"La famiglia non è una fabbrica di vita". Nel saggio "Ma che cos'è la famiglia?" (Ares) il filosofo francese Fabrice Hadjadj che smonta la propaganda del “matrimonio per tutti”, del “diritto” ai figli, delle teorie del gender. Un’intervista di Benedetta Verrini a Fabrice Hadjadj
Riprendiamo sul nostro sito un’intervista di Benedetta Verrini a Fabrice Hadjadj, pubblicata il 23/11/2015 su Famiglia cristiana. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Educare all’affettività e Famiglia e affettività.
Il Centro culturale Gli scritti (2/4/2023)
In un tempo come il nostro, fatto di individualismi sovrani, il pensiero di Fabrice Hadjadj è come un antidoto. Il filosofo francese, che in Italia ha appena pubblicato “Ma che cos’è una famiglia?” (ed. Ares, 16 euro), guarda alla contemporaneità con irriducibile lucidità. A cominciare da un’affermazione di principio: “A livello della condizione umana non esiste principio anteriore alla famiglia”. Ma questo luogo “dove si articolano la differenza dei sessi e la differenza tra le generazioni”, questo luogo attraversato per sua natura dalla generosità della vita, “zoccolo carnale dell’apertura alla trascendenza”, è oggi sempre più in discussione. Il letto e la tavola, avverte Hadjadj, sono minacciati da qualcosa di completamente nuovo: la provetta e lo schermo (del tablet).
Perché la nostra epoca è attraversata da un dibattito così forte sulla famiglia?
L’attacco, il tentativo di mettere “sotto tutela” la famiglia non è una novità. È sempre stata un mistero per tutte le epoche, perché viene dalla sessualità, non è “costruita” dall’uomo. Quindi tutti i sistemi sociali, tutte le ideologie, per raggiungere una maggiore potenza, hanno cercato di ridefinirla. Per esempio, la famiglia patriarcale è stata un modo per disegnare la famiglia e fondare un potere. La famiglia borghese, a sua volta, è una forma patriarcale fondata sulla trasmissione del denaro e del patrimonio. La concezione nazionalista-natalista ha imposto alla famiglia che si facessero figli per la nazione, per essere più forti come Paese. La concezione maltusiana l’ha invece guardata come un problema e ha proposto il controllo delle nascite. In tutte le epoche ci sono stati tentativi di presa di controllo delle famiglie, ma oggi la prospettiva non è più ideologica o politica. Abbiamo a disposizione una forza tecnologica e scientifica che può trasformare la natura stessa del genere umano e la sua capacità generativa.
Questo, certo, cambia un po’ la prospettiva…
È qualcosa di completamente nuovo. È una sorta di radicalizzazione dell’impresa capitalista, in cui la famiglia è trasformata in una fabbrica, per la sua capacità di “fabbricare” figli, facendo dei bambini stessi degli oggetti di produzione e di performance. In questa situazione, la storia filosofica millenaria e la morale divengono insufficienti. I filosofi antichi non si sono mai posti la domanda: farai un figlio per una via sessuale o in modo tecno-scientifico?
Nel suo libro scrive che l’immagine di Dio si trova nella differenza dei sessi. E che la loro unione è pervasa di una generosità che opera nel mare del mondo e assicura il passaggio delle generazioni. Ma l’ordine simbolico papà, mamma, bebè oggi è ambito anche da coppie dello stesso sesso. Per quale motivo?
La prima cosa che va detta è che non tutti gli omosessuali sono a favore della distruzione della famiglia naturale. Per esempio, ultimamente c’è stato un intervento molto bello, in difesa della famiglia, di Dolce e Gabbana. Negli anni Settanta, gli omosessuali che militavano erano orgogliosi di essere al di là di qualsiasi regola normativa. Oggi il movimento LGBT è alla ricerca di una normalizzazione. E questo è davvero lontano da prospettive come quella di Pasolini, autore che amo, che poneva domande a partire dalla propria marginalità e manifestava un modo di pensare e una differenza irriducibili. Da dove viene questo nuovo modo di pensare, che è passato dalla sovversione a una sorta di sottomissione al modello familiare tradizionale? Io penso che derivi, ancora una volta, dalla tecnologia, che crea nuove possibilità e afferma che tutti i fondamenti naturali possono essere rimessi in discussione.
Nel testo c’è una critica serrata al concetto di “benessere” del bambino, che giustifica gran parte delle argomentazioni sull’idoneità a diventare genitori.
Sì perché ora che abbiamo la possibilità di “fabbricare la vita” in modo artificiale ci permettiamo di guardarla dal punto di vista del benessere - ma non in senso di bene, di buono - dei bambini. Perché stupirsi, dunque? Se un bambino deve inserirsi in un mondo sempre più artificiale, è meglio per lui essere selezionato in vitro e non avere modelli naturali con cui confrontarsi. In un mondo virtuale, in cui tutto è disincarnato, forse sarà più facile essere già per nascita parte di un mondo tecno-economico. Ma il dono della vita arriva al di là di ogni calcolo. L’amore familiare, quello di un padre e una madre, è un amore senza preferenza, che non deriva da una scelta né da un confronto. È un legame educativo che si fonda su un’autorità senza competenza e da una libertà senza indipendenza.
Oltre che dalla tecno-scienza, la famiglia si confronta oggi anche con le teorie del gender. Come ci si misura con questi orientamenti educativi?
La teoria del gender non è che un santino, il problema arriva da più lontano. Da un lato, storicamente, lo spiritualismo ha sempre espresso la necessità di un distacco dal corpo e dalla sua sessualità. Dall’altro, anche nella tradizione filosofica c’è sempre stato l’uomo (non l’uomo e la donna) immaginato come categoria generale, ma non nella sua concretezza. Se la filosofia e la religione hanno sempre disprezzato il corpo, la teoria del gender arriva da qui. E l’asessuazione è terribilmente funzionale, ancora una volta, al virtuale e all’informatica.