Fisichella: l'evangelizzazione è inefficace se non entra nella storia e nella cultura. In relazione ad Internet poi, la vera domanda “non è come utilizzare le nuove tecnologie per evangelizzare, ma come diventare una presenza evangelizzatrice nel continente digitale”, di Michele Raviart
Riprendiamo dal sito Vatican News (https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2023-04/fisichella-evangelizzazione-vocazione-irlanda.html#:~:text=Fisichella%3A%20l'evangelizzazione%20%C3%A8%20inefficace,e%20nella%20cultura%20%2D%20Vatican%20News ) un articolo di Michele Raviart pubblicato il 2/3/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Annuncio del vangelo.
Il Centro culturale Gli scritti (16/7/2023)
“La Chiesa non evangelizza perché è posta dinanzi alla grande sfida della secolarizzazione, ma perché deve essere obbediente al comando del Signore di portare il suo Vangelo a ogni creatura. In questo semplice pensiero si condensa il progetto per i prossimi decenni che dovranno trovarci in grado di comprendere a pieno la responsabilità che incombe sulla Chiesa di Cristo in questo particolare frangente storico”. A sottolinearlo è monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l'evangelizzazione, intervenuto alla conferenza su "Evangelizzazione e vocazione" che si è svolta al collegio di San Patrizio a Maynooth, in Irlanda.
Il cristianesimo è inserito nella storia
Uno dei tratti peculiari del cristianesimo, ribadisce il presule, “è la concezione di essere inserito nella storia”. La Chiesa, perciò, non può essere efficace nella sua opera di evangelizzazione se dimentica “come entrare nella cultura, e come creare storia”. In questo senso, quindi, “pensare all’evangelizzazione come se non esistesse l’esigenza dell’inculturazione, non è una strada che può essere percorsa”.
Evangelizzare nel continente digitale
Nel coraggio dell’evangelizzazione a scoprire nuovi percorsi e a seguirli “sotto l’azione dello Spirito”, continua monsignor Fisichella, non si può dimenticare “da una parte, l’esigenza di trasmettere ciò che ‘sempre da tutti e in ogni luogo è stato creduto’ e dall’altra quella di comprendere la nuova cultura che si affaccia e che determinerà i prossimi secoli: la cultura digitale”. Internet, infatti, “rappresenta certamente un’opportunità di dialogo, incontro e scambio tra le persone, oltre che di accesso all’informazione e alla conoscenza”, ma la vera domanda “non è come utilizzare le nuove tecnologie per evangelizzare, ma come diventare una presenza evangelizzatrice nel continente digitale”.
L'incontro con il Signore
L’uso degli strumenti digitali non può essere infatti l’unico strumento dell’evangelizzazione, che non può prescindere dall’incontro interpersonale. “Contrariamente” spiega il pro-prefetto, “saremo dinanzi a una virtualizzazione dell’evangelizzazione che viene ad accostarsi ad altri mondi virtuali sperimentati, con il rischio reale, tuttavia, di un’evangelizzazione debole e inefficace”. Al primo posto deve perciò sempre esserci il nostro incontro con il Signore, la nostra chiamata personale e la testimonianza degli effetti che questo ha avuto su di noi e la vocazione alla missione, che è “un elemento intrinseco al cristianesimo e, nello stesso tempo, diventa criterio di giudizio sull'efficacia della pastorale”.
La buona novella è un fatto che chiede di prendere posizione
Come gli apostoli chiamati dal Signore in Galilea, “quanti annunciano la parola di Dio sono investiti di un’autorità che viene dall’alto, ma richiede a chi l’accetta di essere discepolo dell’unico maestro”. Essere dinanzi a Cristo non permette infatti nessuna neutralità. Non si può rimanere gli stessi davanti alla meraviglia e allo stupore per il suo incontro. Solo con questa constatazione si può avere l’”autorità” per annunciare la “bella notizia”. “Non si sottovaluti l’uso del termine ‘notizia’ è di un’importanza capitale”, spiega ancora monsignor Fisichella, perché “significa, anzitutto, comunicazione di un fatto. Non siamo posti, infatti, dinanzi a un insegnamento, né a un’esortazione spirituale e tanto meno a una teoria per migliorare la società; no. Il riferimento alla 'notizia' è per sottolineare la verità sottostante: è un evento, un fatto che coinvolge chi ascolta e gli chiede di prendere posizione”.
Accompagnatori e accompagnati
“Aiutare a scoprire il primato di Dio nella nostra vita e la forza della sua grazia diventano”, allora prosegue il presule, “lo strumento mediante il quale giungere con consapevolezza a orientare la propria esistenza”, perché la vocazione, “non è mai un’improvvisazione”, ma “la scoperta di un progetto che viene da lontano del quale, forse, per distrazione”, non si era ancora consapevoli. Dalla prospettiva vocazionale questo significa “che abbiamo bisogno di una grande opera di accompagnamento dei nostri giovani”, con la consapevolezza “che quando si cammina insieme ci si accompagna reciprocamente e il movimento, pertanto, non è mai a senso unico”. Questo necessita “la saggezza di chi sa di avere una responsabilità per condurre una persona verso la libertà”. Il servizio dell’accompagnamento, quindi, è in primo luogo “quello di portare la persona all’incontro vivo con la Parola di Dio viva nella vita della Chiesa. La predicazione non è un fenomeno statico, ma dinamico. Essa fa riferimento alla parola che permane come espressione dell’interpellare, del provocare, del narrare, del sostenere, del consolare… insomma, la parola per sua stessa natura è dinamica”.
L'audacia di Dio di affidarsi all'uomo comune
Il comportamento e lo stile di vita dell’accompagnatore, infine, deve essere coerente con l’annuncio della Parola. “In un mondo così geloso della propria autonomia” ribadisce monsignor Fisichella, “il sacerdote mostra che non vi è contrasto alcuno tra autonomia e abbandono di sé nella sequela. La sua vita mostra che niente della sua umanità viene tolto nel momento in cui sceglie di seguire la chiamata al sacerdozio, e molto gli viene concesso”. “Ciò che viene chiesto al prete, alla fine, è appunto questo”, afferma, “essere segno concreto che l'amore di Cristo non è un'utopia né un fatto di cui sono capaci solo gli eroi, ma una realtà che uomini comuni possono vivere quando sono capaci di donarsi”. In questo, conclude il presule, c’è l’audacia Dio, “nel dover affidare tutto sé stesso a un uomo comune”, mettendo nelle mani di un sacerdote il suo corpo e la sua parola perché sia nutrimento e sostegno per la vita di quanti si avvicinano.