L'impronta forte di Matilde. Donna di potere e di fede, la "Gran Contessa" ha segnato la storia e il territorio di una larga parte dell'Italia, di Stefano Zuffi
Riprendiamo da Luoghi dell’Infinito un articolo scritto da Stefano Zuffi e pubblicato sul numero 238, aprile 2019, pp. 53-63. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Basso medioevo.
Centro culturale Gli scritti (27/3/2023)
Castello di Bianello
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La grande chiesa romanica [di Nonantola ora restaurata] era rimasta lesionata in seguito alle scosse sismiche che avevano colpito l'Emilia, e in particolare il territorio tra Modena e Bologna, nel maggio del 2012. L'abbazia era già stata colpita in passato da un sisma: sul portale centrale un’iscrizione ricorda il terremoto del 1117, che aveva fatto crollare le volte e la facciata. Durante gli oltre sei anni di chiusura della chiesa è rimasto in funzione l'adiacente e importante Museo Benedettino e Diocesano, che ha contribuito a mantenere vivo l’interesse intorno al monumento.
Fra gli oggetti carichi di storia che vi sono conservati, alcuni rimandano alla figura di Matilde di Canossa, straordinaria donna di potere nel Medioevo. Seguendo la vita della "Gran Contessa" è possibile disegnare un itinerario che si snoda dai castelli inerpicati sull'Appennino reggiano e raggiunge le potenti abbazie della pianura padana, fino al Po, al Mincio e a Mantova; ma volendo l’itinerario si dirama anche verso la Toscana, per arrivare ad alcune meravigliose pievi romaniche, e addirittura al litorale tirrenico, con il mastio quadrangolare (la cosiddetta "quadratura dei Pisani") intorno al quale è sorta la Fortezza Vecchia di Livorno. Alla volontà di Matilde di Canossa, e al desiderio di avere uno scalo portuale protetto, risale per tradizione la costruzione di una grande torre cilindrica.
Nonantola, il nostro punto di partenza, è un po' lo specchio, l'immagine architettonica della piena maturità di Matilde: forte, potente, colma di senso mistico, capace di reggere gli urti del destino, di dialogare da pari a pari con papi e imperatori.
Del complesso abbaziale resta sostanzialmente la sola grande chiesa, mentre degli altri edifici, a cominciare dal chiostro, si riconoscono solo poche tracce. Alcune parti sono state distrutte, altre inglobate in costruzioni destinate a nuovi usi: uno di questi corpi di fabbrica è la sede del museo.
Le tre absidi romaniche della chiesa si affacciano oggi su uno spazio verde tenuto a giardino, e si riesce a intuire come la struttura fosse un tempo circondata completamente da mura protettive. Durante il Medioevo, l'abbazia benedettina nella piana modenese è stata una delle più grandi e fiorenti dell'Italia settentrionale, con vastissimi possedimenti agricoli e un autentico potere non solo spirituale, ma anche economico e sociale. Favoriti dalla politica imperiale, gli abati di Nonantola gestivano territori vastissimi su cui lavoravano e vivevano migliaia di persone, e amministravano rendite colossali.
Il restauro dopo il terremoto ha restituito a piena godibilità la potente struttura in mattoni, nel 1121. Sulla facciata spicca il prestigioso portale romanico di Wiligelmo, autore anche dei celebri rilievi sulla facciata del duomo di Modena. Nella lunetta è raffigurato Dio Padre benedicente, affiancato da due angeli e dai simboli dei quattro evangelisti. Gli stipiti presentano da un lato episodi dell'infanzia di Cristo, dall'altro fatti storici relativi all'abbazia, a cominciare dalla fondazione in epoca longobarda, nell'anno 752. L'interno, a tre solenni navate, è scandito da pilastri: il presbiterio, cui si accede da una scalinata, sovrasta una bellissima cripta, di insolite, vaste dimensioni.
