Fede, ragione e dialogo tra le religioni. Se conosciamo noi stessi possiamo confrontarci con gli altri, di Jean-Louis Tauran
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 23/12/2010 la trascrizione di una lectio tenuta presso l'Institut Catholic di Parigi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri testi su teologia e religioni vedi, su questo stesso sito, la sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (31/12/2010)
Pubblichiamo ampi stralci della lezione tenuta dal cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso in occasione del dottorato honoris causa che gli è stato conferito dall'Institut Catholic di Parigi.
Ci sono coincidenze nella storia che in realtà sono appuntamenti. Il 25 agosto 1900, a Weimar, uno scrittore moriva nella follia, Friedrich Nietzche. Qualche tempo prima, aveva composto una sorta di biografia, Ecce Homo, rivelatrice dell'angoscia che lo attanagliava: "Dov'è Dio?" si chiedeva. "Ve lo dirò io: l'abbiamo ucciso, voi e io. Dio è morto, siamo noi ad averlo ucciso". Nello stesso momento, a Roma, un vecchio Papa, Leone XIII (aveva allora 90 anni) redigeva quella che sarebbe stata l'enciclica Tametsi futura, resa pubblica il 1° novembre 1900. "Bisogna reintegrare il Signore Gesù nel suo ambito; molti sono lontani da Gesù Cristo, più per ignoranza che per perversità; numerosi sono quelli che studiano l'uomo e la natura, ben pochi quelli che studiano il Figlio di Dio. Supplichiamo quanti sono cristiani di fare tutto il possibile per conoscere il loro Redentore com'è veramente".
L'accostamento dei due testi rivela il dramma spirituale che vivono ancora gli uomini e le donne di quel tempo. Da un lato, la ribellione dell'intelligenza e dall'altro l'adesione a un Dio che esercita la sua sovranità sulla mente di ognuno nella concretezza del quotidiano. Abbiamo sperimentato cos'è il mondo senza Dio: l'inferno. L'umanità nel secolo scorso ha conosciuto la notte dei due totalitarismi che hanno generato gli eccessi che conosciamo fin troppo bene. Essi avevano annunciato la morte di Dio, organizzato la persecuzione dei credenti ed escluso definitivamente la religione dalla sfera pubblica.
Ma Dio, che era stato congedato, in realtà era sempre lì. Come poteva essere diversamente? L'ateismo insegnato e praticato non è mai riuscito a eliminare Dio dall'orizzonte dell'uomo. La ricerca di Dio nasce più forte che mai, il sacro interroga, la presenza di un islam europeo che si afferma, il successo delle sette, l'attrazione esercitata dalle forme di saggezza provenienti dall'Asia, il lungo Pontificato di Giovanni Paolo II che ha ridato alla Chiesa la sua visibilità e l'insegnamento di Papa Benedetto XVI che le dà la sua interiorità, hanno contribuito a farci ricordare che l'uomo è prima di tutto la creatura che s'interroga sul "senso del senso" (Paul Ricoeur).
È la coscienza - la facoltà di riflettere sul proprio destino, sul senso della vita e della morte - a distinguere l'uomo dai regni vegetale e animale. Egli è il solo a prevedere un aldilà. La religione non è un momento particolare della storia, essa appartiene alla natura dell'uomo. Nelle nostre società multiculturali e plurireligiose, credenti o non credenti, tutti, ci poniamo le tre domande fondamentali di Emmanuel Kant: che cosa posso conoscere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare?
Credenti o non credenti, aspettiamo qualcosa che dia senso alla nostra esistenza, che salvi la nostra vita dall'inutilità e dall'abisso. Alcuni lo trovano nella politica, altri nell'apparire, altri ancora nell'edonismo. Come ha così ben osservato Dostoevskij: "L'uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa (...) se l'uomo rifiuta Dio, s'inginocchierà davanti a un idolo. Noi siamo tutti idolatri e non atei". Il desiderio di credere è così forte nell'uomo che, dopo aver espulso Dio dalla propria vita, un'altra fede vi s'insedierà: la fede in un altro assoluto che non è altro che l'uomo stesso: "Homo homini deus" per dirla come Feuerbach. Ieri Dio era assente; oggi ci sono troppi dei!
È in questo contesto che si situa il dialogo interreligioso. Quando i credenti dialogano, cercano di conoscersi e di arricchirsi gli uni gli altri con il loro patrimonio spirituale, rispettando allo stesso tempo la libertà di ognuno, al fine di considerare quello che possono fare insieme per il bene della società. Il dialogo interreligioso non ha come fine la conversione dell'altro, sebbene spesso la favorisca. Il dialogo interreligioso sarà però autentico solo se ognuno resterà fedele alla propria fede. Non la si mette affatto fra parentesi; al contrario la si approfondisce per essere meglio in grado di darne conto.
