Ordinazioni sacerdotali a Roma: don Fabio Rosini: “C’è poco da rallegrarsi”. A poche ore dall’ordinazione di 11 presbiteri nella basilica di San Giovanni in Laterano, il direttore del Servizio alle vocazioni del Vicariato di Roma spiega che “non sono le vocazioni che mancano, non sono i seminaristi a scarseggiare, ma i grandi assenti sono proprio i cristiani in genere”, di Roberta Pumpo
Riprendiamo da AgenSIR un articolo di Roberta Pumpo pubblicato il 29/4/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Teologia pastorale. Cfr., in particolare, Sguardi sulla Chiesa del domani: la questione dei pochi preti e delle poche famiglie, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (21/5/2023)
Romano di nascita, sacerdote da 32 anni, da 12 responsabile della pastorale vocazionale del Vicariato di Roma, don Fabio Rosini conosce bene il “terreno” della Diocesi dove “la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!”. Quella della vocazione al sacerdozio è “una sfida” che affronta da tanto e sulla quale è intervenuto decine di volte con articoli, incontri e confronti. Alla vigilia dell’ordinazione di undici nuovi sacerdoti per la Diocesi, riflette che, basandosi sui numeri, “c’è poco da rallegrarsi”.
Senza giri di parole spiega che se a Roma, cuore della cristianità cattolica, città da oltre tre milioni di abitanti suddivisi in circa 340 parrocchie, vengono ordinati solo undici preti in un anno, considerando l’incremento dell’età media sacerdotale e di tutti i sacerdoti che raggiungono i 75 anni terminando il loro servizio, “vuol dire che fra qualche anno non avremo più i sacerdoti sufficienti per le parrocchie”.
Quello delle vocazioni nella Città eterna non è un problema nuovo per don Rosini il quale rimarca che “storicamente Roma ha sempre avuto poche vocazioni”. Il problema, però, non è tanto la mancanza di “operai nella vigna del Signore” ma un errore di lettura storico della situazione, “l’errore endemico” che la Diocesi si è trascinato per anni, ossia quello di “dopare” i numeri dei seminaristi accogliendo candidati non romani.
Ancora oggi molti ragazzi vogliono venire a Roma a farsi preti “ma bisogna dubitare di questo tipo di autopresentazioni, sospettando che alla base non ci sia l’amore per Cristo e il desiderio di mettersi alla Sua sequela, bensì il pensiero ‘di fare carriera’ o, se si viene da paesi poveri, ‘di sistemarsi lavorativamente’ – spiega -. Negli anni ’60 erano le diocesi che mandavano alcuni candidati, come una generosità ecclesiale, e per questo ancora oggi, in mezzo alla generazione più matura, trovare un prete romano è raro”.
E se da un lato questo è positivo, perché sono queste vocazioni da “fuori sede” che ancora oggi “tengono in piedi la Diocesi”, dall’altro bisogna fare i conti con il fatto che “la mancanza di vocazioni romane manifesta lo stato di una Chiesa sterile”.
Utilizzando una metafora, don Fabio Rosini spiega che a Roma non sono i pesci da pescare che mancano ma è l’acqua stessa in cui dovrebbero nuotare i pesci che manca. “Quando divenni incaricato di questo servizio, nel 2011, cercai di capire i numeri reali e scoprì che nelle parrocchie i gruppi giovanili erano composti, mediamente, da non più di una decina di giovani – afferma il direttore del Servizio alle vocazioni del Vicariato di Roma -. È evidente che non sono le vocazioni che mancano, non sono i seminaristi a scarseggiare, ma i grandi assenti sono proprio i cristiani in genere”.
Quindi non mancavano le vocazioni ma il popolo di Dio. Per il sacerdote negli anni si è rischiato di “continuare a fare una pastorale vocazionale che cercava di specializzare un materiale inesistente e non ci si è occupati di far crescere il popolo di Dio. Abbiamo continuato a dare per scontata la fede e la conseguenza è che non ci sono vocazioni. Bisogna annunziare il Vangelo, formare cristiani – chiosa -. Il cristianesimo non è un’etica, non è una filosofia come ha più volte detto Papa Benedetto XVI e come oggi ribadisce Papa Francesco”.
Per uscire dall’impasse la ricetta proposta da don Fabio è quella di ripartire dall’annuncio evangelico, di rivedere l’impostazione del catechismo dell’iniziazione cristiana che “continua ad avere un modello scolastico e non esistenziale”, di riportare il centro del kerygma nelle famiglie: “i veri seminari”.
Il popolo di Dio, aggiunge don Fabio, “non è cresciuto perché è crollata la famiglia come istanza educativa cristiana. L’anno liturgico, che è il vero cammino che condividono tutte le realtà ecclesiali, è crollato nelle case dove non si fa più il digiuno in Quaresima e dove il Natale è diventato un evento pagano scisso da un’esperienza di preghiera.
È necessario fare una pastorale delle famiglie ad hoc perché se i ragazzi vengono da famiglie veramente cristiane nelle quali si prega, ci si addestra al servizio e al perdono, allora sì che avremo ottimi preti. Ma se non si parte da un incontro personale con Cristo non avremo cristiani e quindi avremo sempre meno preti. Bisogna formare famiglie cristiane. Siamo in un diluvio culturale ed è tempo di costruire un’arca, che poi era una barca di coppie”.
Il sacerdote richiama quindi alla necessità di formare le coppie di sposi e di addestrare famiglie che siano, come sono sacramentalmente, delle piccole chiese che fungano, quali sono, i migliori luoghi di formazione. Per questo lo scorso anno ha salutato “con simpatia” l’iniziativa di Papa Francesco di pubblicare, in occasione dell’Anno “Famiglia Amoris Laetitia”, il documento del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita “Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale”. “Chi si prepara al matrimonio – conclude don Fabio – si prepara a costruire una piccola chiesa”. Da queste famiglie può arrivare una nuova generazione di presbiteri.