Nel museo si osservano documenti che recano le sigle degli imperatori Carlo Magno, Ottone I e Federico Barbarossa, insieme a quello che resta dei momenti di maggiore splendore dell’abbazia: preziosi oggetti liturgici, reliquiari, antichissimi paramenti sacerdotali di fattura bizantina, alcuni dipinti del XV e XVI secolo. Di eccezionale importanza e bellezza sono i codici miniati, fra cui l’Evangeliario di Matilde di Canossa, con dieci splendide miniature a piena pagina, conservato tuttora nella preziosa legatura originaria. Si tratta peraltro solo di una minima percentuale dei libri realizzati nello scriptorium dell'abbazia: in diverse biblioteche in Italia e in altre nazioni sono stati identificati oltre duecentocinquanta codici miniati prodotti a Nonantola.
Matilde di Canossa nasce nel 1046, probabilmente a Mantova, terzogenita di Bonifacio, marchese di Tuscia (di ascendenze longobarde), e di Beatrice, duchessa di Lotaringia. Da bambina cresce nel castello di Canossa, che per tutta la vita considererà la sua vera "casa". La sua prima infanzia va ambientata tra le alture dell'Appennino reggiano, spesso contrassegnate dai resti di antichi castelli. E se quello di Canossa è oggi ridotto a un rudere suggestivo, meglio conservato è quello vicino di Bianello, dove Matilde verrà incoronata viceregina d'Italia, e che conserva un affresco trecentesco in cui Matilde è raffigurata con il melagrano simbolo di potere e di saggezza. Vi si sale dal comune di Quattro Castella, un nome che ricorda come sulle quattro colline ai margini della pianura, sorgessero un tempo altrettanti fortilizi. Un territorio davvero inespugnabile, a dispetto dell'aspetto tranquillo e delle paciose tradizioni culinarie della zona.
Nata in una famiglia internazionale Matilde impara le lingue dei Franchi e dei Teutoni, e riceve una inconsueta formazione letteraria. Ma presto iniziano i drammi: prima il padre e poi i due fratelli muoiono tragicamente. La piccola Matilde, rimasta sola con la madre Beatrice si trova a essere erede di un immenso potere. È ancora alle soglie dell'adolescenza quando ha luogo il nuovo matrimonio della madre con il duca di Lotaringia Goffredo il Barbuto, fratello del papa in carica Stefano IX. Tra le clausole del contratto matrimoniale, che riunisce le terre italiane dei duchi di Canossa con quelle lorenesi, c'è la promessa delle nozze tra Matilde e il figlio di primo letto del patrigno, il ben poco avvenente Goffredo il Gobbo.
Gli sponsali vengono celebrati nel 1069, appena prima della morte del suocero, ma il matrimonio si rivela ben poco felice: alla fine del 1070 la ventiquattrenne Matilde dà alla luce una bambina, che però sopravvive solamente poche settimane. Per ricordare la sfortunata piccolina viene fondato il monastero di Frassinoro, sull’Appennino modenese, oggi molto modificato ma ancora visibile.
Matilde non ha altri figli: e la mancanza di un erede maschio crea un crescente attrito con Goffredo, tanto che Matilde decide di lasciare il marito e di tornare a Canossa, presso la madre. Del tutto inutili sono i tentativi di Goffredo il Gobbo di convincere Matilde a tornare in Lotaringia, in un'alternanza di promesse e di minacce che si concluderà solamente nel 1076 con la morte del duca, ucciso in un agguato ordito probabilmente dal conte delle Fiandre; ma circolò il sospetto che il sicario fosse stato armato dalla stessa Matilde.
Rimasta poco dopo orfana della madre, la trentenne Matilde si trova a governare un territorio di immense dimensioni, dalla Tuscia alle sponde del lago di Garda.
Nel pieno della lotta per le investiture, nonostante la stretta parentela con gli imperatori germanici, Matilde si schiera decisamente dalla parte dei papi. Nel gennaio del 1077 organizza a Canossa un incontro di riconciliazione tra l'imperatore Enrico IV di Sassonia e papa Gregario VII, il toscano Ildebrando di Soana.
La Gran Contessa, padrona di casa e regista dell’avvenimento, dimostra in questa occasione il suo spirito indomito. Colpito dalla scomunica, Enrico resta per tre giorni e tre notti fuori dal portone del castello, nella neve, con il capo cosparso di cenere: la scomunica papale viene revocata, ma l’imperatore non dimentica l’umiliazione, oltre a rendersi conto di persona del formidabile sistema difensivo costituito dai castelli di Matilde sulle erte montagne dell'Appennino reggiano. Ne resta un'eccellente dimostrazione nel bel castello di Carpineti, mentre in alcuni casi, come a Monteveglio, Matilde integra il sistema difensivo con la costruzione di deliziose chiese romaniche.
