Caruso: «Sant’Agostino e “La Città di Dio”, il Vangelo preso sul serio». Padre Caruso, preside dell’Augustinianum, riflette sulla fede vissuta che coesiste nella società umana con le «logiche di potere e supremazia». Un’intervista di Giovanni Gazzaneo
Riprendiamo da Avvenire un’intervista di Giovanni Gazzaneo a padre Giuseppe Caruso pubblicata il 25/4/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Padri della Chiesa.
Il Centro culturale Gli scritti (14/5/2023)
Sandro Botticelli, “Sant’Agostino nello studio”,
1480 (particolare). Firenze, chiesa di Ognissanti -
Raffaello Bencini/Archivi Alinari, Firenze
«I cittadini di entrambe le città, che nel tempo coesistono, sono comunque dei pellegrini, abitano là dove sono anche sempre stranieri. Gli uni protesi a quella conversione che donerebbe speranza certa, gli altri all’impossibile di città ideale in terra. Un’energia straordinaria si sprigiona proprio da tale contraddizione, così come da quella in generale tra Civitas Dei e Civitas hominis. Il civis futurus è forza sradicante, mette in marcia e al lavoro l’intero globo, trasforma, innova. È rivoluzione permanente. Quando l’Occidente si appiattirà sulla dimensione dei soli scopi tecnicamente perseguibili, perdendo quel pensiero del Fine ultimo che ha imposto al potere mondano un confine insuperabile, tacerà insieme ad Agostino lo spirito d’Europa. Forse stiamo da tempo vivendo nel loro silenzio». Così scrive Massimo Cacciari nella monografia che “Luoghi dell’Infinito”, in febbraio, ha dedicato a sant’Agostino. E sul tema delle Città di Dio e Città dell’uomo si terrà un incontro domani a Pavia con il filosofo Cacciari e padre Giuseppe Caruso, preside del Pontificio Istituto “Augustinianum” a cui abbiamo rivolto qualche domanda sul pensiero del santo di Ippona.
Qual è l’attualità di sant’Agostino e come il Doctor Gratiae può aiutarci ad affrontare la nostra epoca, lui che ha vissuto in un periodo storico di lotte tra dinastie imperiali e di guerre barbariche?
Italo Calvino ha scritto che «Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». Anche Agostino continua a parlare all’uomo contemporaneo. Tuttavia è necessario intendersi sul senso di questa attualità. Non credo che sia possibile prendere di peso le risposte di Agostino per applicarle immediatamente alle situazioni della nostra epoca. Possiamo però far nostra la sua capacità di leggere la storia ponendosi idealmente nell’orizzonte dell’eternità, cioè consapevoli che molte delle cose che ci sembrano immutabili sono destinate a cambiare nel corso del tempo, ma che, in ultima analisi, non muta ciò che costituisce il più intimo e fondamentale desiderio dell’uomo: quello di una pienezza e di una pace che non vengono mai meno e che nessuno può conquistare se non gli vengono date in dono.
Nel De civitate Dei è chiaro l’intreccio tra la città dell’uomo e la città di Dio. Ma oggi la città di Dio sembra cancellata dall’orizzonte del mondo, o almeno di quel mondo che sembra fare tendenza, che domina il potere, l’economia, la comunicazione. Cosa comporta questa assenza?
La civitas Dei è l’insieme di quanti prendono sul serio il Vangelo e si sforzano di vivere santamente, magari senza essere noti ai più e forse nemmeno compresi. Ma sono loro, nella misura in cui compiono scelte disinteressate di altruismo e di servizio, per amore di Dio e degli altri, a rendere presente nel mondo la città di Dio, intrecciandola con quella degli uomini, cioè con l’insieme di quanti si lasciano guidare dalle logiche di supremazia, di potenza e di sopraffazione.
Il male è sempre stato portato come prova della non esistenza di Dio o di un Dio buono e onnipotente. Qual è la risposta di Agostino rispetto al male?
Il vescovo di Ippona non ha una risposta ultimativa a questo angoscioso problema, che tanto l’ha tormentato. Egli osserva che noi chiamiamo “male” diverse cose. Alcune di queste cose sono nell’ordine della natura e quindi, a uno sguardo più ampio e oggettivo, non sono propriamente “mali”. Il male morale, invece, è quello compiuto dall’uomo, che ama disordinatamente anche le cose buone create da Dio, come, per esempio, un uomo avido, per amore del profitto (cioè di un insieme di beni materiali), sfrutta e strumentalizza altri uomini, verso i quali dovrebbe essere ben più solidale che verso le cose. Agostino pensa che i mali fisici, cioè le malattie, siano in un modo misterioso ma reale la conseguenza introdotta nel mondo dal disordine morale, cioè dal peccato degli uomini che, senza eccezione, sono misteriosamente solidali nel male. Egli non sa spiegare perché le malattie si accaniscano più verso alcuni che verso altri. Di una cosa però è sicuro: Dio è buono e tutte le cose che ha creato sono buone. In senso ontologico, quindi, il male non esiste e va pensato come qualcosa che danneggia realtà che sono buone. Così, per esempio, la cecità non è “qualcosa”, ma è il modo con cui chiamiamo la privazione di qualcosa, cioè della capacità di vedere. Per Agostino anche il diavolo, in quanto creatura intelligente e libera, è buono in origine, ma purtroppo ha pensato e voluto il male: «E il diavolo, anche se è il nostro nemico, non può abbattere se non chi gli dà retta».
Oggi il relativismo, anche più becero, sembra farsi beffe della verità. La verità è al centro non solo della ricerca ma della vita stessa di Agostino. Cos’è, meglio chi è la verità per Agostino, come possiamo cercarla e come possiamo comunicarla?
Egli ci racconta di aver attraversato una fase scettica, una totale incertezza sulla possibilità di conoscere il vero. E lo scetticismo è come il “brodo di coltura” di ogni relativismo. Agostino trova il punto di partenza per un cammino verso la certezza nell’autocoscienza personale: io esisto e so di esistere in modo indubitabile. Se questo è vero, resta dimostrato che l’uomo può conoscere almeno una cosa vera. La conoscenza della verità è una condizione imprescindibile per essere felici e pertanto il desiderio della felicità ingloba in sé quello della verità. Per conoscere davvero, si deve cogliere il senso ultimo di tutto ciò che esiste, quel senso profondo che Dio gli ha assegnato all’atto della creazione compiuta – lo afferma il prologo del Vangelo di Giovanni – per mezzo del Vero che va inteso quindi come principio di Verità, come la Verità in persona.
Quali sono gli aspetti della vita e del pensiero di Agostino che più l’hanno affascinata?
Direi che è stata la sete di assoluto, la capacità di desiderare “in grande”. Agostino vuole una felicità piena, duratura e addirittura eterna; si era reso conto che ogni altra cosa (ricchezza, onori, carriera, successo) sarebbe stata un misero succedaneo incapace di colmare il suo desiderio e questo sia nella vita che nel pensiero. Un aspetto che non smette mai di affascinarmi, e qualche volta di sconvolgermi, in quanto mi costringe a chiedermi che cosa desidero veramente e a liberarmi dalla “concorrenza” per abbracciare il desiderio più radicale e profondo.