È problematico che, quando si parla di “normalità” di preti, si pensi solo ad un’eventuale moglie e non ad una professione lavorativa al di fuori della parrocchia: della distanza dalla vita del Sinodo tedesco. Breve nota di Giovanni Amico
Riprendiamo sul nostro sito una riflessione di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Teologia pastorale e Ecclesiologia.
Il Centro culturale Gli scritti (16/7/2023)
Un’evidente incongruenza appare nelle riflessioni di chi vuole che i preti si sposino. Tutti si preoccupano che il clero abbia una moglie, mentre nessuno si preoccupa che abbia una professione al di fuori delle parrocchie in un posto di lavoro “comune”.
L’esigenza che i preti lavorassero era invece caratteristica dell’età dei cosiddetti “preti operai”.
Allora, per mettersi alla stregua degli altri e per entrare nei risvolti della vera vita, tanti presero la via delle fabbriche, per fare i lavori di tutti.
Oggi, invece, come per proporsi come progressisti in politica si affronta solo la questione del gender e non quella del lavoro, così avviene in teologia pastorale: riguardo al clero non si parla di lavoro, ma solo di sesso.
Anche nel Sinodo tedesco che è in corso non appare minimamente all’ordine del giorno la questione economica: nessuno ha il coraggio di chiedere che il clero rinunci al denaro dello Stato. Nessuno chiede che i preti possano guadagnarsi il pane con il loro lavoro e mantenere poi la loro famiglia che eventualmente – secondo il Sinodo – dovrebbero poter avere. L’idea sarebbe quella di avere una famiglia, senza preoccuparsi di mantenerla.
Appare più seria, invece, la condizione del clero sposato delle chiese ortodosse. In esse, quando qualcuno si sposa prima di diventare sacerdote, accetta con il matrimonio anche l’incombenza di lavorare cinque giorni a settimana, fuori parrocchia, per mantenere la propria famiglia.
Anche san Paolo apostolo racconta di aver lavorato con le proprie mani – fabbricava tende – per non essere di peso ad alcuno.
Proprio la lontananza del clero dal mondo del lavoro, piuttosto che il fatto che non siano sposati, non permette ai sacerdoti, talvolta, di comprendere innanzitutto cosa sia un vero laico – un laico che non si perda in beghe parrocchiali, ma sia invece attento alla vita del mondo -, e, d’altro canto, gli impedisce di capire quella dimensione che caratterizza chi si sposa, tenuto a dover trovare e mantenere un lavoro con le proprie forze, per amore della propria famiglia: non deve mantenere solo sé stesso, ma anche i propri figli.