Come ulteriore segno di alleanza, Matilde consegna al pontefice il potere su tutti i suoi territori: Enrico IV reagisce con una spedizione militare, e sfida in campo aperto le milizie del papa e della Gran Contessa, che assiste alla grave sconfitta di Volta Mantovana (15 ottobre 1080) ma non si perde d'animo. Mentre le truppe papali si sbandano, e Gregorio VII fugge a Roma, asserragliandosi in Castel Sant'Angelo, Matilde invece riorganizza il suo esercito, cerca alleati fra le città, emiliane, sfida nuovamente l'imperatore sul campo di battaglia e lo sconfigge a Sorbara (2 luglio 1084).
La combattiva Matilde resta comunque una donna di forte devozione. Continua la sua opera di fondazione di nuove chiese, spesso identificate con esplicite iscrizioni. La si può senz’altro considerare tra i principali committenti di architettura romanica, tra Lombardia, Emilia e Toscana. Oltre a dare un contributo fondamentale alla realizzazione della stupenda cattedrale di Modena, Matilde sostiene economicamente la costruzione dell'affascinante Rotonda di San Lorenzo a Mantova, intatto gioiello architettonico a pianta centrale, realizzato in modo da evocare il Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Nella zona dei prediletti castelli dell'Appennino reggiano, fra i boschi di castagni, Matilde fonda la pieve di Marola: i restauri hanno ricomposto l'aspetto romanico della chiesa, mentre l'edificio abbaziale ha conosciuto varie ricostruzioni ed è stato anche utilizzato come seminario.
Tra le pievi matildiche della Toscana, costruite a cavallo tra XI e XII secolo, va citata prima di tutto quella di Romena, sulla strada verso Poppi, nel Casentino. Dedicata a san Pietro e costruita come vuole un'iscrizione "al tempo delle pesti", è una toccante chiesa romanica, oggi nota anche come centro di un attivo movimento ecclesiale chiamato appunto "Fraternità di Romena". La facciata e la parte anteriore della navata sono crollate nel XVII secolo in seguito a una frana, ma il resto è perfettamente intatto. Una bellezza solida e insieme di inaspettata grazia. L’abside tondeggiante domina un vasto panorama, mentre all'interno gli spazi sono scanditi dalle colonne con un ritmo nobile, degno dell'architettura classica: su uno dei capitelli si legge la data 1152.
Sempre a san Pietro è dedicata la pieve di Gropina, un minuscolo centro del Pratomagno, il massiccio che divide il Casentino dal Valdarno. A Gropina si incontra un’arte inaspettatamente rustica, divertente, bizzarra e popolare, diversa rispetto al tono solenne prediletto da Matilde. La chiesa romanica è infatti importante per le sculture che rivestono i capitelli e l’ambone, con figure di animali fantastici e domestici, che trasmettono un’ancestrale, irresistibile espressività.
Un altro edificio matildico in Toscana custodisce un tesoro prezioso. La pieve San Giovenale si trova ai margini del Valdarno, nel comune di Reggello, frazione di Cascia. E un bell'edificio romanico largo e solido, che trasmette una tranquilla serenità, e possiede la prima manifestazione di un genio: il trittico dipinto da Masaccio ancora poco più che adolescente, intorno al 1421. È un dipinto a fondo oro, ancora immerso nella tradizione pittorica tardogotica, ma in cui il giovanissimo pittore ha saputo trasmettere i primi segni di un talento irrequieto, come si nota soprattutto nella tavola centrale, con il Bambino che si ficca due dita in bocca, la Madonna albina che guarda lontano, e i due angeli di spalle, inginocchiati a ridosso di un trono scorciato in prospettiva con audacia nuova.
Nel 1085 la morte di papa Gregorio VII (sconfitto ed esiliato) priva Matilde di un indispensabile alleato, oltre a lasciare vacante per tre anni la sede pontificia fino all’elezione di Urbano II. Con una decisione davvero sorprendente l’ormai matura Matilde, a quarantatré anni, spedisce una proposta di matrimonio al diciassettenne Guelfo, erede del ducato di Baviera.
