalisti di Hamas (spaventoso il racconto di quanto accaduto a Rami Ayyad, proprietario cristiano della “Libreria dell’Insegnante”, con annesso internet café, rapito e ucciso dai jihadisti perché non voleva chiudere il negozio), e le vessazioni degli israeliani, mentre in Egitto, dove i copti godono di una certa libertà, si vive sempre più nella paura, quasi in uno stato d’assedio.
Chiese e comunità subiscono attentati, soprattutto durante le festività di Natale e Pasqua, senza ricevere adeguata protezione dallo Stato. Dice un monaco del monastero Baramos, nel deserto di Nitria a ovest del delta del Nilo: «Più siamo perseguitati, più preghiamo». Un altro aggiunge: «Ci hanno preso tutto il resto, ma non Dio». La millenaria presenza dei cristiani in Medio Oriente sta per essere sradicata: dovremmo davvero chiederci che significato ha il loro destino per l’Occidente.