“Madre” è quasi un insulto: e se fosse questo il vero motivo della crisi delle vocazioni a diventare suora? Breve nota di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Annuncio del Vangelo e Educazione e cultura.
Il Centro culturale Gli scritti (11/6/2023)
Ci si interroga sulla crisi della vita religiosa, sulla crisi degli ordini religiosi femminili. Eppure c’è una crisi più generale che la avvolge e la stritola.
È la maternità stessa ad essere in crisi. La parola “madre” sembra quasi un insulto. Dire ad una ragazza che diventerà “madre” sembra essere qualcosa di anacronistico, di sorpassato, di vetusto.
Gesù è stato il primo – e l’unico - a mostrare che la felicità di una donna non consiste nella maternità fisica, ma che esiste anche la maternità spirituale.
In tutte le altre religioni e civiltà, una donna “deve” essere madre, ma solo fisicamente.
Per il Cristo, con l’annunzio della verginità, diviene possibile e feconda una nuova “maternità”, quella spirituale.
Generare la vita e custodirla, darle origine ed educarla, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Per tale annunzio nacquero il servizio disinteressato, l’educazione, l’amore ai più deboli, la direzione spirituale femminile, la formazione culturale delle donne, l’amicizia fra donna e uomo.
Ma anche per il Cristo non esiste felicità senza maternità – così come specularmente non esiste felicità per un uomo senza una paternità.
La maternità e la paternità possono essere anche spirituali, ma sono costitutive, perché pongono gli uomini nella prospettiva del futuro, delle nuove generazioni. La fecondità, l’amore a chi verrà, non è accessorio, quasi che basti il presente.
Non esiste felicità se io non vivo anche per le generazioni che verranno. Sia che le generi io, sia che le generino altri ed io ne abbia semplicemente cura, maternamente e paternamente.
Ecco il significato proprio della vita religiosa femminile, così come di altre vite femminile non egocentrate, ma dedite ad altri: una sponsalità spirituale – l’amore al Cristo – e l’amore ai suoi figli e fratelli.
La crisi della vita religiosa femminile è speculare alla crisi della vita matrimoniale e materna in senso fisico.
Se si vuole comprendere qualcosa del calo del numero delle vocazioni alla vita di verginità, bisogna vedere anche lo speculare calo di vocazioni a sposarsi e a divenire madri di tanti bambini.
Solo una società che ami le nuove generazioni può comprendere la maternità e la maternità spirituale, la paternità e la paternità spirituale.
Oggi è il movimento ecologico – ma anche il confronto con le migrazioni che cercano lavoro per i loro bambini e le loro famiglie - che invitano a domandarsi quale mondo lasceremo a chi verrà dopo di noi, alle generazioni che verranno: è tale movimento che ci ricorda che siamo madri e padri dei figli che verranno, anche se da altri grembi.
Sono costoro a ricordarci che siamo madri e padri.
Madri e padri delle figlie e dei figli che un giorno saranno a loro volta madri e padri, madri e padri anche spirituali.
Perché non si tratta di vivere solo il presente e di approfittarne, ma di avere cura materna – e paterna – del mondo che verrà.