Attratto dalla potenza della donna, dai principeschi doni nuziali, dallo sfavillante corteo di cavalieri che gli galoppa incontro ai margini della pianura padana, l'adolescente e smarrito Guelfo arriva a Canossa. Narrano le cronache che lo sposo non riuscì ad adempiere ai doveri coniugali: era chiaramente un matrimonio di puro interesse, un'alleanza politica in chiave anti-imperiale, e Matilde, con le sue ottime conoscenze nella curia papale, non ebbe difficoltà a farlo annullare.
Arriviamo al 1090, e all'ennesimo tentativo di Enrico IV di conquistare l'Italia: ancora una volta Matilde deve scendere sul campo di battaglia. Grazie alla forza dell'esercito e a promesse economiche Enrico riesce a conquistare la città natale della rivale, Mantova.
Matilde si rifugia a Canossa e organizza la resistenza, fidando sull'inaccessibile sistema di fortificazioni nelle valli dell'Enza e del Secchia, intorno alla rocca di Carpineti, i cui ruderi sono ancora carichi di severa imponenza.
Per la sua eccellente posizione strategica, la rocca era una delle residenze predilette da Matilde che dalle sue mura emanò alcuni dei più importanti provvedimenti, e che qui ospitò il papa Gregorio VII e un intero sinodo dei vescovi della zona. L’imperatore germanico cade nella rete: penetrate nella vallata, le truppe imperiali rimangono chiuse in una sanguinosa morsa, continuamente attaccate da veloci sortite perfettamente orchestrate.
Enrico IV deve ritirarsi per l'ultima volta: per Matilde è una vittoria totale. Le città la acclamano, e si raccolgono in una alleanza anti-imperiale che nel tempo diventerà la Lega Lombarda. Subentrato al padre, nel 1111 il nuovo imperatore Enrico V sale al castello di Bianello per insignire l'arcirivale Matilde del titolo di "Viceregina d'Italia" e di vicaria imperiale.
Ma la Gran Contessa ha ormai poco tempo per godere del trionfo. Ammalata di gotta, muore nel 1115 nel feudo fortificato di Bondeno, vicino a Reggiolo. La sua salma viene inumata nell'abbazia benedettina del Polirone, a San Benedetto Po.
Era come tornare in famiglia. L'abbazia era stata fondata da Tedaldo di Canossa, nonno di Matilde, e grazie alle donazioni di Bonifacio (padre della Gran Contessa) era diventata una delle più significative proprietarie terriere dell'Italia settentrionale. Il poderoso complesso è oggi un monumento spettacolare, grazie soprattutto alla ricostruzione cinquecentesca effettuata da Giulio Romano per i Gonzaga: la chiesa, cui si accede da una piazza che pare una balconata animata dalle statue, è un perfetto esempio di basilica cinquecentesca, di architettura aulica e con un raffinato rivestimento di stucchi e affreschi in cui la matrice raffaellesca declina verso il manierismo padano.
Nel refettorio, poi, è stato individuato dai restauri un precocissimo intervento di un pittore esordiente: Antonio Allegri, detto il Correggio. Ma nel cuore del grande organismo rinascimentale sopravvivono ancora parti del tempo di Matilde, come la cappella di Santa Maria, con il prezioso pavimento a mosaico in cui le figure allegoriche delle Virtù si alternano con un bestiario di animali fantastici.
La tomba della Gran Contessa nell'abbazia del Polirone è però vuota. In pieno Seicento, papa Urbano VIII Barberini fece traslare le spoglie a Roma, e affidò al suo scultore preferito, Gian Lorenzo Bernini, l'esecuzione di un sepolcro marmoreo nella basilica di San Pietro. Realizzato nel 1645 (per la verità con il coinvolgimento della bottega di Bernini), il monumento celebra Matilde di Canossa come «onore e gloria d'Italia», «di animo virile e di sentimento femmineo».
Nella destra impugna il bastone di comando, come un condottiero in battaglia, mentre con l'altra mano abbraccia le chiavi e il triregno, simbolo del papato, sempre da lei difeso.