Direi che tre atteggiamenti s'impongono: il dovere dell'identità, avere un'identità spirituale (problema dell'ignoranza in materia di religione); il coraggio dell'alterità, gli altri credenti possono arricchirmi; la franchezza delle nostre intenzioni, testimoniamo, proponiamo, evitando gli eccessi del proselitismo. Ma il paradosso sta nel fatto che le religioni sono spesso percepite come un pericolo: fanatismo, fondamentalismo, derive settarie, sono di frequente associate alla religione, e ciò soprattutto a causa di azioni terroristiche ispirate da motivi religiosi, perpetrate da adepti sviati e minoritari di una religione.
"Nessuna circostanza vale a giustificare tale attività criminosa, che copre di infamia chi la compie, e che è tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale". Non conosco condanna più sferzante di quella di Benedetto XVI pronunciata davanti al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede all'inizio del 2006. In effetti le religioni - o piuttosto alcuni credenti - sono capaci del meglio come del peggio. Le religioni possono mettersi al servizio di un progetto di santità o di alienazione: possono predicare la pace o la guerra. Da qui la necessità per i loro responsabili di coniugare fede e ragione.
Cosa possono apportare le religioni alla società? Sono una risorsa? La mia risposta è evidentemente affermativa. Se esiste un umanesimo, esso affonda le sue radici nell'humus cristiano: la persona umana come valore supremo, la sua dignità, i suoi diritti fondamentali, il principio di solidarietà e di sussidiarietà, la giustizia e la pace sono valori cristiani. La prima scuola nel continente europeo è fondata da un monaco, Alcuino, alla corte di Carlo Magno. È la Chiesa cattolica a fondare le prime università. Le élite del continente africano e di quello asiatico sono state formate in istituti d'istruzione cristiani. Ci sono pensatori e teologi all'origine del diritto delle genti.
È il Papato a realizzare le prime meditazioni di pace. Infine, bisogna ricordare che è stato il cristianesimo a riuscire a far inscrivere nelle società moderne la distinzione fra il fatto politico e il fatto religioso, principio che ha sconvolto le relazioni internazionali. Tutte le religioni ritengono la famiglia come l'ambito in cui s'impara a vivere insieme; che la terra, quella in cui sono nato, con la sua storia, modella la mia identità; che l'educazione è non solo conoscenza ma anche trasmissione di valori e che la politica e l'economia non sono il tutto dell'uomo; infine che la vita interiore è necessaria.
La grandezza dell'ebraismo, come quella dell'islam, consiste indubbiamente nel denunciare l'idolatria. La grandezza del cristianesimo nel ricordare che Dio si è fatto uomo affinché diventassimo suoi figli. Insieme dobbiamo denunciare ogni pretesa dell'uomo a farsi Dio. Non dimentichiamo mai che la tentazione del paganesimo è di divinizzare tutto.
Tutti i credenti dovrebbero poter unire le loro buone volontà quando si tratta di servire, di curare, di educare. Purtroppo però due grandi ostacoli condizionano il diffondersi dei credenti: la crisi dell'intelligenza e la difficoltà della trasmissione dei valori.
La crisi dell'intelligenza: siamo uomini e donne superinformati, ma abbiamo grandi difficoltà a pensare, a mettere in ordine le nostre idee, ad assaporare il silenzio. Ciò che manca di più all'uomo di oggi è una vita interiore. Pascal diceva: "La grande disgrazia degli uomini è che non sanno stare a riposo nella propria stanza".
La crisi della trasmissione dei valori: siamo assicurati contro tutti gli infortuni, salvo la malattia e la morte, e ciò che importa è sentirsi senza vincoli, anche se per questo si deve sacrificare un amico, un parente, un collega. Si pratica un umanesimo sociale che si riduce a dire: non facciamo il male, ma non abbiamo bisogno di Dio per fare il bene! È un mondo chiuso a Dio! L'uomo è capace di vere imprese; non si deve aspettare nulla da Dio!
Ora noi cristiani faremo sempre resistenza di fronte a questo mondo. Con le parole di Pascal: "Al di fuori di Gesù Cristo non sappiamo né cos'è la vita, né cos'è la morte, né cos'è Dio, né cosa siamo noi stessi". Ma è a questo mondo, al nostro mondo, che dobbiamo annunciare Gesù Cristo e il suo Vangelo, "con dolcezza e rispetto", come raccomanda Pietro. Di fatto l'unico problema esistente, e che è il valore fondamentale da trasmettere e da proporre, è di sapere se c'è stato un caso unico in cui un uomo ha avuto il diritto di dire di essere Dio; non perché quest'uomo si è fatto Dio, ma perché Dio si è fatto uomo. È tutto qui! Non è un'utopia!
Ecco cosa dobbiamo proporre, ecco cosa celebriamo. Se proviamo a volte qualche dubbio, un po' di sconforto, ricordiamoci di quei due doni magnifici con cui Dio ci ha gratificati: un'intelligenza per comprendere e un cuore per amare.
Non dobbiamo essere complessati. Si dice che siamo minoritari. Diciamo che siamo una minoranza che conta! Nel Collège des Bernardins, Benedetto XVI ha magistralmente ricordato la novità dell'annuncio cristiano. Questa novità non è altro che la possibilità di dire ora a tutti i popoli: "Egli si è mostrato. Egli personalmente. La novità dell'annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato". Il Papa proseguiva dicendo che i nostri contemporanei, nonostante le apparenze, sono essi stessi alla ricerca di Dio e devono essere messi in condizione di poter "cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati". E concludeva: "Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi". La ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo restano ancora oggi il fondamento di qualsiasi cultura vera.
Il dialogo interreligioso non può riposare su una base d'ignoranza globale. Noi abbiamo delle radici; dobbiamo conservare il patrimonio umano e spirituale che ci ha modellati. Abbiamo un ruolo da svolgere dal momento che tanti giovani sono eredi senza eredità e costruttori senza modello.
Nel 1905 Ferdinand Buisson non esitò a scrivere: "Per l'educazione di un bambino che deve diventare uomo, è bene che sia, di volta in volta, messo a contatto con i versetti appassionati dei profeti d'Israele e con i filosofi greci, che abbia conosciuto e sentito qualcosa della Città antica. Sarà bene che gli si facciano conoscere e ascoltare le più belle pagine del Vangelo, come pure quelle di Marco Aurelio, che abbia sfogliato, come Michelet, tutte le Bibbie dell'umanità, che gli si faccia attraversare, non con pregiudizi e con spirito critico, ma con calorosa simpatia, tutte le forme di civiltà che si sono succedute. Ciò che risulterà da questo studio non sarà il disprezzo, l'odio, l'intolleranza, al contrario sarà una profonda simpatia, un'ammirazione rispettosa per tutte le manifestazioni del pensiero incessantemente in cammino verso un ideale incessantemente in crescita".
Il secolo che inizia ha ereditato da quello che l'ha preceduto: come lo scorso secolo anche questo è dominato dall'economia, dalle guerre e dalle disuguaglianze. Ma è anche arricchito dai progressi delle scienze e della tecnica. I nostri contemporanei sono più consapevoli delle loro responsabilità nella gestione delle risorse naturali e nell'uso da fare dei risultati della ricerca scientifica. Dopo aver dominato le realtà fisiche, ci si avventura ora nel dominio del vivente. Una domanda sorge spontanea: andiamo verso uno scontro o verso un dialogo fra culture e religioni? Come cristiani quale sarà il nostro contributo? Saremo ispiratori o accompagnatori? È indubbiamente difficile rispondere, ma sono convinto che il cristianesimo, che non è mai stato tanto universale come lo è oggi, saprà, come ha saputo fare nel corso della sua lunga storia, approfittare della globalizzazione - che è un dato di fatto - per offrire il suo contributo a due necessità che quest'ultima non è stata in grado di assicurare: la giustizia e la pace. Lo faremo nella Chiesa, questa Chiesa talora con il volto segnato, ma sempre nascente, che genera apostoli capaci di osare affinché questa terra non sia mai priva di speranza e di amore.
Si pone spesso la domanda: il cristianesimo morirà? Personalmente mi pongo un'altra domanda; quando il cristianesimo inizierà a esistere? Ciò che è allo stesso tempo magnifico e terrificante è che Dio ci lascia liberi. Noi possiamo dire "no" a Dio! Abbiamo il potere di salvarci o di perderci. Il problema non è né la morte, né l'assurdo, è la libertà. Tale è Dio, tale è l'uomo. Il che faceva dire al grande poeta tedesco contemporaneo di Goethe, Friedrich Hölderlin: "Dio ha creato l'uomo, come il mare fa i continenti, ritirandosi".
(©L'Osservatore Romano - 23 dicembre 2010)